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Vite fra i rifiuti

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Avvelenati nell'anima e nel corpo. Così appaiono i campani delle province di Napoli e Caserta intervistati da una schiera di sociologi e antropologi sulla difficile convivenza con i veleni seppelliti nelle discariche abusive dalla camorra. Il libro che le raccoglie e commenta (a cura di Liliana Cori e Vincenza Pellegrino, Corpi in trappola, Editori riuniti, 2011) è il panorama di uno sfacelo ecologico e sociale senza paragoni in Italia, all'insegna della munnezza. L'antefatto è lo studio targato Oms e Cnr che nel 2005 aveva riscontrato eccessi di mortalità da tumore e di malformazioni alla nascita nelle popolazioni che vivevano vicino alle discariche abusive utilizzate dalla camorra per smaltire rifiuti tossici spesso di origine industriale: parliamo di luoghi resi celebri al grande pubblico da Gomorra di Roberto Saviano, come Acerra, Castel Volturno, Giugliano, Marcianise,Villa Literno e molti altri. A questo studio ha fatto seguito lo studio di biomonitoraggio “Sebiorec”, in cui diossine, metalli pesanti e altri veleni sono stati dosati nel sangue e nel latte di un campione di popolazione di questa “terra dei fuochi”, così chiamata per l'abitudine di bruciare all'aria aperta i cumuli di rifiuti abbandonati. La munnezza, dunque. Ma non solo. Nelle interviste raccolte nel libro emerge la consapevolezza non solo di un terra avvelenata, ma anche del traffico impazzito, di quartieri senza fognature, di pezzi di città che si espandono senza controllo divorando la campagna. “Dire territorio è un modo di dire terra di nessuno. Prima si diceva terra per dire il pezzo che coltivavi e lo conoscevi bene”, dice uno degli 86 intervistati. Si legge nostalgia di un'agricoltura che non c'è più, trasformata in un'immensa discarica in mano alla camorra e agli amministratori collusi (“o' sistema”). Tanta rassegnazione di fronte ai veleni (“Io mangio di tutto perché quello che doveva succedere è già successo anche se non lo vedo”), voglia di scappare in altri (“spero che mia figlia diventi dottoressa a vada a vivere al Nord”). Fatalismo e vittimismo. Ma anche tanta voglia di riscatto e di partecipazione. (Luca Carra, da L'espresso 23 giugno 2011)

Emergenze in serie e crisi cronica

(...) È in questo scenario complesso, conflittuale, confuso, che si dipana la crisi, emergenza dopo emergenza, fino a diventare una crisi cronica che dura ormai da due decenni. Una situazione in cui la difficoltà del vivere predispone a comportamenti diversi e contraddittori, non necessariamente disgiunti, e anzi spesso presenti nella stessa persona, come bene testimoniato da molte delle interviste presentate e commentate in questo libro: sopravvivenza, estraneazione, adattamento, ma anche ribellione, volontà di cambiamento, voglia di voltare pagina o di fuggire. E poi alcuni tratti comuni a tutti, come la preoccupazione, che in alcuni casi più critici diventa allarme, come si ricava con chiarezza dai quasi mille questionari raccolti dall’indagine Sebiorec.

Un’emergenza che rende più difficile qualsiasi mestiere, tranne quelli che dalla crisi traggono vantaggi. È in questa situazione che va a collocarsi la proposta di passare a uno studio sanitario diverso da quelli del passato, un’indagine rivolta a valutare quanto le persone che vivono nelle aree più rischiose hanno assorbito inquinanti, in particolare quelli tipici dei rifiuti pericolosi e della loro combustione all’aria aperta. Mercurio, cadmio, arsenico, piombo, diossine e altri composti che tendono ad accumularsi in sangue e tessuti, e in questo modo indicano quanto una persona è stata esposta a quegli inquinanti. Uno studio che l’Assessorato alla salute della Regione Campania nel 2008 affida all’Istituto Superiore di sanità in collaborazione con l’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, finanziandolo con 250.000 euro, una cifra importante per permettere lo studio, anche se irrisoria a confronto delle cifre con alcuni zeri in più che nel frattempo venivano dilapidate dai commissariati che si sono succeduti al capezzale dell’emergenza.

Comunque lo studio vede l’avvio, e i ricercatori del Cnr decidono di affiancare allo studio Sebiorec l’indagine che si racconta in questo libro, con interviste accurate e profonde, per comprendere meglio cosa si sta sedimentando nelle comunità sotto- poste a condizioni di vita e ambientali inaccettabili altrove, quale visione collettiva si sta componendo in uno dei territori più massacrati del nostro Paese, devastato sistematicamente e senza indulgenza, neanche per il proprio ambiente e per la salute dei propri figli.

Cosa dice Sebiorec

Come illustrato nella presentazione a questo volume, Sebiorec (Studio epidemiologico e di biomonitoraggio umano nella regione Campania) è uno studio epidemiologico basato sulla misurazione di sostanze inquinanti assorbite in sangue e latte di un campione delle popolazioni di 16 comuni suddivisi in tre aree16 definite sulla base del carico di rifiuti soprattutto pericolosi smaltiti in vario modo. (Nota)

Lo studio prevedeva l’analisi in raggruppamenti di dieci soggetti dello stesso sesso e della stessa classe di età all’interno dello stesso comune (pool). La scelta di analizzare raggruppamenti di persone, e non soggetti singoli, era stata adottata per diversi motivi: innanzitutto perché l’interesse principale, chiaramente dichiarato, era quello di descrivere la situazione dell’esposizione a livello territoriale, in secondo luogo per avere a disposizione una maggiore quantità di sangue e plasma e produrre misure più stabili, infine per problemi di costi, che nel caso di misure singole sarebbero stati molto più alti di quelli a disposizione. Questa scelta ha suscitato discussioni e immancabili polemiche fin dall’inizio, con posizioni favorevoli e contrarie, queste ultime specie da parte di comitati locali operanti in alcune aree, che criticavano il fatto di non poter sapere il livello di inquinamento dei singoli. Si tratta di un’obiezione senz’altro pertinente ma poco conciliante, a volte sprezzante, rispetto alle motivazioni presentate.

I laboratori dell’Istituto superiore di sanità hanno misurato me- talli e diossine contenuti nel sangue di circa 850 soggetti, raggruppati in 84 pool distribuiti nei 16 comuni in studio. Inoltre venivano passati al vaglio analitico 50 campioni di latte materno, raggruppati anch’essi in un pool da 10 campioni.

In parallelo i ricercatori di Ifc-Cnr analizzavano le risposte ai questionari individuali per ricavare informazioni da valutare congiuntamente con i valori di contaminazione e per capire il peso delle percezioni dei rischi ambientali e sanitari delle persone.

Un lavoro iniziato nel 2008, che richiederà più tempo di quanto previsto, a causa delle difficoltà nelle fasi del reclutamento delle persone, dei prelievi di sangue e latte, dell’invio dei campioni biologici e anche della complessità delle analisi di laboratorio e poi dell’elaborazione dei dati ottenuti. D’altra parte diverse difficoltà erano largamente prevedibili e quindi attese, in territori con le caratteristiche di cui questo libro dà solo uno spaccato.

Per pubblicizzare i risultati nel frattempo era stato preparato un sito web specifico, contenente informazioni da mettere a disposizione dei cittadini via internet. Questa piattaforma, la cui messa a punto ha richiesto molti mesi di lavoro e altrettanti per trovare equilibri su cosa, come e quanto comunicare in tema di rifiuti e salute, veniva consegnata alla Regione Campania a metà del 2009 e da quel momento cadeva nell’ombra.

Un brutto segno che faceva presagire un percorso difficile di comunicazione, che puntualmente si è verificato, tant’è che dopo la consegna dei risultati finali di Sebiorec non seguiva una pronta comunicazione pubblica. È ormai arrivato il 2011 e da alcuni mesi è scoppiata un’altra emergenza per i rifiuti urbani, che a causa del progressivo esaurimento delle discariche operative e dell’assenza di un vero sistema di gestione, sono tornati a riempire le piazze e le strade di Napoli e dintorni, a inondare i giornali, a ferire le coscienze, a deturpare l’immagine.

La conseguenza è il solito leitmotiv: l’emergenza alimenta la crisi e il ciclo riparte, senza mai chiudersi, esacerbando – se ancora possibile – le tante storture che affliggono la società; non solo quelle ri- guardanti il sistema dei rifiuti, ancora oggi in preda ad una schizofrenia (basti pensare all’assenza di impianti di compostaggio per il trattamento della frazione umida che viene inviata a impianti del nord e anche del sud), su cui è stato scritto tutto e il contrario, ma anche le conseguenze dannose che derivano dalla crisi mai risolta. Per l’ambiente e la salute, la conseguenza probabilmente più dannosa è rappresentata dall’abdicazione alla bonifica delle aree inquinate da rifiuti pericolosi. Queste numerose e vaste aree, ormai ampiamente studiate e caratterizzate sul piano ambientale, attendono azioni concrete, senza le quali è difficile pensare ad una inversione di tendenza, almeno sul piano della prevenzione di eventi sfavorevoli per gli ecosistemi e la salute (prevenzione primaria, da non confondere con quella secondaria, rivolta alla diagnosi precoce a livello individuale come sono ad esempio le azioni di screening). Mentre si accumulano i rifiuti urbani in strada, le aree inquinate incluse nei tre siti nazionali di bonifica del litorale Domitio-flegreo e Agro aversano, del litorale vesuviano, di Pianura, attendono il risanamento necessario, per il quale non c’è alcun bisogno di dati più o meno negativi sulla salute.

È un fatto comprensibile e positivo che molti soggetti, individui, associazioni, politici, abbiano continuato a chiedere i risultati di Sebiorec, nonostante il silenzio e i rinvii. Un silenzio che contribuisce ad appesantire preoccupazioni e sospetti anziché scioglierli. E pensare che il quadro dei risultati di Sebiorec sarebbe gestibile utilmente non essendo allarmante per il complesso della salute pubblica, anche se come vedremo diversi risultati si presentano di grande interesse. Una situazione del genere del resto era ragionevolmente prevedibile in aree come quelle campane, non interessate – tranne poche eccezioni – da industrie inquinanti attive da lungo tempo, com’è il caso invece di altre aree del nostro Paese, quali ad esempio Taranto, Marghera, Priolo, Mantova, Crotone, Gela e altre ancora.

Il carico di inquinanti nel sangue e nel latte non è risultato significativamente più elevato rispetto ai livelli misurati in altre situazioni non industriali, soprattutto all’estero, visto che in Italia le possibilità di confronto sono molto ridotte. Nell’interpretare i risultati di Sebiorec occorre tener conto che sono state rilevate sostanze che, seppure in basse concentrazioni, sono considerate indesiderabili, perché potenzialmente pericolose per la salute umana e prive di effetti benefici.

Il risultato generale più importante per uno studio vocato a comprendere la distribuzione dei livelli di esposizione a sostanze inquinanti è la grande variabilità di valori tra aree diverse e soprattutto tra comuni osservata via via per le sostanze analizzate, che alla fine contribuiscono a caratterizzare aree e sotto-aree. Tra i segnali più interessanti emersi dallo studio sono da annoverare alcune associazioni tra la presenza di arsenico, mercurio e piombo in diverse comunità che hanno dichiarato un maggior consumo di acqua d’acquedotto, che potrebbe costituire un potenziale veicolo d’esposizione differenziale: si tratta quindi di un’informazione da sottoporre ad approfondimento e a frequenti verifiche.

La residenza vicino a siti di abbandono di rifiuti pericolosi ha indicato una maggiore esposizione a sostanze organiche, quali diossine, furani e poli-cloro-bifenili (PCB), probabilmente per il contributo di combustioni illegali. La tetra-cloro-dibenzo-p-diossina (2,3,7,8 TCDD), nota come diossina di Seveso, è stata rilevata solo in una parte dei campioni mostrando in generale livelli contenuti, tuttavia in alcuni gruppi o pool la concentrazione è risultata 3 volte più alta rispetto ai valori minimi rilevati, a testimonianza di una presenza che non è giusto sottovalutare, anche se si tratta di tracce.

Anche la distribuzione dei poli-bromo-difenil-eteri o PBDE (so- stanze tossiche o molto tossiche, di cui alcune probabilmente cancerogene, usate estesamente come ritardanti di fiamma in plastiche e fibre sintetiche) rilevati nel latte materno, è risultata eterogenea secondo la provenienza territoriale delle donne donatrici di latte. I livelli più elevati misurati, che segnalano un’avvenuta esposizione a queste sostanze specifiche, sono ragionevolmente attribuibili alla presenza di sorgenti locali di emissione come i siti di abbandono di rifiuti, senza escludere possibili fattori presenti all’interno delle abitazioni (indoor).

Anche l’esame dell’esposizione occupazionale ha fornito indicazioni su attività che sono riconosciute in grado di innalzare i valori corporei di alcune sostanze (com’è il caso di diossine e furani tra esposti a polveri di legno ed a esalazioni dai trattamenti di legname e mobilio), ma per capire meglio questi aspetti legati al tipo di lavoro che fanno le persone occorrono studi più specifici. Le correlazioni osservate in tutte le aree tra fumo di tabacco e presenza di cadmio nel sangue, e tra crescita del livello di numerosi inquinanti soggetti a bioaccumulo al progredire dell’età dei donatori, sono in accordo con quanto documentato in letteratura e conferiscono solidità ai risultati ottenuti.

Tra i suggerimenti che emergono da Sebiorec è da sottolineare l’opportunità di procedere ad accertamenti di biomonitoraggio su base individuale in sotto-aree selezionate all’interno delle due zone (A e B) in cui i segnali di esposizione sono emersi con maggiore chiarezza. Un’ampia sezione del questionario utilizzato in Sebiorec è stata dedicata a rilevare la percezione che i donatori hanno del rischio e della vulnerabilità del territorio, la consapevolezza dei problemi di ambiente e salute, le fonti informative utilizzate, e infine i soggetti ritenuti più affidabili per fornire informazioni sui problemi di ambiente e salute. Questi quesiti, raccolti con domande chiuse a risposta multipla, forniscono elementi di ulteriore conoscenza che si integrano bene con quelli raccolti nelle interviste commentate in questo libro. L’analisi di questa sezione dei questionari ha permesso di rilevare le differenze esistenti tra le tre aree da cui l’indagine Sebiorec è partita e illustrate nella presentazione (A la più inquinata da rifiuti, B quella intermedia, C meno).

Un’ampia sezione del questionario utilizzato in Sebiorec è stata dedicata a rilevare la percezione che i donatori hanno del rischio e della vulnerabilità del territorio, la consapevolezza dei problemi di ambiente e salute, le fonti informative utilizzate, e infine i soggetti ritenuti più affidabili per fornire informazioni sui problemi di ambiente e salute. Questi quesiti, raccolti con domande chiuse a risposta multipla, forniscono elementi di ulteriore conoscenza che si integrano bene con quelli raccolti nelle interviste commentate in que- sto libro. L’analisi di questa sezione dei questionari ha permesso di rilevare le differenze esistenti tra le tre aree da cui l’indagine Sebiorec è partita e illustrate nella presentazione (A la piú inquinata da rifiuti, B quella intermedia, C meno).

È stato chiesto quali pericoli ambientali sono considerati più gravi, tra quelli naturali (inondazioni, fenomeni meteorologici gravi, terremoti, etc.) e quelli detti provocati dall’azione umana (rumore, trasporto di materiale pericoloso, rifiuti, inquinamento di acqua e aria, industrie pericolose, incendi, etc.). Il record della preoccupazione si registra sull’inquinamento atmosferico e sui rifiuti: sono piú dell’80% rispettivamente i preoccupati o molto preoccupati a questo proposito. Il pericolo immediatamente successivo è l’inquinamento delle acque.

Per tutti i pericoli l’area in cui c’è più preoccupazione è quella de- finita B, l’intermedia in termini di inquinamento (rilevato dai dati dell’Arpac). Tra i pericoli naturali ci sono molte differenze tra le zone: il pericolo che le persone sentono più vicino è il terremoto, ma nella zona B sono preoccupate il 70 per cento delle persone, contro un 40 dell’area A, poi ci sono le frane, i fenomeni meteorologici e le inondazioni. In tutte le successive domande si confermerà la maggiore la preoccupazione di chi risponde al questionario nella zona B: si tratta dei comuni di Nola, Maddaloni, Qualiano e Villa- ricca un’area in cui i cittadini si rivelano più sensibili e dove sarebbe necessaria una particolare attenzione, come si vedrà ancora.

Per capire la consapevolezza dell’esistenza di pericoli, si è chiesto quali siano presenti nell’area dove il donatore vive: fa riferimento ai rifiuti circa l’80% del campione totale, all’inquinamento dell’aria circa il 60%, all’inquinamento dell’acqua il 40%, seguiti a una certa distanza dal rumore e dalle industrie pericolose (20%). In generale la consapevolezza dei problemi ambientali riflette quella della situazione effettivamente esistente, dove la zona B appare mantiene percentuali di risposte preoccupate più alte rispetto alle altre due.

È stato chiesto come le persone giudicano la situazione ambientale nel comune in cui vivono. Le possibilità erano: ottima, accettabile, grave ma risolvibile, grave ed irreversibile, non so. Le valutazioni appaiono sostanzialmente circoscritte a due possibilità: la situazione è grave ma risolvibile per circa il 60 per cento dei donatori, e grave e irreversibile per un altro 27, in entrambi i casi le risposte sono uniformemente distribuite nelle tre zone. In sintesi si può dire che secondo il nostro campione, piuttosto ampio di persone, c’è spazio per i miglioramenti (come abbiamo ostinatamente ripetuto in questi anni a chi si occupa di amministrazione pubblica e di sanità e ambiente in particolare).

La domanda più impegnativa del questionario intendeva esplorare la percezione del rischio di tipo sanitario, ovvero come fosse percepita la possibilità d’ammalarsi nell’area di residenza. Si chiedeva dunque quanto è probabile per chi vive in prossimità di un’area inquinata contrarre: allergie, danni temporanei alle vie respiratorie o danni permanenti, danni temporanei ai diversi organi o danni per- manenti, danni al fegato, varie forme di cancro, leucemia, malformazioni congenite in nati da genitori esposti a inquinamento. Le possibilità di risposta: certo, molto probabile, mediamente probabile, per nulla probabile, non so. In generale emergono dalle risposte percentuali molto alte di preoccupazione per tutte le patologie indicate, sia acute (allergie, malattie respiratorie acute, danni temporanei ai diversi organi, etc.), sia croniche (malattie respiratorie croniche, danni permanenti ai diversi organi, varie forme di cancro, etc.), o che provocano molto allarme come le malformazioni congenite, riguardanti madri e bambini e coinvolgenti l’eredità futura e le prospettive di vita, cui si riferiscono più del 60 per cento delle persone. An- che in questo caso gli abitanti dei comuni della zona B esprimano un livello di preoccupazione/allarme maggiore. Ma la risposta piú netta è relativa a varie forme di cancro: il 90 per cento del campione ritiene certo o molto probabile ammalarsi, senza distinzioni tra le zone A, B, e C.

A proposito di informazione, circa un 50 per cento delle persone ritiene di essere sufficientemente informato sulla presenza di pericoli che possono esistere nell’area in cui vive, mentre più del 40% pensa di non essere informato a sufficienza e tra il 6 e il 10 % non sanno rispondere. Tra le fonti informative domina la televisione nazionale e le emittenti locali, i giornali e le emittenti radio locali e Internet appaiono avere un ruolo minore. Quando si chiede quali sono le fonti ritenute attendibili e dove si vanno a cercare informazioni si conferma che le persone si orientano soprattutto verso gli strumenti di comunicazione di massa. La domanda voleva esplorare la propensione ad utilizzare mezzi alternativi d’informazione, che si rivelano però scarsamente presenti. Le fonti informative degli enti lo- cali, del personale sanitario, delle associazioni ambientaliste, e dei sindacati coprono percentuali del campione che vanno dall’1 al 4 per cento ciascuna. La fonte internet è citata da meno del 5 per cento dei rispondenti, in particolare però quelli più giovani, e si può considerare un elemento strategico, in particolare perché si tratta di un mezzo di comunicazione “a valanga” e a diffusione orizzontale. Si può osservare che, anche se circa la metà delle persone si dichiara informata, questa percentuale appare bassa e inadeguata in una fase in cui è necessario trasmettere contenuti scientifici quali il biomonitoraggio umano, l’esposizione a inquinanti, la relazione tra inquinamento e salute, di cui il territorio è sostanzialmente all’oscuro. La lettura di questa sezione del questionario Sebiorec appare molto significativa, e diverse delle voci delle interviste in profondità presentate in questo libro si fanno sentire: dalla preoccupazione per l’inquinamento dell’aria, per il rischio di malattie, all’apertura per il cambiamento, alla scarsa disponibilità di informazioni differenziate. Ma ciò che si deve osservare è che in una condizione di preoccupa- zione diffusa come quella disegnata sulla base di queste risposte mancano le condizioni di base per parlare di buono stato di salute, nell’accezione ampia di salute fisica, psichica e sociale che propone l’Organizzazione mondiale delle sanità. È senz’altro vera l’osservazione di Vincenza Pellegrino a proposito dell’esistenza di molti pubblici diversi, non solo di uno. Dai questionari emergono molte differenze, che verranno ulteriormente approfondite, dal punto di vista dell’età, dell’istruzione, dell’occupazione. Quella che è apparsa evidente alla prima analisi è quella tra le diverse aree esaminate: l’area B è la più preoccupata. Ebbene, sappiamo dalle interviste ma anche da altri elementi di conoscenza del territorio che in questa zona si concentrano molte delle combustioni all’aria aperta (denunciate in maniera non sistematica dalla rete Terra dei fuochi), che non vengono quindi registrate come discariche vere e proprie. Ma sono proprio queste le situazioni di maggiore disagio, di più forte sensibilità che vanno affrontate, e in cui probabilmente si possono trovare anche leve potenti per avviare la soluzione dei problemi.

In generale però si può notare che sono presenti le principali caratteristiche che aggravano la percezione dei rischi: si tratta di un rischio involontario, con una distribuzione ineguale (le comunità più deprivate vivono nelle zone piú inquinate), ineludibile anche prendendo precauzioni, causa danni irreversibili, provoca danni non completamente compresi dalla scienza, è oggetto di affermazioni contraddittorie da parte dei responsabili della gestione17. Tutti questi elementi sono presenti, assieme alla principale aggravante, costituita dalla sfiducia nelle istituzioni nel loro complesso.

I risultati di Sebiorec, consegnati alla Regione Campania sono corredati da diverse raccomandazioni, che riguardano innanzi tutto la salute delle collettività interessate allo studio, che si deve basare su azioni immediate di bonifica del territorio (azioni peraltro già indispensabili ed urgenti sulla base dei risultati del lavoro svolto dalle stesse istituzioni di ricerca da 2004 a 2007), poi la diffusione delle informazioni e la necessità di mettere in campo strumenti di più lungo periodo in materia di sorveglianza su ambiente e salute e di comunicazione e dialogo con le comunità, capace di ricostruire un rapporto di fiducia e comune responsabilità.

Da questo punto di vista appare ancora quanto mai appropriata l’osservazione di Pellegrino sul fatto che la comunicazione scienti- fica è una questione di “contenitori” e non solo di “contenuti”. La comunicazione scientifica, come tutte le altre forme di comunicazione, rientra in un più ampio scenario di fiducia, va calata nel suo contesto, con strumenti ritagliati ed adeguati e pensata in modo specifico. Il contesto della Campania, che emerge caratterizzato da particolare sfiducia nei confronti delle autorità pubbliche, ha necessità di strumenti di dialogo e non solo di informazione, di vicinanza con il territorio, e non solo di trasmissione di notizie dall’alto (anche se questa è praticamente l’unica modalità che le persone conoscono da parte delle istituzioni).

Brano tratto da Corpi in Trappola. Vite e storie tra i rifiuti, Editori Riuniti University Press, 2011 di Fabrizio Bianchi e Liliana Cori


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Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

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