Qualche tempo fa, mentre sfogliavo un settimanale, un titolo ha catturato la mia attenzione: “Le verità scadono” (Internazionale n. 985, p. 51, 2013. Qui una trascrizione). Si trattava di un articolo del matematico Samuel Arbesman, che nella versione originale inglese, apparsa l’anno precedente su New Scientist, era intitolato, in maniera forse non altrettanto accattivante: Truth decay: the half-life of facts, e che riprendeva i concetti esposti in un libro appena pubblicato dallo stesso Arbesman (n.d.r qui l'intervento di Arbersman a TEDx). Partendo dalla constatazione che la nostra conoscenza è costruita su fatti che continuamente vengono aggiornati, e talvolta smentiti o contraddetti, l’autore si poneva il problema di trovare un approccio scientifico alla determinazione della vita-media della validità delle nostre conoscenze, dei “fatti” che impariamo prima a scuola, e poi con continuità via via che scorre la nostra esistenza.
Quasi tutti gli esempi citati nell’articolo hanno a che vedere con le scienze della vita, con l’eccezione del passaggio dal sistema geocentrico tolemaico a quello eliocentrico copernicano. Questo è certamente tra i più notevoli esempi di verità scaduta; un fatto che, come sappiamo, ha scombussolato non poco le certezze del tempo. Un cambiamento epocale di cui noi facciamo fatica ad assaporare l’impatto, essendo avvenuto ormai quattro secoli fa. Ma per rimanere in ambiti più recenti, ecco che Arbesman ci ricorda che nel 1912 i libri di testo indicavano che il numero dei cromosomi umani era 48 (mentre oggi riportano che sono 46) o che quando eravamo piccoli i nostri genitori ci insegnavano che stare al sole faceva bene e che bisognava mangiare tanta carne, cose che oggi non sembrano più essere vere.
Molti ricorderanno anche cosa i nostri testi scolastici ci insegnavano riguardo ai dinosauri. Non è difficile, controllando le conoscenze odierne, scoprire quanti fatti siano cambiati! Possiamo scoprire, per esempio, che il mitico brontosauro non è mai esistito (si trattava del già noto apatosauro cui era stato associato, probabilmente in malafede, un cranio sbagliato: quello del camarasauro!). Noi potremmo poi aggiungere alle verità scadute anche il flogisto, di cui erano convinti i chimici del XVIII secolo e che arrivò a scadenza con il lavoro di Lavoisier; il calorico, abbandonato dai fisici verso la metà del 1800 a seguito delle scoperte di Joule, e l’etere – il mezzo ritenuto necessario per spiegare la propagazione nello spazio delle onde elettromagnetiche – cui mise fine, nel 1887, l’esperimento di interferometria di Michelson e Morley. Più recentemente, abbiamo superato la semplice classificazione dei materiali in isolanti o conduttori e della materia nelle tre forme solido-liquido-gassoso.
Lo studio sistematico di una particolare disciplina può quindi portare non solo a saperne di più, ma anche a stabilire con quanta rapidità i fatti saranno smentiti nel tempo. Nell’articolo di Arbesman si riporta, ad esempio, che nel caso delle conoscenze mediche sulla cirrosi o l’epatite, è stato ricavato che l’emivita, o tempo di dimezzamento – cioè il tempo richiesto perché metà dei fatti si dimostrasse superato o smentito da altri fatti – è di circa 45 anni. Non è poco, ma se è veramente così, tra meno di due secoli più del 90% delle nostre attuali conoscenze in materia
si riveleranno sbagliate o superate.
Nel suo libro Arbesman considera anche altri tipi di fatti, meno strettamente connessi a conoscenze scientifiche e più legati invece all’ambiente che ci circonda, portando come esempi che la lingua della scienza è andata cambiando nel tempo, dal latino al tedesco all’inglese (e cambierà ancora), e che la nostra Terra era popolata da due miliardi di persone solo cent’anni fa, mentre ora la abitiamo in più di sette miliardi. Panta rei, tutto scorre. Dunque le verità scadono e, se da un lato la cosa non ci dovrebbe sorprendere troppo (la conoscenza è un processo continuo, lo sappiamo benissimo), dall’altro ci lascia un poco inquieti, con uno sgradevole senso d’insicurezza, soprattutto se ci concentriamo sull’ambito più strettamente scientifico.
È bene, comunque, distinguere tra i fatti che inevitabilmente andranno aggiornati, senza tuttavia che questo ne cambi la sostanza e implichi la falsificazione della verità precedente, da quelli che invece saranno soggetti a una revisione profonda. Una cosa è dire “era vero ma non lo è più”, altra cosa è dire “non era vero”. È questa seconda possibilità quella che ci fa più pensare. Siamo certamente ben disposti all’idea che ci sia molto che non sappiamo e che dobbiamo imparare o scoprire (la cosa addirittura ci stimola), ma lo siamo meno all’idea che le conoscenze che abbiamo acquisito e le verità che abbiamo imparato si rivelino mendaci o sbagliate. Ci piace constatare che le conoscenze migliorano, si raffinano, progrediscono; ci piace un po’ meno renderci conto che quanto credevamo vero, vero non è. Nel campo della conoscenza ci rassicura aggiungere, mentre ci può turbare sostituire, soprattutto in quelle discipline, le cosiddette scienze esatte che, magari peccando di ottimismo, pensiamo siano sufficientemente consolidate.
Eppure non è passato molto tempo da una delle più profonde revisioni cui sia stata sottoposta proprio una di queste scienze esatte – la Fisica – con l’introduzione, all’inizio del secolo scorso, della relatività generale e della meccanica quantistica. Furono alcuni principi della fisica, inclusa l’impostazione deterministica, a essere profondamente rivisti. A questo proposito Planck ebbe a dire: ”La relazione d’indeterminazione di Heisenberg è per la meccanica classica qualcosa di assolutamente inaudito. Si è sempre saputo che ogni misurazione è gravata da una certa incertezza; ma si era sempre ammesso che con opportuni perfezionamenti dei metodi di misura si sarebbe potuta aumentare la precisione senza alcun limite. Ora invece bisogna porre per principio un limite alla precisione delle misurazioni, e lo straordinario è che questo limite non si riferisce alle singole grandezze posizione e velocità, ma alla loro combinazione”. Un ottimo esempio di verità scaduta. Anche l’astronomia, così come tutte le altre discipline (con la sola eccezione – mi pare – della matematica) ha le sue verità scadute.
A parte il già ricordato abbandono del sistema geocentrico a favore di quello elio-centrico – indubbiamente un esempio tra i più significativi – possiamo ricordare le revisioni delle stime dell’età della Terra e dell’universo, il superamento del modello dello stato stazionario e di un universo immutabile, l’impossibilità di un’origine celeste dei meteoriti (non ci sono sassi in cielo, sentenziò Lavoisier!), alcuni modelli di formazione del nostro Sistema solare, la rotazione sincrona di Mercurio con il Sole, e altro ancora. Non dobbiamo quindi sorprenderci se di tanto in tanto qualche certezza viene meno.
Eppure, ammetto di essermi stupito quando ho visto il lavoro di S. Braun e collaboratori (Science, v. 339, n. 6115, p. 52, 2013. Abstract) in cui gli autori riferiscono di essere riusciti a portare una nuvola di un centinaio di migliaia di atomi di potassio alla temperatura assoluta negativa di alcuni nanokelvin, al di sotto cioè dello zero assoluto. Forse che anche il concetto dell’irraggiungibilità dello zero assoluto, imparato a scuola e ribadito all’università, era stato smentito? Un’attenta lettura dell’articolo (e del dibattito che ha ovviamente generato) mostra tuttavia che la verità scaduta non è tanto la validità delle leggi della termodinamica o del principio di indeterminazione di Heisenberg (che sono alla base dell’impossibilità di portare un corpo all’esatta temperatura di zero gradi Kelvin), quanto la concezione stessa di temperatura.
La temperatura cui fa riferimento il lavoro di Braun e collaboratori non è legata a una quantità di movimento browniano, bensì al rapporto tra l’energia che viene aggiunta a un sistema e il risultante cambiamento di entropia. Non si è dunque raffreddato il gas al di sotto dello zero assoluto rallentando il movimento degli atomi, si è piuttosto creato uno stato tale per cui l’aggiunta di energia ha portato a una diminuzione di entropia del sistema. Cosa che comporta una temperatura assoluta negativa.
Questo non rende certo meno importante il risultato e le sue implicazioni, cui – come notano gli stessi autori – potrebbero essere interessati anche i cosmologi che si occupano dell’espansione accelerata dell’universo. Il fatto che i sistemi a temperatura negativa possano assorbire entropia mentre rilasciano energia porta, tra varie stranezze, a concetti contro-intuitivi come quello di pressione negativa. Braun e collaboratori sottolineano che proprio questi stati di temperatura negativa, con associata pressione negativa, dovrebbero essere di interesse in cosmologia nella descrizione dell’energia oscura dove una pressione negativa è appunto invocata per spiegare l’espansione accelerata dell’universo. Sempre che tra le prossime verità in scadenza non ci sia proprio la dark energy...
Tratto da Le Stelle n°121, agosto 2013