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Tumori rari: nuove strategie per combattere la discriminazione

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I tumori rari colpiscono 6 persone su 100.000 ogni anno; sono numeri piccoli se considerati per ciascun singolo tipo di tumore ma che messi tutti assieme diventano considerevoli. La rarità, o perfino ultra-rarità dei casi, unita all'incertezza derivante dalla limitata disponibilità di dati, determinano una maggior difficoltà degli studi clinici; a ciò si collegano ostacoli all’autorizzazione all’immissione in commercio di nuovi farmaci e scarsità di risorse economiche e finanziarie. Per evitare discriminazioni e garantire ai pazienti il riconoscimento dei diritti stabiliti dalla legislazione e le stesse opportunità d’accesso a trattamenti e a nuove terapie, è necessario collaborare connuovi approcci, coinvolgendo a vario livello, fin dall’inizio, tutti coloro che sono parte in causa.
Crediti immagine: mcmurryjulie/Pixabay. Licenza: Pixabay License

Chiedono il riconoscimento sostanziale dei diritti stabiliti dalla legislazione vigente1 e le stesse opportunità d’accesso a trattamenti appropriati e a nuove terapie, indipendentemente dalla scarsità dei numeri. Sono i pazienti con una diagnosi di tumore raro, dove rarità significa meno di 6 persone colpite su 100.000 ogni anno. Numeri piccoli se considerati per ciascun singolo tipo di tumore ma che messi tutti assieme diventano considerevoli: sono 198 i tipi censiti dal progetto di sorveglianza europeo RARECARE.

I pazienti con tumore raro richiamano l’attenzione sulla necessità di evitare ogni possibile discriminazione, perché il fardello già pesante di una diagnosi di tumore - spesso in questo caso tardiva ed errata o non accurata - non sia aggravato da un disinteresse, da un isolamento, da una mancanza di finanziamenti e di possibilità che spengono la speranza prima ancora di provare a resistere e contrastare la malattia. E sono disposti a impegnarsi in prima persona, perché consapevoli di quanto il contributo di chi vive la malattia sulla propria pelle, conoscendo difficoltà e necessità più di chiunque altro, possa essere prezioso per stimolare la ricerca, per migliorare l’accesso ai farmaci nonché l’organizzazione e la qualità delle cure.

Non così rari

Secondo RARECARE, la diagnosi di tumore raro corrisponde al 24 per cento di tutte le diagnosi di tumore effettuate nel periodo 2000-2007 in Europa2. In Italia il Rapporto 2015 dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) dedicato ai tumori rari stima, su un’analisi nel periodo 2000-2010, circa 89.000 nuove diagnosi ogni anno, pari al 25 per cento di tutte le neoplasie3.

In altri termini, una persona su quattro a cui viene diagnosticato un tumore ha una forma rara, con tutte le maggiori difficoltà che caratterizzano questa condizione rispetto alle neoplasie più frequenti. Va peraltro osservato che gli attuali progressi della biologia molecolare in campo oncologico potrebbero portare a modifiche della classificazione di molte neoplasie, rivelando che le cifre oggi disponibili sono in realtà una sottostima del numero complessivo di tumori rari.

Diversi tumori, ugual rischio di discriminazione

Qual è il fattore che “accomuna” persone con tumori diversi per tipo di cellule, sede del corpo, età, storia clinica? È la rarità, scomponibile perfino in ultra-rarità: i tumori rari possono infatti includere ulteriori sottotipi, andando così da quelli rari a quelli ultra rari che, a loro volta, si manifestano con comportamenti e necessità diverse. La famiglia dei sarcomi, per esempio, include oltre 70 diversi sottotipi che necessitano di approcci terapeutici differenti tra loro.

Sul piano strettamente scientifico, la rarità comporta un limitato numero di “informazioni clinico-scientifiche” disponibili, o meglio una carenza di quelle che vengono definite “prove” di efficacia di un nuovo farmaco. Ecco quindi che accanto al termine rarità se ne affianca un secondo, incertezza, fattore intrinseco nei tumori rari perché derivante dalla limitata disponibilità di dati, dovuta proprio alla scarsità dei numeri di questi tumori. La conseguenza immediata è una maggior difficoltà a progettare e condurre studi clinici secondo metodologie consolidate che, per loro natura, richiedono numeri maggiori per dare evidenza, con significatività statistica, in merito alla sicurezza e all’efficacia di un trattamento.

A tutto ciò si collegano inevitabilmente ostacoli di natura regolatoria relativi all’autorizzazione all’immissione in commercio di nuovi farmaci, processo che richiede dati derivanti da studi condotti su grandi numeri di pazienti.

La scarsità di risorse economiche e finanziarie completa poi questo scenario già complesso. Sistemi di definizione del prezzo dei farmaci e quindi del loro rimborso a carico dei servizi sanitari possono infatti ritardare, a livello nazionale, l’accesso a farmaci autorizzati a livello europeo, procedura obbligatoria per i farmaci oncologici4. Per definire prezzo e rimborsabilità di un farmaco, il decisore pubblico si basa fondamentalmente sulla valutazione del rapporto tra costi e risultati (efficacia) del nuovo trattamento comparandolo con quello di altri disponibili. Nel caso dei tumori rari la valutazione di questo rapporto, che è sempre di tipo incrementale, può esser sfavorevole non solo per i costi elevati ma anche per la difficoltà “oggettiva” a misurare l’efficacia dei risultati.

Secondo un approccio utilitaristico, ovvero della massimizzazione del beneficio per la società, diventa difficile, in generale, assegnare risorse alle patologie rare, a prescindere dai costi effettivi dei trattamenti, per la semplice ragione che si tratta di costo-opportunità. In altri termini, l’utilizzo di risorse in attività alternative a favore di patologie più comuni e diffuse potrebbe esser sempre di maggior beneficio per la società, considerata nel suo insieme.

Tutto questo non può non sollevare quesiti di tipo etico, richiamando l’attenzione sul rischio reale di discriminazione a carico dei pazienti con tumore raro, “incastrati” tra il bisogno di equità d’accesso ai trattamenti e decisioni sia regolatorie-autorizzative sia economico-finanziarie di salute pubblica.

Ripensare il metodo per trovare la strada

Se la ricerca nel campo della biologia dei tumori rari sta progressivamente migliorando le conoscenze utili per sviluppare nuovi potenziali agenti terapeutici mirati5,6, il percorso rimane ancora molto in salita: le scoperte rischiano di rimanere spesso confinate in laboratorio senza riuscire a tradursi in applicazione clinica concreta. Nonostante i progressi degli ultimi anni, l’accesso tempestivo a farmaci innovativi incontra ancora diversi ostacoli metodologici, regolatori ed economici7.

Ricerca e sviluppo di nuovi farmaci, studi clinici e prove di efficacia, barriere regolatorie, valutazioni economiche in termini di rapporto incrementale costo/efficacia, esigenze dei malati: tutti elementi che devono essere tenuti in considerazione per poter cercare di dare risposte adeguate, evitando ritardi che gravano sui pazienti, riducendo le probabilità di contrastare la malattia. “Quando ci si confronta con un tumore raro, davvero non c’è tempo per aspettare”, ha affermato un paziente. La necessità è quindi più che mai quella di lavorare assieme, nel presente, con nuovi approcci, coinvolgendo a vario livello, fin dall’inizio, tutti coloro che sono parte in causa.

Dal punto di vista della metodologia della ricerca clinica, per esempio, si stanno sviluppando, e in parte già utilizzando, nuovi strumenti di studio, più adatti alla scarsità dei numeri, capaci di fornire sufficiente evidenza su sicurezza ed efficacia di un farmaco. Ricercatori, autorità regolatorie, industria e organizzazioni dei pazienti hanno avviato e stanno continuando a confrontarsi su tali argomenti; alcuni importanti progressi sono già stati ottenuti con la condivisione del documento di consenso europeo sulla metodologia clinica8.

In questi ultimi anni, anche l’approccio regolatorio si è modificato grazie all’introduzione di “strumenti” che consentono un accesso più rapido, seppur condizionato da vincoli aggiuntivi, con l’obbligo di fornire ulteriori dati nel tempo. In altri termini, è stato sviluppato un maggior grado di “flessibilità” nel percorso di autorizzazione dei farmaci, in particolare per quelli classificati come farmaci “orfani” in relazione proprio alla rarità. Lo scopo è ridurre i tempi d’accesso laddove i potenziali benefici sembrano superare il rischio derivante da dati limitati, non completi, da integrare obbligatoriamente nel tempo.

L’autorizzazione regolatoria è condizione necessaria ma non sufficiente per garantire ai pazienti l’accesso rapido ai nuovi farmaci. Il passaggio successivo, cruciale sia per i pazienti che per le aziende farmaceutiche, è quello che riguarda la valutazione economica e quindi la rimborsabilità da parte di appositi organismi. Tale valutazione richiede dimostrazione dell’“evidenza” dell’efficacia sui pazienti, “evidenza” per definizione limitata nel caso dei tumori rari, e non coincidente esattamente con il tipo di dati richiesti per la stessa ai fini dell’autorizzazione regolatoria.

Per tutti questi motivi, la sfida allora diviene quella di costruire un nuovo paradigma fondato sull’interdipendenza, fin dall’inizio, di tutte le parti coinvolte, ognuna guidata da bisogni e priorità diverse (“drivers”), con precise distinte responsabilità e capacità di condivisione del rischio collegato. Il concetto di rischio, definibile come “la combinazione della probabilità che si verifichi un danno e della gravità di tale danno”9, si collega infatti inevitabilmente a quello d’incertezza. Nei tumori rari la difficoltà “intrinseca” a dimostrare “evidenza” non può che elevare l’incertezza che ciascuna delle parti deve affrontare, assumendo la propria quota di rischio.

Se è vero che differenti sono le esigenze delle parti coinvolte, è altrettanto vero che l’obiettivo finale non può che essere lo stesso: migliori trattamenti ai pazienti, sulla base delle nuove conoscenze che la ricerca e la tecnologia rendono possibili, consentendo l’accesso rapido e al contempo la sostenibilità del sistema. Un percorso integrato e condiviso, fin dall’inizio, può favorire questo risultato, evitando inutili e gravi ritardi. “Il farmaco più sicuro che nessuno può permettersi o che arriva troppo tardi non è di nessun beneficio per il paziente” come ha affermato un rappresentante dei pazienti. E “non fare nulla è il rischio più grande di tutti. Il tempo è nemico” per chi ha una malattia severa e rara.

Quale ruolo per le organizzazioni di pazienti?

In questo scenario le organizzazioni di pazienti devono esser più che mai parte attiva a tutti i livelli, portando la prospettiva, in termini di bisogni e di richieste, dei pazienti, in un continuum di attività che iniziano fin dalla progettazione degli studi clinici e ancor prima. Informazione, educazione e formazione sono i pilastri per costruire consapevolezza del ruolo che i pazienti e le loro organizzazioni possono e devono avere.

Sviluppare competenze adeguate, formando “pazienti esperti” capaci di intervenire in tutte le fasi del processo di cui sopra, è più che mai necessario per un confronto costruttivo e un’azione più incisiva sia nella ricerca che nel dialogo con tutte le parti coinvolte.

 

Note
1. Regulation (EC) No 141/2000 of the European Parliament and of the Council of16 December 1999 on Orphan Medicinal Products
2. Gatta G, Capocaccia R, Botta L et al. Burden and centralised treatment in Europe of rare tumours: results of RARECAREnet—a population-based study. Lancet Oncol 2017; 18(8): 1022-1039
3. The burden of rare cancers in Italy. Italian cancer figures. Report 2015. Epidemiol Prev 40 (1) Suppl 2: 1-120
4. Russo P, Mennini FS, Siviero PD et al. Time to market and patient access to new oncology products in Italy: a multistep pathway from European context to regional health care providers. Ann Oncol 2010; 21(10): 2081-7
5. Boyd N, Dancey JE, Gilks CB et al. Rare cancers: a sea ofopportunity, Lancet Oncol 2016; 17: e52–e61
6. Hattinger CM, Pasello M, Ferrari S et al. Emerging drugs for high-grade osteosarcoma. Expert Opin Emerg Drugs 2010; 15(4): 615-34
7. Ashley D, Thomas D, Gore L et al. Accepting risk in the acceleration of drug development for rare cancers. Lancet Oncol 2015; 16(4): e190-4
8. Casali PG, Bruzzi P, Bogaerts J et al. Rare Cancers Europe methodological recommendations for clinical studies in rare cancers: a European consensus position paper. Ann Oncol 2015; 26(2): 300-306. 9. ICH Guideline Q9 on Quality Risk Management

 


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