fbpx La babele delle discipline | Scienza in rete

La babele delle discipline

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Riguardo alla questione delle specifiche discipline e del loro fondamento, oggigiorno in ambito scientifico si verificano due fenomeni per certi versi opposti. Da un lato, lo specializzarsi sempre più del lavoro crea divisioni su divisioni, portando alla nascita di sotto discipline scientifiche sempre meno ampie; dall’altro, alcuni campi di lavoro pretendono di essere nuove discipline, se non di sostituire del tutto le vecchie discipline. Esempi, noti anche al vasto pubblico, possono essere quelli di Scienza dei Materiali, Scienza Ambientale, eccetera. Campi in cui le vecchie discipline, quali fisica, chimica, biologia, eccetera, entrano sicuramente in maniera determinante, ma mescolate in modo tale che, secondo alcuni, sono praticamente fuse per creare qualcosa di nuovo.

Credo che una disciplina scientifica non rappresenti solamente una divisione della scienza in funzione dell’argomento studiato, ma incorpori in sé un approccio, un modo tutto suo di studiare quell’argomento. È una prospettiva da cui guardare dei “pezzi di mondo” che sono di per sé sempre interdisciplinari. È questo approccio che differenzia le varie discipline, più che l’argomento di studio in sé. È infatti possibile trovare argomenti uguali studiati in modo diverso da varie discipline. Tale analisi sulle discipline consente da un lato di capire l’importanza della divisione della scienza, la sua “pluralità”, dall’altro consente di sottolineare la non arbitrarietà di tale divisione, aspetto difficile da contestare se una simile differenziazione fosse dovuta solo all’argomento studiato.

Consente anche di respingere l’attacco odierno alle singole discipline scientifiche, considerate come dei reperti storici che, magari, hanno avuto una funzione in passato, ma che ora hanno esaurito il loro compito e sopravvivono solo come distinzioni in funzione di finanziamenti alla ricerca e posti di lavoro. Resta comunque aperto il problema se tutte le discipline (e le sotto discipline) attuali possano aspirare a simile diversificazione.

Un discorso articolato va fatto per l’aspetto disciplinare e interdisciplinare dell’insegnamento della scienza. Avendo evidenziato gli specifici approcci che le differenti discipline applicano alla realtà scientifica studiata, si può capire l’importanza di una visione diversificata in ambito scolastico. Per esempio, se in una scuola superiore non venisse insegnata la chimica, verrebbe a mancare completamente l’approccio che differenzia qualitativamente non solo gli esseri viventi, ma anche la materia inanimata. Questa mancanza non solo porterebbe a lacune specifiche in ambito scientifico, ma comprometterebbe l’intera immagine del mondo elaborata dalla scienza, favorendo una netta separazione tra il mondo del “semplice” inanimato (fisica) e quello del “complesso” animato (biologia).

Il compito di creare una corretta immagine globale del mondo, infatti, può essere svolto solo dall’istituzione scolastica perché solo in essa si organizza e si propone una trattazione complessiva e organica del sapere scientifico. Questo è un compito culturale cui gli insegnanti d’ambito scientifico non possono rinunciare, altrimenti potrebbe passare l’idea che tali materie siano “informative” e non “formative”. La logica conseguenza sarebbe, nella migliore delle ipotesi, la riduzione dello spazio orario per le materie scientifiche e nella peggiore la loro completa eliminazione dal curriculum scolastico.

La scienza che deve venir fuori dall’istituzione scolastica è invece intrinsecamente plurale. Questo significa che l’immagine del mondo che viene fuori dall’ambito scientifico si può ottenere solamente dopo una sintesi. Esiste la possibilità di favorire tale sintesi in ambito scolastico? È questo il ruolo che si dovrebbe ritagliare il confronto interdisciplinare. Ad oggi questo ruolo non è svolto che occasionalmente, ma io credo che uno spazio scolastico interdisciplinare in ambito scientifico vada sostenuto e incentivato.  


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.