Un ampio rapporto di Leonardo Maugeri del Belfer Centre for Science and International Affairs, pubblicato dall’Università di Harvard, dimostra che, da un punto di vista puramente fisico, ci sono enormi volumi di petrolio convenzionale e non convenzionale ancora da sviluppare, tali da garantire una “rivoluzione” della produzione mondiale entro il 2020.
Il fattore chiave sono gli alti prezzi raggiunti dal greggio al barile, che rendono convenienti tecnologie prima considerate antieconomiche dalle compagnie petrolifere.La condizione identificata da Maugeri per sostenere l’analisi è infatti che il prezzo al barile non scenda sotto i 70 dollari (condizione che, allo stato attuale, sarebbe pregiudicata soltanto da una recessione globale, una drastica ritrazione dell’economia cinese o l’improvvisa soluzione di tensioni geopolitiche che interessano alcuni paesi “grandi produttori”, come l’Iran).
Il 2012 segna un record negli investimenti delle compagnie petrolifere, con una spesa complessiva di circa 600 miliardi di dollari. L’obiettivo della ricerca è mettere in rapporto gli stanziamenti attuali con la produzione potenziale nei prossimi 8 anni, fino al 2020. Per far questo, è stata creata una banca dati degli investimenti attualmente in corso, o garantiti da contratti già firmati, in oltre 40 paesi in tutto il mondo. Le conclusioni sono state eleborate sui dati relativi a 23 paesi che rappresentano oltre l’80 per cento della capacità produttiva attuale e più del 95 per cento della crescita produttiva futura. Tra questi, i primi quattro per potenziale di crescita effettiva sono, in ordine, Iraq, Stati Uniti, Canada e Brasile.
La capacità di crescita della produzione sarà determinata da una "de convenzionalizzazione" delle forniture di petrolio. Durante la prossima decade verrà prodotta una quantità crescente di quelli che oggi vengono definiti "idrocarburi non convenzionali". La definizione comprende petrolio ultra-pesante, shale e tight oil, sabbie bitumose e gas da scisti. Gli sforzi per sviluppare questa produzione si concentrano attualmente in Canada, Stati Uniti, Venezuela e Brasile. Le modalità di estrazione di petrolio e gas non convenzionale sono la perforazione orizzontale e la fratturazione idraulica (hydrofracking). La ricerca affronta anche i rischi per l’ambiente e la salute che queste tecnologie - di per sè non nuove, ma a cui le compagnie petrolifere fanno ricorso massivamente solo da una decina di anni - comportano: la possibilità di inquinamento delle falde acquifere e l’aumento di fenomeni sismici nelle aree interessate da nuove trivellazioni.
Le conclusioni della ricerca possono essere lette con sconforto o sollievo, a seconda dei punti di vista. Di chiaro c’è che il “picco del petrolio” non è un parametro statico e che, finchè investimenti e tecnologia sostengono una crescita basata sui combustibili fossili, è ancora ben lontano.
