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Da Stalingrado a Vita e destino: la parabola dell'URSS nei due capolavori di Vasilij Grossman

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Vasilij Grossman (Berdychiv, 1905 - Mosca, 1964). Vita e opere: Study Center Vasily Grossman.

«I decadenti non sono pericolosi per lo Stato, sono semplicemente inutili, non interessano; tra decadentismo e realismo socialista non c'è un baratro. Si è discusso molto su cosa fosse il realismo socialista. È uno specchio, al quale Stato e partito chiedono: "Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più bello del reame?" e lui risponde "Tu, partito caro, tu, governo, tu, Stato! Il più bello sei tu". Mentre alla stessa domanda i decadenti rispondono "Sono io il più bello, io, io, io!". Non mi pare una gran differenza. Il realismo socialista è l'affermazione dell'eccezionalità dello Stato, il decadentismo di quella dell'individuo... I decadenti non s'interessano all'uomo e all'uomo non si interessa nemmeno lo Stato. Altro che baratro. Ma Čhecov, lui si è caricato sulle spalle la mai nata democrazia russa; il cammino di Čhecov è il cammino di libertà della Russia. Forse soltanto Balzac ha introdotto così tanti personaggi nell'immaginario collettivo. Anzi, no, nemmeno lui: medici, ingegneri, avvocati, insegnanti, professori, proprietari terrieri, bottegai, industriali, istitutrici, lacchè, universitari, impiegati di ogni livello, venditori di bestiame, bigliettai, mezzane, sacrestani, arcipreti, contadini, operai... forzati di Sachalin... Čhecov ha portato nel nostro immaginario tutta la Russia nella sua imponenza, con tutte le sue classi, tutti i ceti sociali e le età... Ce li ha portati tutti democraticamente, da autentico democratico russo.

E, come nessuno aveva fatto prima di lui, nemmeno Tolstoj, ha detto: siamo prima di tutto esseri umani, uomini, persone. Ha detto che l'importante è che gli uomini siano prima di tutto uomini e solo poi arcipreti, russi, bottegai, tatari, operai. Lo capite? Non siamo buoni o cattivi perché siamo arcipreti o operai, tatari o ucraini. Siamo tutti uguali perché siamo esseri umani... Čhecov è la bandiera più grande che abbia mai garrito sulla Russia nei mille anni della sua storia: l'alfiere della democrazia buona, della vera democrazia russa, della dignità dei russi, della libertà russa. Perché il nostro umanitarismo è sempre stato intollerante, crudele e settario. Da Avvakum a Lenin umanitarismo e libertà sono stati partigiani, fanatici e hanno sempre sacrificato l'uomo all'umanità astratta.

Quando proclama di non volersi opporre al male con la violenza è intollerante persino Tolstoj, perché non ha in mente l'uomo, ma Dio. Per lui ciò che conta è che trionfi l'idea della bontà, ma gli uomini di Dio cercano sempre di inculcarteLo con la forza, il Divino, e in Russia, poi, non si fermano di fronte a nulla: ti infilzano, ti ammazzano. Čhecov ha detto: Dio si faccia da parte e si facciano da parte le cosiddette grandi idee progressiste. Partiamo dall'uomo, mostriamogli bontà e attenzioni chiunque egli sia, arciprete, contadino, industriale milionario, forzato di Sachalin, cameriere in un ristorante. Iniziamo rispettando, compatendo, amando l'uomo, altrimenti non ne verrà nulla. È questa la democrazia, la democrazia mai nata del popolo russo. In mille anni i russi ne hanno viste di tutti i colori, hanno visto la grandezza e la megalomania. Una cosa non hanno mai visto, invece: un sistema democratico. Ed è proprio questa la differenza tra Čhecov e il decadentismo. A un decadente lo Stato può dare una scoppola o un calcio nel sedere. Mentre di Čhecov non capisce l'essenza, la profondità e per questo lo tollera. La democrazia vera, la democrazia dell'uomo, non si addice ai sovietici».

In questa conversazione tra amici davanti a un the, che avviene a pagina 240 di Vita e destino, nella povera stanza di un accademico delle scienze e di sua moglie, è racchiusa la summa poetica di Vasilij Grossman. Di questo romanzo (Vasilij Grossman, Vita e destino, Adelphi, 2008) è stato finalmente tradotto in italiano, per i tipi di Adelphi, quello che oggi si definisce prequel, intitolato Stalingrado (come voleva il suo autore, in sostituzione dell'apocrifo Per una giusta causa, imposto perché echeggiava la frase pronunciata da Molotov nell'annuncio di guerra alla Germania). Il romanzo era stato scritto tra il 1943 e il 1949, nell'immediatezza della battaglia e pubblicato nel 1952, un anno prima della morte di Stalin (Vasilij Grossman, Stalingrado, Adelphi, 2022).

Della battaglia di Stalingrado, Grossman era stato testimone oculare; nato in Ucraina, di formazione chimico, ma appassionato di fisica, aveva passato tre anni sul fronte est europeo come corrispondente di guerra per la rivista dell'esercito sovietico Krasnaja Zvezda (Stella rossa). Al seguito dell'Armata rossa, era anche entrato nei campi di sterminio di Treblinka e Majdanek e fu tra i primi a raccontare il genocidio degli ebrei nell'Europa orientale.

La questione ebraica, in Ucraina soprattutto, era lo sfondo buio e dolente dell’Europa a ferro e fuoco di Grossman: dolente certamente per lo scrittore, che aveva perso la madre, Ekaterina Savel’evna, assassinata con altre trentamila persone dai tedeschi, nel settembre 1941 a Berdychiv, sua città natale; buio e opaco per il potere sovietico, che non ammetteva altro olocausto che quello dei suoi venti milioni di morti nella Grande guerra patriottica. Quando questa ebbe fine, Grossman vide scemare le speranze di un allentamento del giogo del regime e metastatizzare il cancro dell'antisemitismo.

Così, da Stalingrado a Vita e destino, la sua scrittura passa dall'epica alla compassione priva di retorica, quando racconta l'imprescindibile lotta contro il nazismo sulle rive del Volga o le vicende dei civili sfollati o le sofferenze non solo di chi è prigioniero nei lager nazisti, ma anche di chi è finito nel gulag sovietico. Qui, menscevichi ormai cancellati dalla Storia e bolscevichi della prima ora che però hanno deviato dalla linea del partito (oppure hanno solo fatto un passo falso parlando di Stalin) sono sopravvissuti miserabili, accomunati da un pervicace amore per la loro terra e nell'invocazione della vittoria.

In questi due libri, è la guerra a unire e separare le vite e i destini, a forgiare le convinzioni e i desideri ed è la guerra a sublimare, almeno per il tempo della sua durata, la profonda scissione tra l'individuo (irripetibile, fragile e fallace, ma capace di amore e di sacrificio) e lo Stato, vero e proprio Golem costruito per difendere i deboli e degenerato a dispensare a suo arbitrio il diritto alla vita. Il male si cela sotto le apparenze di un bene astratto e universale, per conseguire il quale sono autorizzate nefandezze di ogni entità, dai piccoli tradimenti e soprusi fino allo sterminio per fame di intere comunità agricole.

Nelle quasi 800 pagine del romanzo continuamente s’insinua, nelle conversazioni al fronte o dentro le case, l’allusione al "Trentasette", sempre bastante anche quando appena accennata. Nelle purghe staliniane, tra il 1936 e il 1939, stando gli archivi del NKVD (Narodnyj komissariat vnutrennich del), Commissariato del popolo per gli affari interni, furono condannati a morte per controrivoluzione circa 225.000 persone e, in particolare, nel 1937 furono celebrati i più vasti processi che portarono alla deportazione o all'esecuzione di presunti cospiratori (fonte Fondazione Alexander N. Yakovlev).

In quegli anni, le forze armate sovietiche epurarono quasi tutti i comandanti di corpo d'armata e 35.000 ufficiali su 144.300; così, allo scoppio della guerra, furono richiamati in servizio dai campi di prigionia quelli ancora in vita e dovettero essere formate nuove leve, che inizialmente non furono adeguate, nel respingere i tedeschi. Non lo tace Vasilij Grossman e la sorte del secondo libro della sua epopea, quindi, non stupisce. Il primo, Stalingrado, era stato più volte modificato, su richiesta della censura, per assoggettarlo a istanze ideologiche (“per una giusta causa"), tanto che, per varare l'attuale edizione, è stato necessario un difficile (talvolta arbitrario) lavoro di ricostruzione delle intenzioni originali di Grossman. Invece, quando, nell'ottobre 1960, presentò Vita e destino alla rivista Znamja (bandiera), dopo quasi dieci anni di scrittura, lo scrittore era definitivamente convinto che la verità non può mai essere controrivoluzionaria («Chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda e chi legge ha il dovere civile di conoscere questa verità»).

Il prestigio di Grossman era tale che gli venne dato un congruo anticipo "a scatola chiusa", ma, dopo aver letto il libro, il caporedattore lo passò ai funzionari del partito, che lo bollarono come antisovietico («Perché mai dovremmo aggiungere il vostro libro alle bombe atomiche preparate dai nostri nemici contro di noi?»). Il KGB sequestrò tutte le copie esistenti del romanzo, ma non seppe delle due che erano state in precedenza affidate agli amici Semen Lipkin e Vjačeslav Loboda per un parere. Grossman inviò una lettera di protesta al segretario generale del PCUS Nikita Chruščëv:

Io chiedo la libertà per il mio libro al quale ho dedicato la vita... non l'ho rinnegato e non lo rinnegherò. Ritengo, come prima, di aver scritto la verità, di averla scritta amando e compiangendo gli uomini, credendo negli uomini.

Vasilij Grossman morì a 59 anni il 14 settembre 1964, senza aver visto la pubblicazione del libro. La copia in mano a Lipkin, incompleta e fotografata in due microfilm con l'aiuto dei dissidenti Vladimir Vojnovič e Andrej Sacharov, arrivò in Svizzera nel 1980 e fu stampata dalla casa editrice L'Age d'Homme, fondata da uno scrittore serbo; venne poi stampata in Francia e quattro anni dopo in Italia, da Jaca Book. Nell'URSS, il romanzo uscì nel 1989, nello spiraglio della glasnost. Nello stesso anno, gli eredi di Loboda consegnarono agli eredi di Grossman, che la pubblicarono a Mosca, la seconda copia del romanzo, integrale e con le correzioni autografe dell'autore (ora conservata alla Houghton Library dell'Università di Harvard). L'edizione italiana di Adelphi del 2008 ha tradotto questa stesura.*

Nel luglio 2013, con una solenne cerimonia, il governo russo ha restituito 13 scatole di carte sequestrate allo scrittore a sua figlia Ekaterina (che porta il nome della nonna uccisa dai nazisti), per volontà della quale ora i documenti sono a disposizione del pubblico presso l'Archivio di Stato russo della letteratura e dell'arte.

* Dal settembre del 2020 è disponibile l'audiolibro integrale (41 ore) di Vita e destino, prodotto dalla casa editrice Emons.

 


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