1. Come è fatto un reattore?
Il cuore, non solo in senso metaforico, di un reattore nucleare sono le reazioni nucleari di fissione. Con questo termine si indica una serie di processi che coinvolgono i nuclei instabili radioattivi che, spontaneamente o artificialmente, decadono in nuclei più piccoli liberando energia. La causa della fissione è l'urto tra un neutrone e un nucleo del materiale fissile. L'evento genera altri neutroni che interessano a loro volta altri atomi (reazione a catena). Perché il processo non si concluda e la reazione a catena resti stabile è necessario che si disponga di una quantità sufficiente di materiale, detta massa critica. E' altresì indispensabile, però, che le reazioni di fissione vengano controllate in modo che il numero di neutroni-proiettile non degeneri ma rimanga pressoché costante.
In una centrale nucleare il compito di regolare le reazioni è demandato al sistema di moderazione e al sistema di controllo, il primo è progettato per rallentare i neutroni liberati dalla fissione aumentando in tal modo la loro efficacia, il secondo per intervenire sulla potenza del reattore catturando i neutroni e regolando in tal modo il numero delle fissioni. La zona in cui avvengono le reazioni controllate di fissione è denominata nucleo o nocciolo del reattore ed è costituita da una struttura che ospita una serie di barre di combustibile (miscela di uranio più o meno arricchita) circondate dal moderatore (che può essere acqua, acqua pesante o una struttura di grafite) e alternate a elementi metallici ritraibili (leghe di argento, cadmio, indio o carburi di boro) con il compito di controllo (barre di controllo).
L'energia termica liberata dai processi di fissione e dal decadimento dei nuclei creati dalla fissione stessa viene asportata da un fluido refrigerante che, direttamente o attraverso scambiatori di calore, produce vapore. In alcune tipologie di reattore il fluido refrigerante agisce anche come moderatore della reazione. Attraverso un sistema di turbine l'energia termica del vapore viene trasformata in energia meccanica e successivamente, grazie all'impiego di alternatori, in energia elettrica. Il vapore non più utilizzabile per produrre energia meccanica viene indirizzato a un sistema di raffreddamento (condensatore) che gli sottrae calore prima di reimmetterlo nel ciclo sotto forma d'acqua. Il processo avviene attingendo grandi quantità di acqua da sorgenti naturali (laghi o fiumi). Prima di riversare nuovamente queste masse d'acqua nelle sorgenti naturali è necessario abbassare la loro temperatura facendole circolare all'interno di gigantesche torri di raffreddamento.
Il raffreddamento del nocciolo, oltre che essere direttamente a monte della produzione di energia elettrica, è di fondamentale importanza per evitare pericolosi surriscaldamenti della struttura. Se non opportunamente raffreddato, infatti, un reattore può andare incontro alla fusione del nocciolo, praticamente alla sua liquefazione, con le barre di combustibile che finiscono col trasformarsi in una poltiglia bollente. A causa delle elevate temperature che il fenomeno comporta e alle potenziali reazioni esplosive (l'acqua presente potrebbe liberare idrogeno) si può giungere alla rottura della struttura di contenimento e delle barriere protettive con la conseguente diffusione all'esterno dell'impianto di prodotti radioattivi.
Proprio per evitare la diffusione di sostanze radioattive, un reattore nucleare è generalmente contenuto in strutture in grado di resistere sia a sollecitazioni esterne (per esempio terremoti o incidenti di altra natura, compresi attacchi terroristici) sia a potenziali sollecitazioni interne non solo di tipo meccanico (per esempio esplosioni di gas accumulatosi per malfunzionamento degli impianti di ventilazione), ma anche chimico (per esempio corrosione indotta dai fluidi impiegati). Ragioni di sicurezza, inoltre, impongono la ridondanza dei sistemi critici. Ogni reattore prevede per esempio più sistemi di raffreddamento, ciascuno autonomo e in grado di rispondere da solo alle esigenze dell'impianto.
Una volta che le barre di combustibile, diventate col passare del tempo sempre più povere di materiale fissile, non sono più in grado di sostenere la reazione a catena devono essere sostituite (ricarica del reattore). Una carica del nocciolo può durare anche diversi anni e la geometria del reattore, cioè la disposizione delle barre di combustibile nucleare, influisce sulla rapidità con cui una barra deve essere sostituita (solitamente le barre centrali hanno vita più breve). La configurazione a barre risulta dunque vantaggiosa perché permette la sostituzione solo degli elementi esausti. A causa della radioattività dei materiali le operazioni di ricarica sono estremamente delicate e complesse.
2. Quali sono i principali tipi di reattori esistenti?
La più diffusa modalità di classificazione dei reattori nucleari si basa sul sistema di raffreddamento che li caratterizza. La maggior parte dei reattori (circa l'80%) di quelli attualmente in funzione impiega un sistema di raffreddamento ad acqua e vengono pertanto classificati come LWR (Light Water Reactor). Il termine light water (acqua leggera) indica l'acqua ordinaria e viene impiegato per distinguerla dall'acqua pesante, nella quale anziché 2 atomi di idrogeno ci sono 2 atomi di deuterio. In questi reattori, oltre al compito di raffreddare il nocciolo, l'acqua ha anche quello di moderare le reazioni nucleari. Questa classe di reattori si differenzia in due distinte tipologie. La prima comprende i sistemi nei quali la circolazione dell'acqua non avviene a elevate pressioni (tipicamente 70 atmosfere) e vengono pertanto denominati BWR (Boiling Water Reactor). In essi vi è un unico circuito dell'acqua che, vaporizzata nel contenitore del nocciolo, raggiunge le turbine e da qui, dopo essere stata riportata allo stato liquido nel condensatore, ritorna nel vessel del reattore. Questo comporta che le turbine possano essere contaminate da materiali radioattivi presenti nell'acqua. Nell'ex Unione Sovietica una tipologia simile (in cui però è la grafite a fungere da moderatore) veniva denominata RBMK (Reaktor Bolshoy Moshchnosti Kanalniy – Reattore di alta potenza a canali). Era di questo tipo il reattore di Chernobyl.
Alla seconda tipologia, la più comune, appartengono i reattori PWR (Pressurized Water Reactor), caratterizzati da un circuito primario chiuso nel quale l'acqua circola a elevate pressioni (tipicamente 150 atmosfere) e un circuito secondario in cui viene generato il vapore per alimentare le turbine. I due circuiti sono separati e dunque alle turbine e al condensatore non giunge acqua potenzialmente contaminata. I reattori di questo tipo realizzati nell'ex Unione Sovietica venivano indicati con la sigla VVER (Vodo-Vodyanoi Energetichesky Reactor – Reattore energetico acqua-acqua).
Un'altra tipologia di reattori (circa il 10%) è costituita dai PHWR (Pressurized Heavy Water Reactor). Sostanzialmente simile ai PWR, utilizza come refrigerante e moderatore l'acqua pesante (heavy water), che circola a elevate pressioni in un circuito primario chiuso. Il calore viene ceduto a un circuito secondario in cui circola acqua ordinaria che, vaporizzata, finisce alle turbine. A questa tipologia appartiene la famiglia di reattori canadesi CANDU (CANada Deuterium Uranium) e il reattore sperimentale italiano CIRENE (mai entrato in funzione). L'utilizzo di acqua pesante come moderatore permette di impiegare quale combustibile l'uranio naturale, senza dunque dover ricorrere al suo arricchimento.
Vi sono infine in funzione anche reattori che utilizzano quale refrigerante il gas e per questo vengono denominati GCR (Gas Cooled Reactor). Operanti quasi esclusivamente nel Regno Unito, comprendono la tipologia Magnox (dal nome della lega di magnesio impiegata per rivestire gli elementi di combustibile) – tipologia realizzata fino al 1971 – e la AGR (Advanced Gas-cooled Reactor). Entrambi i tipi utilizzano quale refrigerante l'anidride carbonica e come moderatore la grafite. Uno scambiatore di calore trasferisce l'energia termica dal gas a un circuito separato contenente acqua che, vaporizzata, aziona le turbine.
3. Che differenza c’è fra reattori di prima, seconda e terza generazione?
Con il termine “generazione” si intendono gli sviluppi successivi che nel corso degli anni hanno caratterizzato la costruzione dei reattori nucleari. Questi sviluppi hanno coinvolto non solo gli aspetti tecnologici (tipo di combustibile, sistema di raffreddamento, tipo di moderatore), ma anche le scelte costruttive legate alla sicurezza.
Alla prima generazione appartenevano i primi impianti di bassa potenza (decine o centinaia di MW) costruiti a cavallo degli anni 50 e 60. Mentre in URSS si privilegiava la tipologia acqua-grafite (raffreddamento ad acqua e moderazione con blocchi di grafite), il primo rettore USA fu di tipo BWR e quello del Regno Unito di tipo gas-grafite. In Canada si studia e sviluppa la filiera CANDU (acqua pesante e uranio naturale).
La seconda generazione (da metà degli anni ‘60 alla metà degli anni ‘90) è caratterizzata da impianti di grande potenza (dell'ordine dei 1000 MW) di tipo LWR (raffreddamento ad acqua) realizzati soprattutto nelle due filiere BWR (acqua bollente) e PWR (acqua in pressione). Appartiene a questa generazione la quasi totalità degli impianti nucleari funzionanti nel mondo.
A partire dalla metà degli anni ‘90 iniziarono a essere progettati e costruiti impianti di terza generazione, evoluzione dei PWR oppure dei sistemi CANDU con standard di sicurezza più elevati, maggiore affidabilità e costi inferiori. Rispetto alla generazione precedente non c'è una sostanziale differenza nei concetti base del funzionamento né per quanto riguarda il raffreddamento né per la scelta del combustibile, ma la filosofia di progettazione diventa molto più attenta ai potenziali rischi imponendo norme più severe per la sicurezza e la tenuta degli impianti. Attualmente sono in servizio quattro reattori di questa generazione (tipo ABWR) in Giappone e un'altra trentina sono in fase di costruzione oppure già commissionati.
Si parla anche di una terza generazione avanzata (III+), caratterizzata da standard di sicurezza ancora più restrittivi (per esempio l'aggiunta di un ulteriore guscio di cemento armato, l'impiego di leghe particolari per gli scambiatori di calore, la ridondanza dei sistemi di pompe e raffreddamento e un contenimento metallico a tenuta attorno al reattore), ma non tutti concordano sulla reale efficacia in caso di grave incidente. Appartiene a questa generazione il reattore europeo EPR.
4. Quanto dura un reattore?
I reattori di I e II generazione erano stati progettati per una vita operativa di 30 anni. La previsione derivava direttamente dall'esperienza maturata con le centrali termoelettriche convenzionali e dalla valutazione dei costi di manutenzione per garantire l'efficienza e la sicurezza dell'impianto. Secondo tale previsione gran parte degli impianti nucleari in funzione (II generazione) dovrebbero pertanto essere ormai prossimi al termine previsto per il loro esercizio.
Se calcoliamo la vita media dei 95 impianti nucleari dismessi (fonte World Nuclear Association, 2010) otteniamo il valore di circa 23 anni. E' vero che tra questi figurano anche impianti sperimentali, dunque destinati per loro stessa natura a vita breve, ma anche non considerando queste situazioni la vita media rimane inferiore ai 27 anni. L’esperienza maturata sugli impianti, però, ha dimostrato la possibilità che si possa prolungare la vita operativa di un reattore anche fino a 40 anni. I dati IAEA (International Atomic Energy Agency) del gennaio 2011, infatti, indicano che dei 442 impianti nucleari in funzione nel mondo 123 hanno età comprese tra 25 e 29 anni, 91 tra 30 e 35 anni e 99 sono entrati in esercizio oltre i 35 anni fa (14 di questi hanno più di 40 anni).
Secondo i progettisti, i criteri tecnici adottati nella costruzione dei reattori di III generazione dovrebbero garantire una vita operativa di 60 anni. Si tratta però di una stima teorica non ancora supportata da dati reali.
All'origine dell'invecchiamento di un reattore vi sono almeno tre tipologie di cause. Anzitutto il fatto che, con il trascorrere del tempo e l'utilizzo in condizioni spesso critiche, ci sono componenti che si deteriorano, si corrodono o degradano a un livello insufficiente di efficienza e sicurezza. Una seconda causa che incide sulla durata è l'obsolescenza delle apparecchiature. Per esempio, i reattori più datati possiedono strumentazione e sistemi di controllo di tipo analogico e diventa dunque cruciale decidere se rimpiazzarli con sistemi digitali (più affidabili e di maggiore durata) oppure lasciare gli originali intervenendo con la loro manutenzione. Una terza causa è dovuta al degrado stesso dei materiali che compongono la struttura, sottoposti allo stress termico e al bombardamento neutronico. Alcuni vessel (recipienti) pressurizzati impiegati nei reattori più datati, per esempio, sono stati realizzati con uno spessore attualmente giudicato insufficiente e questo potrebbe pregiudicare la loro tenuta.
E' vero che alcuni componenti obsoleti o degradati possono essere sostituiti, ma non sempre l'operazione potrebbe risultare economicamente redditizia per il gestore dell'impianto. Al di là delle motivazioni economiche, comunque, la valutazione chiave è quella della sicurezza, imposta anche dalle norme emanate dall'IAEA che impongono periodici e severi controlli soprattutto per gli impianti più datati.
5. Che cos’è il nucleare di quarta generazione?
Con il termine di reattori di IV generazione si indica una serie di reattori, attualmente ancora in fase di ideazione, caratterizzati da tecnologie molto differenti da quelle presenti sia negli impianti oggi in servizio che in quelli già progettati. La ricerca su questa nuova famiglia di reattori è stata promossa dal Dipartimento per l'Energia degli USA che a tal fine ha istituito nel luglio 2001 il GIF (Generation IV International Forum) al fine di sviluppare sistemi nucleari che potranno essere operativi tra 30 o 40 anni.
I requisiti di base che i nuovi progetti dovranno rispettare comprendono la sostenibilità (ottimizzazione nell'uso del combustibile e minimizzazione dei rifiuti), l'economicità (impatto finanziario equivalente a quello degli altri impianti energetici), la riduzione dei rischi di proliferazione nucleare nonché la sicurezza e affidabilità (lo scenario di rilascio di radioattività fuori dal sito, per esempio, deve essere assolutamente impossibile). In questo senso sarà fondamentale la presenza di un sistema sicuro e passivo di smaltimento della potenza termica generata dal decadimento radioattivo dei materiali in caso di arresto di emergenza dell'impianto.
Per raggiungere questi obiettivi sono state ipotizzate sei tipologie di reattori nucleari a fissione, tre a neutroni lenti e tre a neutroni veloci. Tra i sistemi a neutroni lenti (reattori termici) figurano: il VHTR (Very High Temperature Reactor), basato su un nocciolo con grafite come moderatore e un ciclo di utilizzo dell'uranio a singolo passaggio; il SCWR (SuperCritical Water Reactor), fondamentalmente un reattore LWR operante però a temperature e pressioni superiori ai dati critici (simile in questo agli attuali PWR); il MSR (Molten Salt Reactor), reattore a sali fusi in cui il combustibile è disperso in una matrice di grafite e il sale fuso opera da refrigerante assicurando il raffreddamento a bassa pressione e alte temperature.
Tra i sistemi a neutroni veloci (reattori autofertilizzanti) figurano: il GFR (Gas-cooled Fast Reactor), raffreddato a elio che viene impiegato come fluido termodinamico per muovere una turbina a gas; il SFR (Sodium-cooled Fast Reactor), raffreddato a sodio e dunque simile in questo al progetto francese Superphénix; il LFR (Lead-cooled Fast Reactor), raffreddato con un metallo liquido quale il piombo o una miscela a basso punto di fusione di bismuto e piombo.
La presenza in tutti i modelli di elevate temperature non solo migliorerebbe l'efficienza termodinamica nella produzione di potenza elettrica, ma renderebbe i reattori di IV generazione idonei alla produzione di idrogeno da utilizzare quale carburante per veicoli a bassissima emissione.
6. Quanto tempo ci si impiega a costruire una centrale?
Secondo i costruttori, gli attuali reattori di terza generazione hanno un tempo tecnico di costruzione di circa 50 mesi. Non tutti, però, concordano con tale valutazione. In un comunicato stampa (02/05/2007) che cita un'analisi condotta dal World Energy Council, Greenpeace ha fatto notare che il tempo necessario per completare la costruzione di un reattore nucleare è aumentato da 66 mesi (a metà degli anni Settanta) a 116 mesi per quelli costruiti fra il 1995 e il 2000.
La stessa localizzazione dell'impianto può incidere sui tempi costruttivi. In Asia, per esempio, i tempi tecnici di costruzione degli impianti da 1300 MW divenuti operativi nel 1996 e 1997 sono stati contenuti entro 48-54 mesi, dunque in linea con le stime dei progettisti.
Bisogna comunque tenere in debito conto anche il fatto che, prima della costruzione, le legislazioni nazionali prevedono l'acquisizione di autorizzazioni sia per la scelta del sito che per la costruzione e la messa in servizio. Per esempio, l'impianto attualmente in costruzione a Olkiluoto (Finlandia), il primo reattore EPR di generazione III+ al mondo, ha iniziato il suo iter burocratico nel 1998, è stato approvato dal governo nel 2002 e la licenza edilizia è stata rilasciata tre anni più tardi. La costruzione è dunque iniziata nel 2005 e, se non interverranno altri intoppi, si prevede che potrà entrare in funzione intorno al 2013.
7. Quali sono i sistemi di sicurezza più moderni?
L’incidente di Fukushima Daiichi (11 marzo 2011) rimette al centro dell’attenzione la sicurezza del nucleare. C’è da dire che le centrali di III generazione che vengono proposte adesso - come la EPR della Areva e la AP1000 della Westinghouse - sono già concepite con standard di sicurezza alti. Le centrali di nuova generazione sono infatti dotate di sistemi di sicurezza ridondanti, che prendono in considerazione incidenti che nel passato non venivano nemmeno concepiti in sede di progetto. Ecco allora le contromisure messe in gioco dai due impianti in caso di fusione del nocciolo, durante il quale, se il raffreddamento non garantisce un controllo della temperatura, possono esserci rilasci di sostanze radioattive dal reattore, anche se pur sempre all’interno di un edificio di contenimento. L'AP1000 ha un vessel (contenitore del reattore) in acciaio che può essere facilmente raffreddato dall'esterno. Nel caso vi sia fusione del nocciolo e l'acqua evapori, essa torna allo stato liquido a contatto con le pareti fredde del vessel in acciaio e quindi torna ad allagare il reattore abbassandone la temperatura.
Il reattore dell'EPR, invece, è confinato in due scocche di cemento armato dello spessore di 1,5 metri, a prova non solo di impatto di caccia, ma – dopo l'11 settembre – anche a prova di aereo di linea. Se il nocciolo fuso dovesse per qualsiasi motivo sfondare il vessel, esso verrebbe raccolto su una apposita superficie protetta e raffreddata chiamata core catcher, in grado di raffreddare il nocciolo e di mantenerlo in condizioni di sicurezza.
I costruttori delle centrali di generazione III+ dichiarano un altissimo livello di protezione antisismica, antincendio e antiallagamento. I sistemi di sicurezza sono tali che le nuove centrali non dispongono nemmeno di un piano di evacuazione in caso di incidente, poiché l'eventualità di una contaminazione esterna all'impianto sarebbe sostanzialmente pari a zero. MA non tutti se la sentono di giurare su questa pretesa di sicurezza assoluta; prima fra tutte le agenzia per la sicurezza nucleare francese, inglese e finlandese che nel 2009 hanno chiesto congiuntamente ai costruttori una lunga serie di modifiche ai sistemi di controllo degli EPR, giudicati troppo complessi e pertanto non ottimali.
8. Che cos'è il decomissioning di un reattore?
Con
questo termine si indicano le procedure di smantellamento o di messa
in sicurezza di un reattore nucleare giunto al termine del suo ciclo
produttivo. Le maggiori difficoltà (e i costi) rispetto allo
smantellamento delle centrali non nucleari provengono ovviamente dal
fatto che si ha a che fare con materiali rimasti per anni a contatto
con la radioattività.
L'Agenzia
internazionale per l'energia atomica (IAEA) ha definito tre
possibilità per il decommissioning:
- Procedura di tombatura (Entombment), che prevede la permanenza nel sito di materiale radioattivo. Si riduce il più possibile l'area interessata e il materiale viene racchiuso in una struttura di lunga durata in cemento armato sigillata e refrigerata. E' la soluzione adottata per Chernobyl.
- Procedura di chiusura in sicurezza (SAFTSTOR), che prevede l'asporto delle barre di combustibile, dei fluidi e delle tubature. L'edificio non viene demolito, ma il reattore sigillato e l'accesso al pubblico vietato oppure regolamentato. Solitamente la procedura precede lo smantellamento e la bonifica definitiva.
- Procedura di smantellamento (DECON), che prevede il rilascio senza restrizioni del sito solitamente dopo la completa demolizione delle strutture, la rimozione dei materiali e la bonifica dell'area. Generalmente la procedura inizia entro pochi mesi o anni (a seconda della struttura) dalla dismissione dell'impianto.
9. Che efficienza energetica ha il nucleare rispetto ad altre fonti?
Una centrale nucleare per la parte turbina e alternatore è identica a una centrale termoelettrica a vapore tradizionale; cambia solo il combustibile, o meglio il modo in cui si riscalda l’acqua allo scopo di produrre il vapore che alimenterà la turbina. In una centrale convenzionale la vaporizzazione dell’acqua avviene all’interno di una caldaia alimentata con carbone o olio combustibile, in una centrale nucleare avviene tramite il circuito di raffreddamento delle barre di combustibile, sfruttando il calore sviluppato dalla reazione di fissione. Il rendimento di trasformazione dell’energia termica in energia elettrica è perciò simile a quello di una centrale termoelettrica tradizionale; anzi un po’ inferiore in quanto la temperatura del vapore è più bassa. Se in una centrale a ciclo semplice a vapore il rendimento è vicino al 38% (e in una centrale a ciclo combinato, con turbina a gas e turbina vapore, sale addirittura al 57% ) in una centrale nucleare il rendimento è dell’ordine del 33%. Il resto dell’energia, ben due terzi, viene perduta sotto forma di calore disperso in atmosfera (torri di raffreddamento) o ceduto a un grande corpo idrico (generalmente il mare o un grande fiume).
Una centrale termoelettrica tradizionale ha la possibilità di regolare rapidamente il carico, cioè la potenza erogata, variando il flusso di combustibile immesso in caldaia. La regolazione della centrale nucleare è invece più complicata, e rende l’impianto meno agile nella variazione della potenza erogata. Questo comporta altri problemi. Se per esempio la rete elettrica esterna, per black out o altro, smette di assorbire l'energia elettrica, il calore si accumula all'interno della centrale, che deve essere adeguatamente raffreddata.
10. Che cosa sono le microcentrali nucleari?
Fondamentalmente si tratta di impianti nucleari di ridotte dimensioni caratterizzati da una produzione di energia inferiore a quella degli impianti tradizionali. Tra quelli più prossimi alla realizzazione citiamo il modello 4S (Super Safe, Small and Simple) ideato da Toshiba in collaborazione con l'Istituto giapponese CRIEPI (Central Research Institute of Electric Power Industry) la cui prima installazione è prevista presso la città di Galena, in Alaska.
Si tratta di un reattore a neutroni veloci che utilizza pannelli riflettenti per neutroni lungo il perimetro per mantenere la necessaria densità di neutroni. Questi pannelli, dunque, rimpiazzano il sistema di regolazione a barre di controllo garantendo comunque la possibilità di arrestare la reazione nucleare in caso di emergenza. Per il raffreddamento il 4S implementa un circuito a sodio liquido che permette temperature di esercizio più elevate di quelle consentite dall'acqua e nello stesso tempo riduce la pressione all'interno del vessel di contenimento. Le elevate temperature offrono inoltre la possibilità della produzione di idrogeno da destinare quale carburante al mercato dell'autotrazione. Il reattore è progettato per produrre 10 MW di potenza elettrica, ma già si sta pensando a una versione da 50 MW.
L'impianto di Galena (che potrebbe diventare operativo nel giro di un paio d'anni) prevede una struttura cilindrica sotterranea sigillata di 30 metri mentre la costruzione in superficie sarà di 22 x 16 x 11 metri. I dati di progetto indicano un funzionamento di 30 anni senza ricarica, al termine dei quali le barre di combustibile (lega di uranio-zirconio con arricchimento inferiore al 20% oppure lega U-Pu-Zr con il 24% di plutonio) devono raffreddarsi per un anno prima di essere rimosse e stoccate.
Non tutti, però, concordano con la filosofia che sta alla base delle microcentrali e c'è chi lo considera un tentativo di aggirare il problema della localizzazione di siti adatti alla costruzione di grandi centrali nucleari in zone ad alta densità di insediamento (come può essere l'Italia).
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