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Le Mamme Vulcaniche e il Ministro

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A protestare sono state, soprattutto, le Mamme Vulcaniche. Per il metodo e per il merito. La visita in Campania del Ministro della Salute, Renato Balduzzi, si è conclusa lo scorso 8 gennaio ad Aversa in maniera forse inattesa, con una doppia contestazione. Nel metodo, perché le donne hanno accusato il Ministro di aver tenuto la conferenza stampa di presentazione della relazione finale del gruppo di lavoro sulla condizione epidemiologica dei cittadini della regione e, in particolare delle province di Caserta e Napoli, senza una rappresentanza significativa dei cittadini stessi. E nel merito, perché le Mamme Vulcaniche non condividono l’affermazione di Balduzzi secondo cui non c’è «un nesso di causalità» scientificamente riconosciuto tra la presenza di rifiuti, spesso tossici e pericolosi, smaltiti irregolarmente nella campagne campane, in primo luogo nei territori noti come “terra dei fuochi” (i roghi dei rifiuti illegalmente smaltiti e bruciati) e “triangolo della morte”, per via di un’incidenza anomala di alcune patologie, tumorali e non, rilevata da alcune indagini epidemiologiche.

Queste anomalie, ha sostenuto il Ministro, potrebbero certo essere frutto dell’esposizione a inquinanti da rifiuti, ma anche di altri fattori, come la diffusa obesità e gli stili di vita di una parte rilevante della  popolazione locali che vive in condizioni di deprivazione socioeconomica.

Le contestazioni hanno destato molta attenzione nei media, riproponendo un vecchio refrain sia sul nesso causale tra esposizione a inquinamento da rifiuti e salute (il merito), sia sulla distanza tra istituzioni e cittadini, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia (il metodo). Tornano così a confrontarsi e fronteggiarsi impostazioni diverse di cui Scienzainrete ha dato conto ospitando numerosi interventi (consultabili in Ambiente e Salute).

Ma chi ha ragione, nell’uno e nell’altro caso? Ecco le risposte dell’epidemiologo, Fabrizio Bianchi, e dell’antropologa esperta in comunicazione del rischio, Liliana Cori. Entrambi lavorano all’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr. Entrambi sono esperti a “conoscenza dei fatti” in Campania”, avendo svolto indagini epidemiologiche (in particolare l’indagine Sebiorec) proprio nella zona di confine tra le provincie di Caserta e Napoli. Entrambi, infine, sono ben noti ai lettori di Scienzainrete (1, 2).

         Fabrizio Bianchi, sul nesso causale tra rifiuti e salute si può dire oggi qualcosa in più?

FB. Quando si dice che “non risulta un nesso causale accertato tra la presenza e lo sversamento di rifiuti e l’alto tasso di tumori nelle province di Caserta e Napoli … ma non si può escludere una implicazione” c’è da ricordare anche che questo dipende dal fatto che nessuno degli studi pubblicati era disegnato per provare il nesso causale. Dello stesso problema soffre anche il nesso causale con stili di vita e stato socio-economico, che seppure scientificamente plausibile, non è stato provato nel caso specifico dell’esposizione ad inquinamento da rifiuti in Campania. In altre parole, i frequenti riferimenti al ruolo di questi fattori di rischio negli studi campani si avvale dei risultati di studi descrittivi e sulle evidenze della letteratura scientifica, piuttosto che di studi eziologici sul territorio, dunque una situazione non dissimile a quella dell’esposizione ad inquinamento. Per questi motivi le conclusioni degli studi epidemiologici pubblicati (riportati anche nel recente documento dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) hanno sempre segnalato il ruolo combinato sia dell’esposizione ambientale sia di altri fattori di rischio, come le condizioni socio-economiche, quelle igieniche, l’alimentazione e la sedentarietà.  

Da parte dei ricercatori c’è piena consapevolezza che il punto chiave è quello di stabilire cosa significa essere esposti a inquinamento da rifiuti e sulla base di questo sulla necessità di dimensionare il peso dei diversi fattori di rischio, senza preconcetti ideologici su surrettizi primati.

I fattori di rischio non devono essere usati in contrapposizione tra loro: l’obesità, lo stato socio-economico e l’ambiente sono corni dello stesso problema e rappresentano obiettivi di prevenzione primaria, il cuore della sanità pubblica che dobbiamo fare di tutto per preservare e se possibile rafforzare.

         Possiamo dire quale di queste componenti è più forte?

FB. Sulla base della mia lettura di quanto fino ad oggi pubblicato, seppure in assenza di misure precise sul nesso di causalità, ritengo che il peso dei fattori ambientali e non ambientali sia dello stesso ordine di grandezza, e da quest’osservazione mi derivano due domande: A) perché non si è pianificato e non si pianifica uno studio eziologico adeguato a misurare i nessi causali, cioè uno studio di coorte della popolazione residente da un certo numero di anni in quelle aree? B) perché non si supera il vincolo del nesso di causalità (che per le istituzioni non è quasi mai sufficiente e per i comitati è quasi sempre sufficiente) in aree con provato inquinamento, come quelle che per legge sono definite di bonifica e nelle quali gli indicatori di salute segnalano criticità: aree come quelle Campane, dove il tema fondamentale dovrebbe essere quello della immediata cessazione delle cause di inquinamento, come gli incendi e il sotterramento abusivo di rifiuti, e delle bonifiche?

         Oltre ai tumori ci sono in quelle zone altre anomalie patologiche o, come li chiamate altri indicatori di interesse, associabili a inquinamento ambientale?

FB. Ci sono malattie non tumorali che per quanto riguarda la relazione eziologica con l’inquinamento ambientale sono di maggior interesse dei tumori sulle malattie acute e croniche dell’apparato respiratorio e sulle malattie cardiovascolari esistono ormai evidenze di letteratura che dicono che l’insorgenza o l’esacerbazione di una parte non trascurabile di esse è dovuta all’inquinamento dell’aria. Il basso peso dei neonati, la prematurità, le malformazioni congenite, grazie ai loro tempi brevi di latenza, possono essere usati come campanelli di allarme.

La maggior parte degli studi effettuati in Campania, e non sono pochi, hanno confermato rischi elevati per malattie respiratorie, cardiovascolari, malformazioni, oltre che per alcuni tipi di tumori. E poi ci sono tanti altri effetti poco considerati e sui quali le conoscenze sui legami con l’inquinamento ambientale sono crescenti, come il diabete, le disfunzioni tiroidee, i problemi del neurosviluppo, troppo spesso dimenticati per effetto di una visione troppo onco-centrica.

Contro il mio interesse di ricercatore penso che in alcune aree della Campania, che gli studi effettuati hanno aiutato ad individuare, siano da anteporre agli studi gli interventi di prevenzione.

         Liliana Cori, ma lo studio Sebiorec, cui voi avete partecipato e che è stato citato anche dal Ministro sulla base della relazione dell’ISS, non doveva dare indicazioni in più su quanto e come le popolazioni residenti sono esposte?

LC. Sebiorec, lo studio di biomonitoraggio umano su un campione di 850 soggetti e 60 donne in allattamento residenti nelle aree campane, è stato sì divulgato, ma vi si è riflettuto poco e male.

I risultati di Sebiorec offrono molti elementi di conoscenza che vanno ben oltre le semplicistiche affermazioni secondo cui i dati sarebbero in linea con una supposta normalità. Infatti, come è riportato nella relazione conclusiva, alcuni parametri misurati relativi a noti inquinanti – come arsenico, diossina TCDD, PCB diossina-simili, poli-bromo-di-fenili – mostrano una grande variabilità tra i diversi comuni di residenza dei soggetti campionati, e sulla base di questo risultato erano state date raccomandazioni di azioni e studi da effettuare.

Purtroppo anche su Sebiorec si sono dipanate posizioni assolutorie, scettiche, o di rifiuto, che fanno perdere molte opportunità. Una Conferenza di consenso avrebbe permesso di trovare un accordo sull’interpretazione e sull’uso di quei risultati.

         E sul piano della comunicazione e della percezione del rischio cosa è emerso da Sebiorec?

LC. Durante tutto lo svolgimento di Sebiorec abbiamo lavorato per promuovere un migliore rapporto tra le istituzioni competenti e la cittadinanza campana, colpita direttamente dalla crisi dei rifiuti perché attorno a sé per anni e anni ha visto crescere grandi discariche, aumentare le zone malsane, moltiplicarsi i depositi illegali di rifiuti. E che per si sente ingiustamente colpita e accusata. Sappiamo che le persone hanno paura, per se stesse e per i loro figli, di tumori, malformazioni, malattie incurabili e spaventose che non fanno che aumentare la rabbia e la frustrazione. Nonostante ciò, mai come adesso le persone sono in grado di confrontarsi e discutere sulla salute e l’ambiente. Alla manifestazione cui lei si riferisce, quella che ha contestato il Ministro Balduzzi a Aversa l’8 gennaio scorso, c’era una donna con un cartello che diceva: “Quanto spende la Campania in chemioterapici? Quante sono le esenzioni per i malati di cancro? La Campania muore e voi ancora cercate i dati?”. Queste domande non sono da rifiutare. Al contrario,  meritano una risposta. Meritano un tempo e uno spazio per la discussione che faccia di istituzioni e cittadini non degli estranei che diffidano l’uno dell’altro o, addirittura, dei nemici, ma al contrario degli alleati. C’è ampio spazio per una comunicazione adeguata che eviti frasi che le persone trovano offensive e fanno alzare barriere insormontabili: nel caso specifico, il mettere in relazione le malattie con il mangiar male o fumare troppo viene vissuta come scarico di colpa anziché come identificazione di rischi da prevenire attraverso una necessaria azione comune. Vanno riconosciuti i problemi che esistono, aiutare a definire le responsabilità e le priorità, coinvolgere competenze per la bonifica di vasti territori in cui nemmeno le autorità di polizia possono mettere piede. Come comunicatori scientifici dobbiamo accompagnare le autorità ad usare il dialogo in maniera adeguata e rispettosa. Nel caso di Sebiorec, e l’abbiamo detto in più occasioni, c’è bisogno di una conferenza di consenso, che aiuti a spiegare i dati prodotti, la loro importanza e le prospettive, mettendo assieme ai tanti che hanno donato il sangue e il latte, a quelli che hanno fatto le analisi, a quelli che hanno protestato e a molti esperti. E qui inizia il lavoro difficile, in cui ognuno deve sapere quale può essere il suo ruolo in un quadro molto complesso: che includa i moltissimi che vorrebbero aiutare a migliorare la situazione.

         Grazie Liliana Cori. Grazie Fabrizio Bianchi.


In definitiva, possiamo forse dire che ad Aversa , lo scorso 8 gennaio, abbiamo assistito a un nuovo episodio non solo di incomunicabilità tra istituzioni e cittadini, ma anche di una speciale difficoltà, tutta italiana, ad accettare l’idea che i cittadini, in ogni parte del mondo ormai – anche in Italia, anche in Campania – esprimono in forme più o meno confuse, in forme più o meno accettabili, nuove domande di cittadinanza che molti definiscono di cittadinanza scientifica e/o ambientale. In altri termini cogliono sapere qual è la loro condizione, al meglio delle conoscenze disponibili. Vogliono determinare il proprio destino, compartecipando alle scelte. In stretta alleanza, possibilmente, con le istituzioni politiche e/o scientifiche. Le istituzioni politiche e/o scientifiche devono cogliere questo bisogno di compartecipazione. Sia per ragioni di mera opportunità: i cittadini non sono disponibili a deleghe in bianco e la compartecipazione alle scelte, per quanto difficile, è l’unica opzione in grado di evitare il conflitto. Sia, soprattutto, per ragioni di democrazia: i cittadini hanno il diritto di sapere (tutto) e hanno il diritto di partecipare (nell’ambito delle regole democratiche) alla costruzione del proprio futuro.   

 

Inquinamento o stile di vita? - l'opinione di Ignazio Marino e Claudia Cirillo

La dichiarazione del Ministro Balduzzi in occasione della presentazione della relazione finale sulla “Situazione epidemiologica della regione Campania ed in particolare delle province di Caserta e Napoli, con riferimento all’incidenza della mortalità per malattie oncologiche”, è stata fortemente contestata dalla cittadinanza locale. Il motivo del forte dissenso e dell’indignazione è stata l’affermazione che siano soprattutto gli stili di vita non corretti dei campani ad incidere sulle drammatiche statistiche epidemiologiche. Un'affermazione che desta stupore e non è condivisibile, per più di una ragione. 

Innanzitutto, è una risposta che ignora decine di studi scientifici sulla relazione tra diossina e l’insorgere dei tumori, oltre alle conseguenze di decenni di scellerata gestione dello smaltimento dei rifiuti urbani, industriali e speciali in discariche illegali. In secondo luogo, addossa alla popolazione la responsabilità di fatti sui quali il semplice cittadino campano avrebbe potuto incidere solo marginalmente. 

I cittadini campani hanno certamente bisogno, come tutti gli italiani, di interventi concreti che permettano loro di adottare stili di vita corretti. Ma è inutile, anzi è perfino una presa in giro, continuare ad insistere sulla loro scarsa aderenza alle buone regole del vivere sano quando la verità troppo spesso non detta è che questa Regione ancora non dispone delle condizioni di base per nutrirsi, muoversi e curarsi adeguatamente. Non si tratta di deresponsabilizzare la popolazione, ma di osservare obiettivamente il quadro completo in cui essa è costretta a vivere a causa di amministrazioni regionali e nazionali incapaci e inerti. 

Nel valutare gli esiti di uno studio epidemiologico, non è metodologicamente corretto escludere le condizioni ambientali, socio-economiche, la qualità dei servizi sanitari disponibili, l’organizzazione urbanistica, le politiche agricole in cui lo studio stesso è stato condotto. Serve domandarsi, in poche parole, se le statistiche presentate ad Aversa l’8 gennaio 2013 sarebbero davvero molto diverse se, per esempio, più cittadini campani mangiassero a chilometro zero e praticassero più attività fisica all’aria aperta. Quando i prodotti agricoli locali sono avvelenati, l’aria è fortemente inquinata e l’offerta di programmi di prevenzione sanitaria è fra le peggiori nel Paese è facile finire in fondo alle classifiche. Non perché si è cittadini poco virtuosi, piuttosto perché politica, istituzioni e malavita hanno sfruttato il territorio e compromesso per lungo tempo la possibilità di vivere in modo sano e sereno in una delle più belle regioni del pianeta.


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