Dopo 17 mesi dall’incidente che prematuramente aveva bloccato il funzionamento dell’acceleratore, lo scorso martedí 30 marzo LHC é stato nuovamente sotto i riflettori delle televisioni e della stampa di tutto il mondo, per un avvenimento storico: la collisione di particelle alla piú alta energia mai raggiunta in precedenza dall’uomo.
La giornata era cominciata piuttosto presto. Alle 5:30, il parcheggio della sala di controllo appariva giá per metá pieno. All’interno, visi stanchi per il sonno e irrigiditi per la tensione che giá si faceva palpabile.
E il tutto ha assunto toni ancora piú drammatici quando, intorno alle 7, il primo tentativo di rampa si é infranto pochi minuti dopo il suo debutto.
Portare 2 fasci da 100 miliardi di protoni a collidere all’energia di 7 TeV nel centro di massa, non é in effetti una cosa tanto elementare. Soprattutto quando si tratta di una macchina grande e complicata come LHC. Nei suoi 27 km di circonferenza, diverse migliaia di magneti sono raffreddati alle temperature piú basse dell’universo, alimentati da correnti elevate e protetti da un sensibilissimo sistema di protezione. Senza considerare il complesso sistema di sensori e rivelatori che costituiscono l’intricata protezione per i fasci di particelle.
LHC accelera i protoni che vengono iniettati da SPS (Super Proton Synchrotron) dopo essere stati portati all’energia di 450 GeV. Due fasci, che ruotano in direzioni opposte e circolano a pochi centimetri l’uno dall’altro, sono ‘accelerati’ fino all’energia di 3.5 TeV. Una energia 3.5 volte superiore a quella dell’acceleratore americano Tevatron, fino a pochi mesi fa l’acceleratore piú potente al mondo. Non si tratta in realtá di una vera e propria accelerazione, nel senso che la velocitá delle particelle che arrivano da SPS é giá prossima a quella della luce. Si tratta piuttosto di una fase in cui, per mezzo di un sistema di potenti cavitá a radiofrequenza, si aumenta progressivamente l’energia di questi protoni. Man mano che aumenta la loro energia, anche l’intensitá del campo magnetico che li confina nel tunnel deve aumentare, e quindi la corrente che genera questo campo magnetico. Da qui la definizione di rampa, l’aumento progressivo di energia ceduta ai protoni e di corrente che genera il campo di confinamento degli stessi.
Alle 7 iniziavo il mio shift, carico di tensione e di nervosismo, ma allo stesso tempo concentrato e determinato. Sapevo che quella avrebbe potuto essere “la mia occasione”, ma sapevo anche che con questo tipo di macchine, l’errore é sempre dietro l’angolo.
All’origine del fallimento della prima rampa, un problema nell’alimentatore di corrente di uno dei centinaia di circuiti di LHC. Appena verificato lo stato del convertitore e del circuito, siamo ripartiti per un nuovo tentativo.
A poco piú di due ore dal primo tentativo, la mia determinazione e il mio entusiasmo si sono nuovamente infranti contro quella che sembrava essere una giornata nera: pochi minuti dopo aver iniettato i due fasci e aver cominciato la rampa, un circuito principale di uno degli otto settori dell’acceleratore é andato in panne (provocando l’estrazione dei due fasci), a causa di un disturbo sulla linea di alimentazione.
La tensione e il nervosismo hanno cominciato a farsi sentire ancora piú pesanti e i sorrisi si sono trasformati in smorfie di sofferenza. Anch’io, da parte mia, ho vissuto momenti di vera paura e di sconsolata disperazione. Ma sapevo che prima o poi ci saremmo riusciti ed ho cominciato i preparativi per un nuovo tentativo.
Finalmente intorno alle 13, dopo una rampa di 50 minuti senza quasi respiro e in silenziosa concentrazione, i due fasci di protoni sono arrivati a 3.5 TeV. Nelle fasi successive sembrava di maneggaire un preziosissimo vaso di cristallo: una serie di regolazioni e misure (correzioni d’orbita, misure di tune e cromaticitá(sono state eseguite con una calma e una attenzione quasi maniacali; finché, pochi minuti piú tardi abbiamo inviato a collisione i due fasci scatenando l’euforia e gli applausi di giubilo nella sala di controllo di LHC ed in quelle degli esperimenti. In seguito, abbiamo stabilizzato i fasci e gli esperimenti hanno cominciato a raccogliere dati, iniziando quel lungo run che dovrebbe portarci, in pochi mesi, ad accumulare un numero di eventi che negli altri acceleratori ha richiesto anni di lavoro.
La nostra avventura é appena iniziata e molto rimane ancora da fare, dall’aumento della vita media dei fasci, all’aumento del numero dei pacchetti per fascio (due soli, contro i nominali 2808, sono stati accelerati in LHC) e dell’intensitá di ogni pacchetto, fino a “strizzare” sempre piú i nostri fasci per ottenere un rate di collisioni sempre piú elevato.
E in futuro, dopo uno stop di piú di un anno, un nuovo step in energia ci attende... ma questa é un’altra storia.