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La clonazione non è solo scienza

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I macachi Zhong Zhong e Hua Hua sono i primi primati creati con lo stesso metodo usato per la pecora Dolly. Credit: Image by Institute of Neuroscience/ Chinese Academy of Sciences.

Tempo di lettura: 3 mins

L’identità comincia dal nome, e per fortuna i due macachi clonati a Shangai hanno nomi diversi, ancorché doppi: Zhong Zhong e Hua Hua. Dal punto di vista della ricerca di base la nuova clonazione non è una novità: la tecnica utilizzata è la stessa di Dolly, il trasferimento di nucleo. Anche se - come spiega Carlo Alberto Redi - questa volta i ricercatori cinesi sono riusciti evidentemente ad agire sulla regolazione genica in modo da disinnescare i sistemi di controllo che impediscono di solito alla cellula somatica di tornare al punto di partenza per avviare un nuovo differenziamento. Rispetto a Dolly, questa volta i ricercatori - dopo aver provato con cellule della pelle di un macaco - si sono indirizzati a cellule embrionali per massimizzare le probabilità di successo, così che da 6 gravidanze due sono state portate felicemente a termine.

A cosa servirà quindi questo exploit tecnico che aggiunge due nuovi individui allo zoo ormai discretamente ricco di esseri clonati, fra rane, topolini, Dolly, il toro Galileo, maiali e altri ancora?

Trovato un modo molto più semplice ed efficace di produrre cellule staminali, la clonazione potrebbe costituire una risposta alla nascita di bambini sani da mamme affette da malattie mitocondriali, oppure generare esemplari identici di cavie da laboratorio per una sperimentazione animale più efficace; forse la clonazione potrebbe dischiudere la strada degli xenotrapianti, una volta risolto il problema del rigetto. Ma soprattutto consentire una migliore comprensione dei meccanismi epigenetici, che intervengono a differenziare durante il corso della vita l’espressione di genomi altrimenti identici.

Chiamati a commentare la notizia, sia Elena Cattaneo sia Edoardo Boncinelli hanno sottolineato che la scienza non si può fermare a colpi di scomuniche e divieti, e che solo proseguendo su questa strada la ricerca mostrerà le possibili ricadute positive della clonazione. Certo è che ormai non si può più escludere che qualcuno possa provarci anche con l’uomo. E magari riuscirci. E questo è un bel problema, che interpella non solo gli scienziati ma tutti noi. Boncinelli se la cava molto ottimisticamente in questo modo: “Il compito che l’universo ci ha assegnato è dare un nome alle cose e commentarle, senza cedere alla nostra passione predominante: giudicare e condannare, come tanti piccoli Minosse. Ricordiamoci che non siamo al centro dell’universo, e nemmeno più al centro del mondo civile. E’ molto ragionevole che il primo uomo ‘progettato a tavolino’ abbia gli occhi a mandorla o indossi un sari”.

Non possiamo però ignorare che la clonazione umana mette in crisi il concetto di identità e di dignità tradizionalmente inteso, e riveste quindi un significato antropologico e filosofico.

Scriveva Jacques Monod in epoca pre clonazione: “La scienza, e la biologia molecolare in particolare, hanno un potere distruttivo maggiore della più potente tecnologia, della stessa energia nucleare. Perché la conoscenza obiettiva della vita non distrugge il mondo fisico, ma demolisce dalle fondamenta quella antica alleanza tra l’uomo e la natura che da sempre costituisce il fondamento dei valori morali condivisi. E costringe l’umanità a ricominciare da capo, senza certezze nel bene e nel male, per scoprire la sua completa solitutdine, la sua totale stranezza”.


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