Il turismo è responsabile del 5% delle emissioni globali annue, soprattutto a causa dei trasporti, e il numero è in crescita. Inoltre, causa ancora consumo eccessivo di acqua, suolo e altre risorse naturali, con impatti su flora e fauna locali. Lo stesso turismo soffre delle crescenti temperature. In questo articolo alcuni dati.
Foto di Jacopo Mengarelli: baia di Mezzavalle-Portonovo (Ancona), con imbarcazioni posizionate oltre il limite di legge di 300 metri dalla battigia, risultando pericolose per i bagnanti e deleterie per il fondale marino.
Una volta, prima di una bella escursione in montagna, si consultavano le carte geografiche e le previsioni meteorologiche, e si andava ben equipaggiati. Oggi i turisti si avventurano per i sentieri dando un’occhiata ai social e indossando scarpe e vestiti spesso inadatti. Questo sembra emergere dalle testimonianze della direzione del Corpo nazionale del soccorso alpino del CAI (Club Alpino Italiano) raccolte dal sito sherpa-gate, che raccontano di un numero crescente di feriti e morti, e di impatti considerevoli sulla natura. Lo stesso discorso lo si potrebbe fare per quanto riguarda il mare, basti solo pensare alla quantità immane di mozziconi di sigarette e altri rifiuti che si trovano in molte spiagge. Ma quali sono gli impatti del turismo sull’ambiente?
Quanto impatta il turismo sull’aumento dei gas serra
Quest’anno sono ormai più di 954 milioni i turisti arrivati in una qualche destinazione, 45 arrivi ogni secondo. Secondo la World Bank ogni anno i turisti complessivi sono quasi un miliardo e mezzo. Nel 1950 erano 25 milioni, per il 2030 si potrà arrivare a 1,8 miliardi. Gli eco-turisti invece, per quanto difficile possa essere contarli, sono circa cento milioni l’anno (ma non ne parleremo qui).
Queste grandi masse di persone e tutto l’indotto che sta dietro non può che generare impatti negativi sul clima, visto l’attuale impianto abbondantemente fossile dell’economia globale. In particolare, il turismo è responsabile del 5% delle emissioni di gas serra globali, dove il trasporto copre la quasi totalità del contributo. E secondo quanto riportato dall’UNEP (il programma ambientale delle Nazioni Unite), senza fare la transizione ecologica, «il turismo genererebbe fino al 2050 un aumento del 154% nel consumo di energia, del 131% nelle emissioni di gas serra, del 152% nel consumo di acqua e del 251% nello smaltimento dei rifiuti solidi».
Per quanto riguarda i trasporti usati, nel turismo, una crociera emette mediamente nove volte di più che un volo transatlantico, con emissione per passeggero tra 1,2 e 9 tonnellate di CO2 per viaggio. In ogni caso, tra il 1990 e il 2019 le emissioni causate dall'aviazione internazionale sono aumentate del 146%. Come scrive tra gli altri il sito Energy Monitor, il sovraffollamento turistico è un bel problema, considerando che l’80% dei turisti va in vacanza nel 10% delle destinazioni, e non vale solo per mare e montagna, ma anche per le città, come Venezia, Barcellona, Amsterdam, Praga e altre particolarmente colpite.
In un briefing dell’European Parliamentary Research Service (EPRS, che fornisce informazioni e analisi scientifiche indipendenti al Parlamento europeo), si legge che il settore ricettivo è responsabile del 20% di tutte le emissioni, dovendo considerare il riscaldamento e l’aria condizionata, la manutenzione di bar, ristoranti, piscine, e così via.
Impatti del turismo sulle risorse naturali
Le attività turistiche causano anche impatti nel consumo delle varie risorse naturali, acqua, suolo, minerali e metalli, con conseguente produzione di rifiuti solidi, acque reflue e perdita di biodiversità.
A Barcellona, per esempio, il 38% delle catture dei pescherecci è rappresentato da rifiuti; la città ha tra i tassi più alti di produzione di rifiuti plastici; è oggetto di inquinamento acustico anche per colpa dell’82% dei turisti, che arrivano via aereo (ci sarebbe anche l’alta velocità dalla Francia, ma quest’ultima non ha completato il collegamento ferroviario nei Pirenei, dice Energy Monitor). Abbiamo già citato le crociere, ebbene a Barcellona sono responsabili di quasi il 30% degli ossidi di azoto presenti.
Per quanto riguarda il consumo di acqua, lo EPRS dice che «la Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi (CIPRA) ha stimato […] che per innevare artificialmente una pista da sci di 1 ettaro sono necessari circa 1 milione di litri d'acqua». Per un campo da golf di 54 ettari a 18 buche, ne servirebbero tra 300mila e un milione di metri cubi l’anno. Per altro, rispetto a un normale residente, è stimato che un turista consuma in media almeno 3 volte più acqua al giorno, e questo è un problema per le zone turistiche che patiscono anche periodi di siccità, come le province di Alicante, Murcia e Almeria: la Spagna orientale sarebbe deficitaria «di almeno 400 milioni di metri cubi di acqua all'anno».
La sproporzione nel consumo di acqua vale anche per i rifiuti: per esempio a Malta un turista produce 1,25 chilogrammi di rifiuti al giorno contro gli 0,68 di un residente; e proprio le isole sono tra i luoghi più in difficoltà a gestire lo smaltimento di sovrabbondanza di rifiuti. Anche le acque reflue rappresentano un problema, sia a livello di salute pubblica che a livello di biodiversità. «Secondo Oceana, un'organizzazione che si batte per la protezione degli oceani, le navi da crociera rilasciano ogni giorno negli oceani e nei mari 95.000 metri cubi di acque reflue provenienti dai servizi igienici e 5.420.000 metri cubi di acque reflue provenienti da lavandini, cambuse e docce».
Abbiamo menzionato i mozziconi di sigaretta per le spiagge: considerando solo il lato economico, si tenga conto che pulire le coste dai rifiuti può costare circa 630 milioni di euro all’anno. E questo non è un discorso di transizione ecologica, ma di semplice civiltà (esistono portacenere tascabili). Lo stesso vale per la montagna, su cui, come si diceva all’inizio, è bene recarsi in modo informato (si vedano qui per esempio le norme comportamentali da tenere nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini): non dappertutto è infatti possibile accedere con i cani, accendere falò, campeggiare o uscire dal sentiero (ne riparleremo quanto si tratterà di aree protette). Restando in montagna, nelle Alpi, che hanno 120 milioni di turisti all’anno, l’84% degli spostamenti per vacanza avviene in automobile: «le valli soffrono molto dell'inquinamento atmosferico e acustico causato dal trasporto stradale motorizzato, aggravato in modo significativo dalla topografia delle Alpi».
Gli impatti del clima più caldo sul turismo
«Quest'estate l'Europa meridionale è stata meno Barbie e più Oppenheimer», scrive Bloomberg a proposito del caldo torrido che ha colpito i paesi mediterranei questa estate. «I giorni con temperature a metà pomeriggio superiori ai 30°C sono 2,7 volte più numerosi ad Atene, 3,7 volte a Barcellona, 8,1 volte a Parigi e ben 10,4 volte a Londra. Tutte queste città sono vicine al mare, quindi non c'è da stupirsi che anche le destinazioni balneari estive più popolari - come la Costa Azzurra francese e Martha's Vineyard - siano state notevolmente più calde negli ultimi anni rispetto al XIX e XX secolo».
La parola “tourism” compare ben 672 volte nel secondo volume dell’ultimo rapporto IPCC sugli impatti del cambiamento climatico. Si legge per esempio che «l'industria sciistica australiana è molto sensibile ai cambiamenti climatici, a causa della riduzione della profondità della neve e della durata della stagione della neve». Ma anche che «gli incendi dell'estate 2019-2020 hanno avuto un impatto sul turismo e sulle infrastrutture di viaggio, colpendo la qualità dell'aria». L’esperienza turistica nell’Isola del Sud della Nuova Zelanda ha risentito di un pericolo di caduta massi maggiore, causato dal ritiro di circa 700 metri dal 2008 dei ghiacciai Fox e Franz Josef. In più sono stati danneggiati sentieri, rifugi e ponti per colpa delle inondazioni lungo la costa ovest della Nuova Zelanda, con conseguente chiusura di destinazioni popolari come «il ghiacciao Hooker e i famosi sentieri Routeburn e Heaphy durante le forti precipitazioni».
In Europa, si prevedono danni per l'industria sciistica europea. In particolare, dice l’IPCC, con un riscaldamento globale di 2°C «l'attività delle località di bassa quota senza innevamento sarà probabilmente interrotta», con 3°C neanche l’innevamento artificiale sarà sempre sufficiente. Gli stessi impianti di risalita sono in pericolo con il degrado del permafrost.
Lo sci è danneggiato anche in Nord America, con una riduzione fino a 17 giorni della stagione turistica negli inverni con caldi record e una riduzione dei profitti del 33%, cioè di circa 45 milioni di dollari. L’IPCC continua scrivendo che «il 30% degli hotel lungo il Golfo del Messico e il Mar dei Caraibi è esposto alle inondazioni e il 66% si trova su spiagge in erosione. La copertura della barriera corallina nella baia di Akumal, in Messico, è diminuita del 79% tra il 2011 e il 2014».
Dal grafico tratto dal rapporto IPCC emerge come il turismo legato alle montagne sia il settore più a rischio per il Nord America.
Il fiuto americano per gli affari ha prodotto però una nuova forma di turismo, a tratti macabra e a tratti triste: il turismo “dell’ultima occasione”. Nonostante tra i ghiacci sia più alto il rischio di collisioni tra yacht artici privati (poco regolamentati rispetto alle altre navi), sono aumentati i viaggi verso le zone artiche sfruttando la fusione glaciale in aumento. L’obiettivo è osservare la fauna locale “prima che si estingua”. È il caso degli orsi polari a Churchill, Manitoba e in Canada, per esempio. Nell’Artico la domanda di crociere «è aumentata del 20,5% negli ultimi 5 anni e ha portato a 27,2 milioni di passeggeri nel 2018». Nell'Antartico questo tipo di turismo è diventata la maggiore attività economica della regione con 75mila visitatori nel biennio 2019-2020.
Per quanto serva una risposta anche economica agli impatti del clima sul turismo, è lecito pensare che non siano solo queste le uniche possibilità. Ma di cosa fare per ridurre gli impatti che il turismo provoca e riceve ne riparleremo sicuramente.