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Breve storia della guerra biologica

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Il caso del virus mutato H5N1 ha riaperto il dibattito sul pericolo che un agente biologico possa essere adoperato come arma di distruzione di massa. Se qualcuno però ritiene che il bioterrorismo sia solo una conseguenza dello sviluppo che le scienze biologiche e mediche hanno avuto nell'ultimo secolo e in particolare negli ultimi decenni, compie un grave errore. L’utilizzo di patogeni in attività belliche è documentato sin dall’età classica.

La prima testimonianza dell’uso di agenti biologici nell’arte della guerra risale al tempo dei greci. Erodoto, descrive l’impiego da parte degli arcieri sciti di frecce avvelenate, presumibilmente con il batterio Clostridrium botulinum che induce il tetano. Nel
1346 i Tartari, durante l’assedio della colonia genovese di Caffa, catapultarono oltre le mura di cinta della città, cadaveri di soldati tartari morti per peste. L’epidemia si diffuse all’interno della città. Trasportata poi dalle navi dei genovesi in fuga, la Morte Nera sbarcò in Europa dove sterminò in appena tre anni 20 milioni di persone.

Virus che percorron la storia dell'uomo e alcune volte la cambiano. La conquista del Nuovo Mondo da parte dei conquistadores europei è stata facilitata dalla diffusione di malattie come il vaiolo. Pizzarro offrì ai nativi sudamericani coperte usate da persone infettate dal vaiolo. Probabilmente il generale inglese Jeffrey Amherst, tenne a mente la vicenda di Pizzarro, facendo donare come “atto di amicizia” agli indiani fedeli ai francesi coperte e indumenti contaminati dal virus del vaiolo ottenuti da vittime della malattia. Per vendicarsi i francesi fecero la stessa cosa con gli indiani fedeli agli inglesi.

Gli episodi descritti sono tutte vicende dove la guerra biologica è colpo sinistro del destino, alla base non c'era nessuna conoscenza scientifica. Col passare dei decenni però il progresso e la ricerca hanno dato la possibilità a molti paesi di sviluppare progetti bellici basati sull’uso di questi tipi di agenti.

Il Giappone, a partire dal 1932 diede inizio a un ambizioso programma di guerra biologica, allestendo una base in Manciuria denominata “Unità 731” guidata dal medico militare Shiro Ishii. In questa basi vennero condotti esperimenti su prigionieri di guerra. Il principale metodo sperimentale era rappresentato dall'infezione. Fra i principali patogeni saggiati in tal modo sono da includere Bacillus anthracis, Neisseria meningitidis, Vibrio cholerae. Si stima che siano morte almeno 3000 persone tra prigionieri cinesi. Dopo numerosi test i Giapponesi sparsero con gli aerei in Manciuria quantità enormi di grano insieme a pulci veicolanti il germe della peste. L’intento, in parte riuscito, era quello di attirare con il grano i ratti fuori dalla tane per facilitare il loro contatto con questi insetti. I roditori si trasformarono così in serbatoi di malattia e amplificarono il processo di diffusione dell’epidemia tra la popolazione civile.

Un programma simile a quello giapponese fu adottato dagli Stati Uniti, a partire dal 1941 iniziarono la produzione in scala di numerosi patogeni. Ma nel 1969 dopo la pubblicazione da parte dell’ OMS di un rapporto in cui veniva segnalata l'imprevedibilità delle armi biologiche e i rischi per la loro incontrollabilità, il presidente Nixon si impegnò pubblicamente alla rinuncia allo sviluppo e all'uso di armi biologiche.

Rinuncia agli armanti che arrivò finalmente con un trattato siglato nel 1972, dove 143 Paesi tra cui tutti gli stati dell'Unione Europea, gli Stati Uniti, l'Australia ed il Giappone, ma non Israele si impegnavano a fermare la sperimentazione, la produzione, l'acquisizione e lo stoccaggio di armi biologiche. Al trattato aderirà anche l’Unione Sovietica ma ciò non impedirà il lancio del Biopreparat, il più grande programma di ricerca militare che la storia ricordi, con circa 60.000 persone impiegate. Viene prodotto un arsenale di agenti eziologici imbarazzante, sviluppate tecniche per la coltivazione, la selezione di ceppi più virulenti e la loro essiccazione per consentire la conservazione a temperatura ambiente. Fortunatamente nei primi anni Novanta, dopo l’avvento di Gorbačëv, la struttura viene ufficialmente smantellata e l’Occidente ne verrà a conoscenza solo quando un alto dirigente del Biopreparat scapperà nel Regno Unito.

Al tempo della Prima Guerra del Golfo i servizi segreti occidentali sospettavano che il governo di Saddam Hussein avesse in corso un consistente programma di guerra biologica. Fortunatamente le armi biologiche sviluppate da Saddam non furono usate durante il conflitto ma determinarono comunque uno stato di incertezza e di paura nelle truppe presenti al fronte. La paura di una guerra biologica è sempre dietro l’angolo, c’è un grande vantaggio nella produzione di armi biologiche: il costo. Secondo un rapporto dell’ONU infatti si stima che un’operazione su larga scala contro la popolazione civile di un Paese costerebbe 2000 dollari per km2 con armi convenzionali, 800 con il nucleare, 600 con i gas nervini, ma solo un dollaro con agenti biologici. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 l’emergenza antrace, innescata da una serie di lettere inviate a uffici federali, televisioni e giornali, sembra dar corpo a questo scenario. Ma forse il nuovo pericolo non è rappresentato dai cosiddetti stati “canaglia”, ma dalla disinvoltura con la quale in molti laboratori si “gioca” con agenti biologici, un incidente in uno di questi potrebbe scatenare una pandemia.

Un esempio è dato dal un lavoro del 2002, pubblicato su PNAS, in cui viene comparata la risposta immunitaria nei confronti di Variola major, il virus responsabile del vaiolo eradicato ormai da decenni, e Vaccinia, un virus attenuato che è stato utilizzato per immunizzare la popolazione umana nei confronti di questa malattia. Non avendo a disposizione il virus selvatico, per confrontare i geni che codificano un inibitore chiave della risposta immunitaria i ricercatori ne ricostruiscono il gene utilizzando tecniche di sintesi. In sostanza, per ricostruire il gene di Variola sostituiscono nel corrispondente di Vaccinia 13 oligonucleotidi. Per alcuni il risultato ottenuto in questo studio è di grande importanza perché se il vaiolo ricomparisse nella popolazione umana si potrebbe tentare di ridurre la risposta del gene in questione, ma per altri esiste il pericolo che ingegnerizzando il Vaccinia con lo stesso gene si potrebbe aumentarne la virulenza e quindi riportare in vita il virus del vaiolo. Lo stesso tipo di dibattito avvenuto nel 2002 , avviene oggi all’indomani delle ricerche di Kawaoka e Fouchier.


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