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Due nuovi studi sulla sicurezza dei vaccini contro Covid-19

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Tempo di lettura: 7 mins

Martina Patone illustra i risultati di due studi sulle reazioni avverse condotti dal gruppo di ricerca di cui fa parte: i risultati mostrano che esistono reazioni avverse per i vaccini considerati sono molto rare e probabilmente per questo alcune non identificate in fase di sperimentazione. E anche se nessun vaccino è sicuro al 100%, perché ogni corpo reagisce a modo suo, non siamo per fortuna poi così diversi e nella maggior parte della popolazione le risposte sono state positive; gli eventi rari che si discostano dalla tendenza generale non possono essere eliminati ma vanno bilanciati con i benefici, tra cui la possibilità di ritorno a una vita normale. 

Immagine di Agência Brasília / Flickr (CC BY 2.0).

A due settimane dalla seconda dose di vaccino ho iniziato a sentire un forte mal di testa. A tre settimane il mal di testa era diventato sempre più forte. Anzi, più ci pensavo più il dolore aumentava. Doveva necessariamente essere una reazione al vaccino. D’altronde ero proprio nel periodo in cui quelle famose trombosi cerebrali di cui tanto si parlava nei giornali, nei social, al bar e di cui io studiavo l’associazione con i vaccini erano più frequenti. Anche la nostra analisi lo suggeriva. Ormai ero convinta di essere anch'io una vittima del vaccino. Che ironia. Io, una di quelle che analizza dati sulla sicurezza vaccinale.

Alla fine ha prevalso il senso di razionalità e non sono andata in pronto soccorso per farmi controllare. Così, il mio mal di testa non ha contribuito alle 101 110 segnalazioni contenute nel nono rapporto sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19 redatto dall’AIFA.

Farmacovigilanza sui vaccini Covid-19

In fase di sperimentazione il numero di partecipanti al campione è spesso troppo basso per riuscire a osservare reazioni avverse molto rare, cioè di quelle che possono colpire in media meno di una persona su 10 000. Per questo la farmacovigilanza dei vaccini continua anche dopo che il vaccino viene somministrato alla popolazione. Si parla di test clinico esteso (extended clinical trial) o studio clinico di fase IV. Se il vaccino viene considerato pericoloso per un gruppo specifico di persone, le raccomandazioni su chi somministrarlo vengono modificate. E se si determinasse che i rischi possano essere maggiori dei benefici, il vaccino potrebbe anche essere ritirato. Quest’ultimo è uno scenario assai raro, e i dati raccolti finora indicano che i vaccini contro Covid-19 non rientrano in questa categoria.

Diversi sono i modi in cui la sicurezza viene monitorata e diversi i dati utilizzati a tale fine. Tra questi si enumerano le segnalazioni spontanee di cittadini o personale medico collezionate dall’AIFA o i dataset clinici. Se le segnalazioni spontanee forniscono un bel dataset da cui apprendere qualsiasi reazione avversa (dal banale dolore al braccio a un decesso per miocardite), queste forniscono anche un dataset sporco, che necessita una profonda pulizia: bisogna determinare quante tra queste segnalazioni possono realmente essere associate al vaccino. Delle 101 110 segnalazioni su 84 010 605 di dosi somministrate in Italia (con un tasso di segnalazione di 120 ogni 100 000 dosi) dell’ultimo report dell’AIFA, solo il 14,4% (14 605) è stato considerato grave. Solo per il 73% di questi eventi avversi gravi (10 681/14 605) le informazioni erano sufficienti a valutare la plausibilità dell'associazione causale con il vaccino. Sono stati quindi valutati 10 681 eventi avversi gravi e solo per 40,3% (4 301/10 681) l'associazione causale con il vaccino è stata valutata plausibile.

I dati clinici vengono sempre più frequentemente raccolti elettronicamente e hanno portato alla creazione di enormi dataset che sono sempre più usati in ricerca medica. Nel Regno Unito, il sistema sanitario nazionale (NHS) raccoglie tutti i giorni dati sulle ospedalizzazioni: vengono registrate le cause per un ricovero, i test diagnostici effettuati, eventuali trasferimenti tra reparti, visite specialistiche, e tra le altre chiaramente anche la data di ingresso e di uscita. Con la pandemia, a questi si sono aggiunti i dati sui tamponi effettuati, quelli sui vaccini e i codici identificativi di Covid-19.

Gli studi sulla sicurezza dei vaccini nel Regno Unito

Il gruppo di ricerca di cui faccio parte all’Università di Oxford, guidato dalla professoressa di epidemiologia clinica Julia Hippisley-Cox, ha appena pubblicato due studi sulla sicurezza dei vaccini, uno sul British Medical Journal e l’altro su Nature Medicine.

Per entrambi gli studi abbiamo utilizzato dati provenienti dai vaccinati in Inghilterra, il secondo consiste in 32 milioni di vaccinati, di cui 20 con AstraZeneca e 12 con Pfizer. Tra questi, circa 2 milioni sono risultati positivi a Covid-19, di cui circa il 90% prima di ricevere il vaccino.

L’obiettivo degli studi è determinare se esiste un’associazione tra vaccino e uno degli eventi avversi studiati. Un classico modo per farlo sarebbe confrontare l’incidenza di malati nel gruppo dei vaccinati con quella nel gruppo dei non vaccinati. Se la prima è maggiore della seconda, allora è ragionevole pensare che questa associazione esista. Ci sono però elementi che possono falsificare questa relazione: per esempio l’età. Sappiamo che ai più anziani e ai più a rischio di sviluppare malattie è stata data priorità nella campagna vaccinale, e di conseguenza, essendo questo gruppo più rappresentato nel gruppo dei vaccinati, rispetto ai più giovani e sani, l'incidenza di certe malattie potrebbe sembrare maggiore dopo il vaccino, ma solo perchè sono questi più propensi a sviluppare nuove malattie. Per superare questi problemi abbiamo usato un metodo di analisi chiamato Self-Control Case Serie (SCCS) in cui ogni persona viene confrontata con se stessa: non si confronta una persona vaccinata con un’altra non-vaccinata, ma il confronto avviene tra la storia clinica di ciascun individuo quando è esposto al vaccino e quando non lo è. In altre parole, per ogni paziente il periodo di studio viene diviso in tre intervalli: i 28 giorni dopo il vaccino (esposizione); i 28 giorni prima del vaccino (pre-esposizione) e il restante (controllo) e si osserva in quale dei tre intervalli è avvenuto l’evento avverso. Quindi si confronta l’incidenza nel gruppo dei vaccinati, cioè i pazienti nei 28 giorni dopo il vaccino con l’incidenza nel gruppo dei non-vaccinati, cioè gli stessi di prima, ma nel periodo di controllo.

Se in uno studio clinico per ogni persona nel gruppo dei vaccinati si sceglie una persona molto simile per il gruppo dei non vaccinati, nella SCCS si prende esattamente la stessa. Questo è importante perchè permette di controllare per fattori quali sesso, età, comorbidità ecc., che non cambiano nel periodo di osservazione, ma che potrebbero falsifare l’associazione.

Quali sono gli eventi avversi?

Abbiamo studiato diversi eventi trombotici e complicanze neurologiche per due vaccini, AstraZeneca e Pfizer, restringendo il nostro interesse alle prime dosi dato che al momento dell’analisi i dati sulle seconde dosi erano insufficienti. Non tutte le complicanze sono state associate a uno dei due vaccini o a entrambi. In seguito riporterò solo quelle per le quali un’associazione con almeno uno dei vaccini è stata osservata.

Con l’analisi sugli eventi trombotici studiati abbiamo stimato che nei 28 giorni dopo la prima dose in 1 milione di vaccinati con AstraZeneca ci sono in media 1 caso in eccesso di trombosi cerebrale (un coagulo di sangue nei seni venosi del cervello), 10 di trombocitopenia (quantità insufficiente di piastrine), 7 di trombosi venosa (un coagulo di sangue nelle vene); mentre in 1 milione di vaccinati con Pfizer si stimano 14 casi in eccesso di ictus ischemico (infarto cerebrale).

Il secondo studio sulle complicanze neurologiche suggerisce che nei 28 giorni dopo la prima dose in 1 milione di vaccinati con AstraZeneca ci sono in media 4 casi in eccesso di sindrome di Guillain-Barré (paralisi progressiva agli arti), mentre in 1 milione di vaccinati con Pfizer ci sono 6 casi di ictus emorragico (emorragia cerebrale).

In entrambi gli studi abbiamo anche osservato che gli stessi eventi e molti altri sono più frequenti nei 28 giorni dopo un tampone positivo. Infatti, in un milione di individui risultati positivi a Covid-19 sono stati stimati 93 casi in eccesso di trombocitopenia, 1260 di trombosi venosa, 557 di trombosi arteriosa, 2 di trombosi cerebrale, 170 di ictus ischemico, 363 di infarto del miocardio (attacco di cuore), 54 di altri eventi trombotici arteriosi, 14 di sindrome di Guillain-Barré e 12 di encefaliti, meningiti e mieliti (infezioni del sistema nervoso centrale).

Con casi in eccesso intendo quei casi in più rispetto ai casi aspettati in 1 milione di non vaccinati e non positivi (in condizioni normali), se quel milione di persone fosse vaccinato o fosse positivo.

Ma quindi, i vaccini sono sicuri?

I due studi dimostrano che esistono reazioni avverse dopo la prima dose di entrambi i vaccini AstraZeneca e Pfizer e che queste sono molto rare e probabilmente per questo alcune di esse non identificate in fase di sperimentazione.

Nessun vaccino è sicuro al 100%, così come nessun vaccino è efficace al 100%. Questo perché nessuna persona è uguale all’altra, e ogni corpo reagisce a modo suo al vaccino. Eppure, per nostra fortuna, non siamo poi così diversi e nella maggior parte della popolazione le risposte sono state positive. Eventi rari che si discostano dalla tendenza generale non possono essere eliminati, bisogna prenderne atto. E questi vanno bilanciati con i benefici che si hanno dai vaccini, tra cui la possibilità di ritorno a una vita normale.

Una volta assodato questo concetto, la sorveglianza farmacologica assume un ruolo essenziale che ci permette di monitorare costantemente se i rischi arrivano a superare i benefici e di determinare per quali gruppi di persone un vaccino può risultare in un rischio maggiore, così da somministrare il vaccino più sicuro per il singolo e minimizzare gli effetti avversi. Non è il vaccino che uccide, ma l’ignoranza.


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