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Edoardo Amaldi, tra scienza e società

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Il 5 settembre 1908 nasceva Edoardo Amaldi: il fanciulletto che, con gli altri ragazzi di via Panisperna e sotto la guida del trentenne Enrico Fermi, fece di Roma negli anni ’30 del secolo scorso il centro più avanzato della fisica nucleare. La capitale mondiale della nuova fisica.

Amaldi fu uno dei protagonisti di una stagione felice della scienza italiana. Una stagione che si concluse tra il 1938, anno in cui il regime fascista varò le legge razziali, e il 1940, anno in cui l’Italia di Benito Mussolini entrò in guerra accanto alla Germania di Hitler. In quegli anni, come scriverà più tardi lo stesso Amaldi, si consumò il «disastro» della fisica italiana. Perché il combinato disposto delle leggi razziali e della partecipazione al grande conflitto planetario portarono alla dissoluzione i due gruppi di assoluta eccellenza in fisica che l’Italia vantava: il gruppo, appunto, di Enrico Fermi e dei ragazzi di via Panisperna a Roma, che aveva acquisito una posizione di primo piano nello studio del nucleo atomico, e quello di Bruno Rossi e del gruppo di Arcetri che, tra Firenze e Padova, aveva acquisito una posizione di primo piano nello studio dei raggi cosmici.

Quando, nel 1943, il regime fascista crolla quasi tutti i membri di quei due gruppi hanno già trovato riparo all’estero: a iniziare da Enrico Fermi e Bruno Rossi, che sono negli Usa dove partecipano da protagonisti al Progetto Manhattan.

Edoardo Amaldi è l’unico tra i ragazzi di via Panisperna che resta in Italia. Per qualche tempo – nei mesi successivi –  riesce a portare avanti, sia pure in condizioni di estremo disagio, l’attività di ricerca. E, di fatto, mentre il regime fascista crolla e la guerra continua, è proprio lui, Edoardo Amaldi, che si accolla l’onere di ricostruire la fisica italiana. Negli anni successivi il suo tentativo registra un successo straordinario e dal «disastro» la fisica italiana passa a una nuova «primavera».

Il metodo utilizzato da Amaldi ha ancora molte cose da insegnarci. Ma non è facile, per un non esperto, avere un’idea fondata delle molteplici attività di Amaldi e del ruolo che ha avuto nella “ricostruzione” della fisica italiana. Purtroppo non esiste ancora una biografia unitaria che ce ne racconti la vicenda scientifica e umana. Tuttavia ora c’è un libro che può iniziare a colmare il vuoto: The legacy of Edoardo Amaldi in science and society, curato da Fernando Ferroni e pubblicato dalla Società italiana di fisica (è il volume n. 100 realizzato dalla SIF). Raccoglie le relazioni (alcune in inglese, altre in italiano) proposte in occasione del convegno scientifico con cui dal 23 al 25 ottobre 2008 è stato celebrato a Roma il grande scienziato a cent’anni dalla sua nascita.

Si tratta di “relazioni di autore” che mettono a fuoco ciascuna un aspetto e tutte insieme hanno il pregio di caratterizzare la figura di Edoardo Amaldi a tutto tondo. Come scienziato naturale, come manager della scienza, come costruttore di pace, persino come storico della fisica. È significativo che due tra i fisici che gli sono stati più vicino, Giorgio Salvini e Carlo Bernardini, lo ricordino come filosofo della natura. In tanta ricchezza di pensiero e di azione, una cosa è certa: il fanciulletto ha dato il meglio di sé come organizzatore. O meglio, come politico della scienza. È stato per decenni l’anima del Dipartimento di fisica della Sapienza. Ha avuto un ruolo decisivo nella fondazione dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), del Centro europeo di ricerca nucleare (Cern), dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa)- si veda l'articolo di Giovanni Bignami, che è anche autore di una delle "relazioni d'autore" -, dell’Unione scienziati per il disarmo (Uspid). Ha contribuito come pochi a fare della scienza il collante di un continente, l’Europa, squassato da una tragica guerra intestina e desideroso finalmente di unità e di pace.

Ha pensato come pochi allo sviluppo produttivo del nostro paese – che lei voleva fondato sulla ricerca scientifica, su un sistema di alta educazione, su una profonda integrazione con l’Europa – e a dotare l’Italia della piena indipendenza

Come scrive Gianni Battimelli, è vero che sarebbe difficile sulla base dei soli contributi scientifici (che comunque non sono né pochi né marginali) collocare Amaldi tra i grandi della fisica del ventesimo secolo. Ma è anche vero che il suo ruolo come organizzatore di scienza in Italia e in Europa tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni ’80 del secolo scorso è del tutto unico. Nessuno ha fatto più di lui.

Ricordare Amaldi non ha solamente un valore storico. Ha un valore di stringente attualità. L’Italia, infatti, è di nuovo in difficoltà. Non è certo nella condizione di disastro in cui si ritrovò appena dopo la seconda guerra mondiale, ma certamente è in una condizione che molti definiscono di declino. Gli indicatori economici, sociali ed ecologici ci dicono che il paese stenta a tenere il passo dell’Europa e del mondo. Se vuole uscire da questo stato di difficoltà – che deriva da almeno quattro decenni di sviluppo economico senza ricerca – l’Italia deve utilizzare «il metodo Amaldi»: analizzare senza infingimenti la sua condizione attuale; ripensare la sua specializzazione produttiva e puntare sulla produzione di beni ad alto valore di conoscenza; individuare i settori scientifici strategici (curiosity driven, di scienza applicata e di sviluppo tecnologico) su cui far leva; rafforzare la sua capacità nel settore dell’alta formazione; integrarsi nello spazio europeo della ricerca e della tecnologia. Deve, in altri termini, seguire il «metodo Amaldi».


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