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Capire e usare le immagini

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Da sinistra, la foto segnaletica della polizia di L.A. e le due copertine di Newsweek e di Time della stessa settimana. Siamo nel 1994. Correttamente stampata da Newsweek, la foto su Time è stata data in mano a un illustratore che ha reso O.J. Simpson con toni scuri che suggeriscono un'atmosfera fosca e in un certo senso colpevolizzante, pur essendo al tempo della pubblicazione unicamente stato accusato di uxoricidio ma non essendo ancora stato processato. La comunità dei lettori di Time ha rumorosamente protestato per questa manipolazione tendenziosa.

Le immagini fotografiche sono intrinsecamente ambigue, si prestano facilmente a essere manipolate e utilizzate strumentalmente. E' utile e necessario entrare in possesso di adeguati dispositivi di analisi e decodifica per poterci considerare cittadini alfabetizzati ai linguaggi visuali del terzo millennio.
Ho iniziato a occuparmi del mondo dei falsi dopo aver visitato nel 1990 al British Museum la mostra Fake – The art of deception, una fantastica carrellata di falsi di ogni genere prodotti in ogni epoca, a partire dall’antica Babilonia. Il 1990, pochi lo sanno, è anche l’anno in cui è nato il primo e più diffuso software di fotoritocco professionale, Photoshop. La manipolazione digitale delle immagini ha permesso non solo di fare in maniera più accurata e in minor tempo ciò che si faceva anche prima in camera oscura, ma ha anche democratizzato questo processo, rendendolo facilmente disponibile a utenti non specializzati, al massimo un po’ più smanettoni della media.
Ma vorrei subito mettere in guardia chi pensasse che le foto che mentono sono soltanto quelle modificate con Photoshop: come cercherò di dimostrare le possibilità di interventi che contraffanno l’immagine si possono mettere in atto ancor prima dello scatto fotografico, oltre che durante e dopo.
Di seguito vi sottoporrò alcune immagini di cui non vi fornirò alcun elemento conoscitivo di contesto. Vi chiederò: si tratta di una foto veritiera o di un falso? Per essere più precisi: ciò che vediamo nella foto è una accurata restituzione della realtà oppure la rappresentazione travisa i fatti accaduti?

Alcune foto sono note, cioè sono dei grandi classici, e qualcuno le riconoscerà e saprà anche già la risposta corretta.

Non vi farò vedere foto come questa:

o questa:

Sarebbe troppo facile e non porterebbe un grande contributo al dibattito di oggi.

Altre immagini invece spero siano meno note al grande pubblico e vorrei che provaste anche ad analizzare su quali parametri state basando i vostri ragionamenti per dare sostanza al vostro giudizio, alle vostre valutazioni.

Cominciamo quindi con questa:

Si tratta di una foto genuina o è una foto costruita a simboleggiare il motto “fate l’amore e non la guerra”?
La risposta è: si tratta di una onesta e veritiera istantanea di cronaca scattata a Vancouver nel giugno 2011 dal fotogiornalista Rich Lam dell’agenzia Getty Images durante una protesta violenta tra tifosi scoppiata ai margini di una partita di hockey su ghiaccio. La ragazza, travolta dalla polizia che caricava, è rimasta ferita e giace, shockata, riversa a terra, mentre il fidanzato cerca di soccorrerla e confortarla. A quelli tra noi che la vedevano come un falso (incluso il sottoscritto), molto probabilmente sembrava eccessivo il contrasto tra scena di guerriglia urbana e la posa dei due, splendidamente isolati dal resto, che sembrano in un momento di effusioni amorose senza veli.
Un esempio semplice dunque di immagine onesta e veritiera che ci costringe a rivedere alcuni strumenti di decodifica, evidentemente inadeguati.

Passiamo ora a un altro esempio:

Si tratta di una foto genuina di una situazione drammatica o è una foto ritoccata con Photoshop?
Questa effettivamente è l’unione di due immagini tra loro del tutto estranee. In ambito giornalistico quasi trent’anni di Photoshop hanno portato a progressive limitazioni molto severe dell’uso di software per la elaborazione delle immagini, con regole scritte nei codici deontologici delle associazioni di giornalisti e delle testate di tutto il mondo, ma non sono terminate le discussioni, soprattutto nel campo del miglioramento delle immagini attraverso la saturazione dei colori, l’enfatizzazione dei contrasti, l’enfasi selettiva di determinati elementi dell’immagine. Resta tassativamente esclusa, questa sì da tutti condivisa, la possibilità di aggiungere o togliere elementi da un’immagine.

Procediamo con la nostra carrellata di immagini, con questa:

Si tratta di una foto genuina che rappresenta fedelmente i fatti di cui parla l’articolo della BBC?
La fotografia è autentica, è stata scattata dal fotoreporter italiano Marco Di Lauro. L’immagine è stata scattata a Al Musayyib, circa 40 km a sud di Baghdad, in Iraq, il 27 marzo 2003. Vi sono raffigurate le centinaia di corpi che vennero trovati in una fossa comune fuori dalla città, uccisi probabilmente durante la repressione di una rivolta sciita da parte del regime di Saddam Hussein dopo la guerra del Golfo del 1991.
Il problema come ci informa dettagliatamente il sito de Il Post sorge la mattina del 27 maggio 2012, nove anni dopo cioè, nel momento in cui il sito della BBC illustra la notizia del massacro di Hula in Siria, che in quelle ore stava causando una grande indignazione da parte dei leader e dell’opinione pubblica occidentale, con l’immagine di un bambino che salta tra file di corpi avvolti in lenzuola bianche: il rito usuale per la sepoltura secondo le norme della religione islamica, che prevede che il cadavere sia avvolto in un telo di lino o cotone bianco prima della preghiera funebre e della sepoltura. In un angolo, dove solitamente sono i crediti delle immagini, c’era la scritta “Photo from activist” (“foto da un attivista”) e la didascalia diceva che “Si ritiene che questa immagine, che non può essere verificata indipendentemente, mostri le immagini di bambini che attendono la sepoltura a Hula.”
Dunque qui abbiamo fatto un salto di qualità, rispetto alle immagini precedenti: non si tratta di potenziali manipolazioni dell’immagine, ma di totale stravolgimento delle coordinate temporali e spaziali dei fatti rappresentati, pur trattandosi in entrambi i casi di massacri di persone. Ciò che sorprende e preoccupa è che si tratta del sito di una delle emittenti televisive più affidabili del mondo, la BBC, che prontamente si scusa, ma intanto la frittata è stata fatta e l’aura di infallibilità incrinata.

Ecco ora un’altra foto di cui indovinare il livello di correttezza giornalistica:

Nel 2014 una campagna su Twitter dal titolo #BringBackOurGirls ha richiamato l’opinione pubblica mondiale sulla sorte tragica delle 276 adolescenti nigeriane rapite dal gruppo fondamentalista islamico Boko Haram. La campagna ha utilizzato alcune foto che non c’entrano nulla né non la Nigeria, né con il rapimento. Sono studentesse di una scuola della Guinea Bissau, un paese distante 3700 chilometri. Le foto, della fotografa statunitense Ami Vitale, fanno parte di un suo servizio del 2011 sul processo di scolarizzazione nella Guinea Bissau, e le ragazze fotografate hanno un nome, una storia e una esistenza che non ha nulla a che vedere con quelle foto.

E’ un insulto e un’offesa usare intercambiabilmente foto di persone solo perché viste dal nostro punto di vista occidentale e bianco “sono tutte uguali”. Si può immaginare come si debbano essere sentite le ragazze che loro malgrado sono diventate testimonial di questa campagna. Ami Vitale ha cercato in tutti i modi e attraverso tutti i social di bloccare l’uso di questa immagine, ma è stata accusata di insensibilità e di non voler sostenere questa campagna per la liberazione delle ragazze rapite.
Siamo nuovamente, come nel caso precedente, di fronte a un utilizzo di immagini relative a fatti che distano migliaia di chilometri e che nulla hanno a che fare con i fatti a cui vengono attribuiti.

Una foto diversa forse porterà alla vostra memoria un caso a cui la stampa aveva dato risalto qualche anno fa.

Vera o ritoccata la foto dei missili? I missili della foto erano in realtà tre, nel senso che uno non è mai partito dalla rampa di lancio, ma per non dover ammettere un parziale fallimento è stato ritoccato o meglio clonato digitalmente prendendo un razzo e copiandolo/incollandolo e facendo la stessa cosa con il fumo sollevato da un altro razzo.

Certe operazioni semplici sui file digitali sono apparentemente fatte in maniera sufficientemente professionale, ma un buon osservatore (e a questo punto in giro per il mondo ce ne sono migliaia o decine di migliaia) è in grado di scoprire in breve tempo queste anomalie, il ripetersi cioè di parti della foto in maniera fin troppo simile e quindi sospetta. E in altrettanto breve tempo le rendono note.

Non voglio invece fare alcun cenno al motivo per cui vi sto mostrando la foto su cui vi invito a riflettere per qualche istante:

Secondo voi è tutto regolare in questa immagine o c’è qualche elemento che non torna? E perché?
Il contesto storico: deposto il dittatore Duvalier, ad Haiti si erano tenute nel 1991 nuove elezioni con la vittoria di Aristide, che però in breve venne deposto dai militari. Dopo forti pressioni internazionali gli Stati Uniti decisero di intervenire con la forza ad Haiti per ristabilire il presidente regolarmente eletto. I media vennero informati con largo anticipo dell’arrivo dei marines e li attesero all’aeroporto di Port Au Prince.

Una foto fatta da un punto di vista diverso, laterale, permette di conoscere la grottesca messa in scena a cui si prestano i fotografi che colgono i reparti di marines in apparente piena azione, in realtà ricreata puramente ad uso e consumo dei media.

Un altro eclatante esempio di foto in cui la manipolazione consiste nella ripresa di soggetti a cui è stato chiesto di mettersi in posa e fingersi nel pieno di azioni belliche che non si stanno in realtà affatto svolgendo.

Per la successiva fotografia che vi propongo di sottoporre ad attenta verifica ho scelto, per una volta, anche i media italiani. Ecco una copertina dell’Espresso di qualche anno fa:

Notate delle incoerenze in questa immagine. Di quale tipo?
Il ragazzo iracheno ha un’illuminazione diversa rispetto ai militari, che infatti sono stati fotografati in un altro luogo (Bologna) e ovviamente in un altro momento. Questa è un’illustrazione, cioè una del tutto ipotetica ricostruzione a tavolino di come si vorrebbe che il mondo fosse e non una testimonianza di ciò che il fotografo ha visto.

Un caso simile ha nel 2011 fatto chiedere scusa alla dirigenza del più diffuso quotidiano austriaco per questa immagine di Aleppo:

In questa foto notate qualcosa di strano? Come vedete, la fotografia è apparentemente credibile. Ma una più attenta analisi ci mostra che in effetti le luci provengono da direzioni diverse e quindi si tratta di un collage, proprio come il precedente.

Un tipo diverso di manipolazione è avvenuta invece ad opera di un giovane artista saudita, che ha creato e fotografato una situazione paradossale, e l’ha pubblicata su Facebook, spiegando le modalità di realizzazione:

Ma la foto è poi rimbalzata su Twitter in maniera incontrollata grazie a un americano, emigrato in Arabia Saudita, che ha 187mila followers e l’ha presentata come una foto reale scattata in Siria, attribuendole implicitamente una valenza politica.

Il calderone dei social media digerisce e risputa in continuazione una massa amorfa di verità e menzogne mescolate assieme, basandosi soprattutto sul numero altissimo di immagini che sfuggono al controllo perfino dei loro creatori e che, accompagnate a didascalie e titoli sbagliati o fuorvianti, creano un ambiente in cui l’informazione si perde e si confonde con la propaganda e con la pubblicità.

Una recentissima ricerca dal titolo Can people identify original and manipulated photos of real-world scenes? condotta da tre psicologi dell’Università britannica di Warwich, sostiene che le nostre capacità di decodifica soprattutto riguardo alle deformazioni geometriche e alle ombre incoerenti sono piuttosto scarse. Hanno qualche speranza, ma nessuna conferma, che queste capacità possano essere ampliate e potenziate con l’esercizio.
In più, come dimostra un’altra ricerca del 2007, condotta dall’università di Padova congiuntamente a quella California, e co-firmata dalla pioniera delle ricerche psicologiche sui falsi ricordi, Elizabeth Loftus, ha dimostrato che presentando a gruppi di soggetti delle foto di cronaca artatamente manipolate, hanno indotto dei falsi ricordi che nulla avevano a che fare con il reale svolgimento degli avvenimenti. Nel caso della fotografia di una manifestazione pacifica svoltasi a Roma alla quale erano stati aggiunti manifestanti con il volto coperto e poliziotti in assetto antisommossa ad esempio i soggetti ricordavano che c’erano stati tafferugli con molti feriti:

Nel caso della foto di Piazza Tienanmen che c’era un pubblico imponente a presenziare alla scena del ragazzo che ferma la colonna di carri armati:

Ed eccoci a cercare di tirare le fila dei nostri discorsi.
Le fotografie che appaiono sui media, di qualunque argomento trattino, sono vissute di primo acchito come portatrici di verità. Purtroppo non sempre lo sono.
Si rende perciò necessaria un’opera di sensibilizzazione nei confronti dei responsabili della pubblica istruzione affinché prevedano l’introduzione in maniera massiccia e sistematica dell’educazione all’immagine, con particolare attenzione alle immagini veicolate dai mass media. Non solo le immagini manipolate digitalmente, ma anche quelle che rispondono a intenti propagandistici che nulla hanno a che fare con l’informazione, come ad esempio queste pietose scenette che politici in vista di tutto il mondo riescono a far pubblicare dai media.

Qualcuno all’estero ha recentemente introdotto, accanto alla tradizionale disciplina chiamata media education anche il concetto di news literacy, l’alfabetizzazione al mondo dell’informazione, alle regole che la governano e alle insidie che si nascondono se non se ne conosce il funzionamento.

Vi incoraggio dunque a esercitare voi stessi le abilità connesse a una corretta interpretazione delle fotografie che trovate sui media e ho per voi tre consigli pratici e strumenti:

  1. il sito dell’associazione di Fotogiornalisti di cui faccio parte, Fotografia & Informazione
  2. il blog del giornalista Michele Smargiassi, che trovate all’interno del sito del quotidiano la Repubblica, e il suo libro: Un'autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso, Roma, Contrasto ed. 2009.
  3. una scheda che contiene una serie di domande che è utile porsi quando si è di fronte a una immagine, che per qualche motivo non ci convince.

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