fbpx Geroglifici celesti | Scienza in Rete

Geroglifici celesti

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Anton Raphael Mengs - "Helios come personificazione del Mezzogiorno" (olio su tela - ca 1765). Public Domain

L’elio è considerato una risorsa strategica in vari settori, che vanno dalla diagnostica medica all’industria elettronica, ai processi di saldatura. In campo medico si pensi, ad esempio, ai magneti superconduttori, componenti degli scanner per l'imaging a risonanza magnetica (MRI), i quali richiedono per il raffreddamento elio liquido che, com’è noto, ha punto di ebollizione -268, 93°C.

La scoperta dell'elio

La storia chimica dell’elio è molto interessante. Quando si parla della scoperta di questo gas e del suo riconoscimento come elemento chimico, occorre distinguere due fonti distinte: quella extraterrestre e quella terrestre. L’elio fu scoperto prima sul Sole che sulla Terra e, per questo, i contributi di astronomi, fisici e chimici si intrecciano nella cosiddetta “astrochimica” e nel contributo fondamentale della spettroscopia.

Lo spettro dell'elioLo spettro dell'elio.

Norman Lockyer, l'elio e i "geroglifici celesti"

Qui, per brevità, si parlerà soltanto dell’elio solare, la cui scoperta è avvenuta centocinquant’anni fa. Viene generalmente attribuita all’astronomo britannico Norman Lockyer (1836-1920) il quale, esaminando la cromosfera solare per mezzo dello spettroscopio, osservò una riga gialla, adiacente la riga D del sodio e successivamente denominata D3, che non era possibile attribuire ad alcun elemento presente sulla Terra. La storia è complessa e lo stesso Lockyer, dopo aver pubblicato alcuni articoli in merito, ritornò sull’argomento più tardi, con un ampio resoconto, in due parti, per la rivista Nature (6 Febbraio 1896), intitolato “The Story of Helium”. Nel prologo della storia, Lockyer traccia un parallelo, non privo di accenti poetici, fra la scrittura degli antichi Egizi e i geroglifici della natura, in particolare quelli celesti, che una volta interpretati consentono di avere informazioni sulle stelle del firmamento e la loro costituzione. Ma chi fornisce la chiave interpretativa della luce emessa? La risposta aiuta a fornirla l’arcobaleno, capace di scindere la luce bianca nelle sue componenti colorate e, aggiungiamo noi, il prisma dello spettroscopio.

L'eclissi di sole del 1868

La circostanza della scoperta dell’elio fu l’eclisse totale di Sole del 18 agosto 1868, ben visibile in India, ma soprattutto lo studio delle protuberanze solari avvenuto subito dopo, in assenza dell’eclisse, ad opera di Lockyer e dell’astronomo francese Pierre Janssen (1824-1907). Quest’ultimo era stato inviato in missione in India dal Bureau des Longitudes e dall’Acadèmie des Science e studiò spettroscopicamente le protuberanze solari concludendo però che, a suo avviso, erano principalmente costituite da idrogeno. Intenzionato a proseguire le indagini, escogitò un sistema per indagare ulteriormente la loro costituzione anche in assenza di eclisse. Due settimane dopo comunicò all’Académie tale invenzione e caso volle che, indipendentemente da lui, lo facesse anche Lockyer, cosicché le due comunicazioni pervennero in contemporanea.

Le protuberanze solari e la riga D3

Fu Lockyer tuttavia, non Janssen, a segnalare che in prossimità del doppietto D del sodio appariva un’altra riga gialla più rifrangibile di 8-9 gradi sulla scala Kirchhoff e a concludere poi, insieme al chimico Edward Frankland (1825-1899) e basandosi sulle misurazioni di William Crookes (1832-1919), che era spostata di diversi angstroms rispetto alla D e perciò non poteva attribuirsi al sodio. Lo stesso Lockyer riconobbe però che l’unico osservatore dell’eclisse a sollevare qualche dubbio sulla vera natura di quel “geroglifico celeste” fu il britannico Norman Robert Pogson (1829-1891) che dal 1860 si era spostato a Madras diventando l’astronomo del Governo. Attorno alla riga D3 si discusse a lungo, formulando ipotesi fantasiose. Nei primi tempi pare che Lockyer non provasse interesse per la novità ma, una volta convinto, fu lui, insieme a Frankland, a proporre il nome del nuovo elemento prendendolo dal Sole. Esso comparve per la prima volta nel 1871, in una nota a fondo pagina del discorso che William Thomson (1824-1907) rivolse alla British Association for the Advancement of Science.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché le reti neurali hanno vinto i Nobel per la fisica e la chimica?

Quest'anno l'Intelligenza Artificiale ha fatto la parte del leone nei Nobel per la fisica e la chimica. Meglio sarebbe dire machine learning e reti neurali, grazie al cui sviluppo si devono sistemi che vanno dal riconoscimento di immagini alla IA generativa come Chat-GPT. In questo articolo Chiara Sabelli racconta la storia della ricerca che ha portato il fisico e biologo John J. Hopfield e l'informatico e neuroscienzato Geoffrey Hinton a porre le basi dell'attuale machine learning.

Immagine modificata a partire dall'articolo "Biohybrid and Bioinspired Magnetic Microswimmers" https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1002/smll.201704374

Il premio Nobel per la fisica 2024 è stato assegnato a John J. Hopfield, fisico e biologo statunitense dell’università di Princeton, e a Geoffrey Hinton, informatico e neuroscienziato britannico dell’Università di Toronto per aver sfruttato strumenti della fisica statistica nello sviluppo dei metodi alla base delle potenti tecnologie di machine learning di oggi.