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Saranno gli anticoagulanti il nuovo blockbuster?

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Nel 2010, l’European Medicines Agency (EMA) ha approvato il più basso numero di nuovi farmaci dell’ultimo decennio. Ciò non è sorprendente, se si considera che per registrare un farmaco ci vogliono almeno 10 anni, che il costo totale è di circa un miliardo di dollari, e che almeno 9 su 10 di quelli avviati allo sviluppo clinico si perdono per strada. Qualche esempio clamoroso? Il rimonabant per l’obesità e le sindrome metabolica, l’anticorpo monoclonale ocrelizumab per l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso sistemico. Ma soprattutto una serie di farmaci che promettevano di modificare l’evoluzione di una malattia frequente e incurabile come l’Alzheimer. Tengono ancora la posizione di testa nelle approvazioni dell’EMA i farmaci per il cancro: anche se è ormai abbastanza evidente che hanno effetti modesti sulla mortalità!

Cosa ci aspetta per il 2011? E’ difficile immaginare che ci sarà qualche blockbuster: con l’eccezione forse dei farmaci antitrombotici. E ciò non è di poco conto, perché che ogni anno in Italia 400.000 persone muoiono o diventano invalide per malattie determinate dall’occlusione dei vasi sanguigni da parte di trombi: l’infarto miocardico, l’ictus cerebrale, la trombosi venosa e l’embolia polmonare. Né la trombosi risparmia i paesi emergenti: nel 2015 vi saranno 50 milioni di morti in tutto il mondo a causa della trombosi, e paesi come la Cina, l’India, il Brasile e la Russia non saranno certo risparmiati.

I farmaci antitrombotici a disposizione

I farmaci antitrombotici si dividono in due categorie: gli anticoagulanti, che rallentano la coagulazione del sangue e sono utilizzati soprattutto nelle trombosi delle vene (flebiti ed embolie polmonari); e gli antipiastrinici, che sono utilizzati soprattutto nelle trombosi arteriose (infarto miocardico e l’ictus cerebrale).

Vi è bisogno di nuovi antipiastrinici, oltre all’aspirina e al clopidogrel? Il clopidogrel, che si usa insieme all’aspirina nell’infarto miocardico e in altre malattie coronariche, è inefficace in una percentuale di pazienti che va dal 15 al 30%, perché vi sono variazioni genetiche che rendono i loro portatori insensibili all’azione antitrombotica del farmaco. I nuovi antipiastrinici (prasugrel, ticagrelor) hanno la stessa efficacia antitrombotica del clopidogrel, ma la loro azione è del tutto indipendente dalle varianti genetiche che determinano resistenza.

Perché è necessario sviluppare nuovi farmaci anticoagulanti? L’eparina e i suoi derivati, come pure i dicumarolici, sono utilizzati da moltissimo tempo, se ne conosce bene l’efficacia antitrombotica e costano poco. I loro limiti sono legati alla via di somministrazione per le eparine e alla necessità di controlli di laboratorio per ambedue. La somministrazione endovenosa o sottocutanea dell’eparina diventa un problema pratico quando la terapia antitrombotica deve essere somministrata a lungo e a domicilio. I dicumarolici si danno per bocca, ma la dose efficace e sicura varia molto da paziente a paziente (e soprattutto nello stesso paziente). E’ così necessario misurare in laboratorio almeno ogni 15-20 giorni la coagulabilità del sangue: per evitare che l’inibizione della coagulazione sia troppo forte (e che quindi vi sia un rischio di emorragie) oppure troppo debole (e quindi il rischio di nuove trombosi).

I nuovi anticoaugulanti

Quali sono i nuovi anticoagulanti, e perché rappresentano un progresso? Il dabigatran, il rivaroxaban e l’apixaban sono i più avanzati negli studi clinici, e sono già registrati o stanno per esserlo in molti paesi. Il grande vantaggio è che non solo si somministrano per via orale, ma che determinano un’azione anticoagulante ben prevedibile e a dosi fisse, senza la necessità di controllo di laboratorio.

Si tratta di un reale vantaggio? Prendiamo ad esempio la fibrillazione atriale. E’ la più comune aritmia cardiaca, che colpisce l’1% degli ultrasessantenni e ben il 10% degli ultraottantenni (nell’Italia che invecchia questa aritmia è in continuo aumento). La fibrillazione atriale determina spesso la formazione nel cuore di coaguli, il loro distacco (embolizzazione) e la conseguente occlusione di arterie (soprattutto quelle del cervello), che causano ictus cerebrali altamente invalidanti. La terapia anticoagulante tradizionale con dicumarolici riduce molto il rischio di ictus, ma necessita di continui controlli di laboratorio. Non è facile per gli anziani fragili, che sono i più colpiti da questa aritmia cardiaca, recarsi frequentemente nei laboratori che misurano il loro stato di coagulabilità del sangue, nonché continuare a cambiare la dose dei dicumarolici in rapporto alle variazioni della coagulazione. Il risultato di queste difficoltà è che più del 50% di essi o non utilizzano affatto questa terapia scomoda o non la usano correttamente, con gravi rischi di complicazioni emorragiche o trombotiche. I nuovi anticoagulanti sono almeno tanto efficaci dei dicumarolici nel prevenire l’ictus embolico, sono almeno altrettanto sicuri in termini di rischio emorragico ma, soprattutto, si somministrano in dose fissa, senza necessità di controllare continuamente la coagulabilità del sangue.

E' vera gloria?

Sono un vero “blockbuster” nella terapia della trombosi? Sono sicuramente una vera novità e un sostanziale progresso, anche se bisognerà attendere la prova sul campo della pratica clinica comune, al di fuori delle situazioni selezionate in cui si conducono le sperimentazioni cliniche controllate.

Sarà anche necessario valutare accuratamente il bilancio costo/efficacia: perché se è certo che vi saranno risparmi legati ai mancati costi dei continui controlli medici e di laboratorio attualmente necessari con i farmaci tradizionali, non vi è dubbio alcuno che il costo di questi farmaci è ben più alto.


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