Abbiamo aspettato un po', ma ne è valsa la pena. Il 5
febbraio il team Planck ha rilasciato l’analisi completa dei dati raccolti
durante i 5 anni di vita del satellite europeo. Il satellite dell’Agenzia Spaziale
Europea ha analizzato il cielo in lungo e in largo per studiare con una
precisione senza precedenti la radiazione cosmica di fondo (CMB), la “prima
luce dell’universo” nella banda delle microonde prodotta appena 380.000 anni
dopo il Big Bang.
I risultati,
sottomessi con una serie di articoli alla rivista Astronomy&Astrophysics,
erano particolarmente attesi per quanto riguarda la polarizzazione della
radiazione cosmica di fondo. Ed è proprio su questo tema la novità più
importante dell’ultima data release di Planck.
Ma che cos’è la polarizzazione? Immaginiamo la superficie di
una piscina. Se succede qualcosa nell’acqua che la riempie, l’effetto è un
sistema di onde più o meno complesse che si propagano in essa, creando
increspature sulle superficie. L’universo non è “riempito” con acqua, ma con
una serie di campi, tra cui quello elettromagnetico. La radiazione cosmica di
fondo altro non è che il complesso pattern di increspature del campo elettromagnetico
che permea il cosmo. Punto per punto si può misurare l’entità di queste
oscillazioni, e la polarizzazione indica il piano in cui esse avvengono.
Studiare la polarizzazione della radiazione cosmica di fondo è importante per diversi motivi. In primo luogo, porta più informazioni sui fotoni della CMB rispetto alla loro “semplice” temperatura (che Planck ha già mappato nel dettaglio). In secondo luogo, è più facile capire che cosa l’ha causata. Esiste una miriade di fenomeni astrofisici e cosmologici – dall’inflazione all’annichilazione della materia oscura – che possono lasciare una “firma” ben precisa sulla polarizzazione della luce. Firma che non è altrettanto precisa quando invece si analizza la temperatura della CMB.
Il satellite Planck dispone di 9 frequenze di osservazione, tutte nella banda
delle microonde. Di queste, 7 consentono di misurare la polarizzazione dei
fotoni della radiazione cosmica di fondo. In questo modo, con un’osservazione
continua del cielo protratta dall’estate 2009 fino alla fine del 2013, Planck
ha realizzato delle mappe estremamente precise di polarizzazione della CMB.
Le mappe di Planck sulla polarizzazione della CMB mancavano ancora all’appello,
così come un’analisi precisa e completa della polarizzazione della radiazione
cosmica di fondo, ma c’erano già state importanti anticipazioni. La prima
proprio qui in Italia, a Ferrara, in occasione del convegno The
Microwave Sky in Temperature and Polarization tenutosi lo scorso
dicembre, e si riferiva a un problema che da tempo attanagliava astronomi e
astrofisici.
Oggi sappiamo che, da qualche miliardo di anni, la maggior
parte della materia presente nel nostro universo è ionizzata, ovvero è fatta di
atomi che hanno perso uno o più elettroni. L’universo giovane era sicuramente
ionizzato, poiché molto caldo; ma con l’espansione cosmica è esistito un
periodo in cui la temperatura è scesa abbastanza da permettere la formazione di
atomi neutri. Se ora abbiamo un universo nuovamente ionizzato, ci dev’essere
stato un periodo che gli addetti ai lavori chiamano “reionizzazione”.
Da dove è arrivata l’energia per ionizzare nuovamente gli
atomi? La risposta più ovvia – e condivisa dalla maggior parte degli scienziati
– è: dalle stelle. Il problema è che secondo WMAP, il satellite predecessore di
Planck, l’universo si sarebbe “reionizzato” circa 420 milioni di anni dopo il
Big Bang, mentre altre osservazioni compiute compiute con il telescopio
spaziale Hubble indicano che la reionizzazione sarebbe avvenuta circa 100
milioni di anni più tardi. «Questa differenza – spiega George Efstathiou,
membro della collaborazione Planck – può non sembrare molto significativa
rispetto ai 13,8 miliardi di anni di vita del nostro universo, ma in
proporzione è una differenza molto importante in termini della nostra
comprensione della “timeline” cosmica». Sì, perché l’epoca della reionizzazione indica inevitabilmente l’epoca della
nascita delle prime stelle, che è un parametro decisivo per stabilire la bontà
dei più svariati modelli cosmologici, e che quindi può avere ripercussioni
anche per quanto riguarda gli studi sulla materia oscura e l’energia oscura.
Chi ha ragione, quindi? WMAP o Hubble? Questo è stato un
problema per svariati anni, ma i nuovi dati di Planck risolvono il problema. Il
satellite europeo, infatti, ha spostato la data della reionizzazione in avanti
di circa 100 milioni di anni, confermando quindi i risultati di Hubble. Secondo
Richard McMahon, fisico della Cambridge University, questo risultato
«risolve il conflitto» tra i dati del telescopio spaziale Hubble e quelli di
WMAP.
Ancora una volta, i dati di Planck si rivelano straordinariamente utili a
dirimere complesse questioni cosmologiche. E in questa occasione ancora di più,
perché rende più solida e sicura la nostra conoscenza sulla storia
dell’universo e sulla sua evoluzione.