E’ di poche settimane fa la notizia della morte di una bimba australiana di nove mesi a causa di una grave forma di eczema cronico, diagnosticato 5 mesi prima. Ricoverata in un ospedale di Sidney in condizioni drammatiche (la pelle corrosa dall’eczema, dolori infernali, i capelli completamente bianchi, setticemia dovuta a penetrazione di batteri nel sangue attraverso le ferite cutanee), nonostante i tempestivi interventi, la bimba è morta dopo 3 giorni. I genitori, ora indagati per negligenza nelle cure e per crudeltà, ne avevano ritardato il ricovero perché l’avevano sottoposta a cure omeopatiche.
Non si tratta certo del primo caso di decesso di un bambino a seguito della sospensione di cure tradizionali a favore dell’omeopatia: anche in Italia l'anno scorso è morta una ragazzina diabetica di appena 16 anni, alla quale un’omeopata aveva consigliato di sospendere la terapia a base di insulina. Al posto dell’insulina, l’omeopata aveva consigliato una dose massiccia di vitamine. La giovane era entrata poco dopo in coma. Per poi morire. Il problema è che non tutti conoscono i principi sui quali si basa sull’omeopatia e ricorrono con superficialità a cure omeopatiche, abbandonando così terapie di comprovata efficacia.
Alla base dell'omeopatia è il cosiddetto principio di similitudine del farmaco («similia similibus curantur») enunciato dal medico tedesco Samuel Hahnemann verso la fine del XVIII secolo. Secondo questo principio, il rimedio appropriato per una determinata malattia è costituito da quella sostanza che, in una persona sana, induce sintomi simili a quelli osservati nella persona malata. La sostanza, detta anche principio omeopatico, una volta individuata, viene somministrata al malato in quantità fortemente diluita. L'opinione degli omeopati è che diluizioni maggiori della stessa sostanza non provochino una riduzione dell'effetto terapeutico bensì un suo potenziamento («metodo della diluizione »). Questo rappresenta proprio uno degli aspetti più criticati del metodo omeopatico: secondo le leggi comunemente accettate e provate della chimica (principio di Avogadro), il prodotto finale che viene somministrato al paziente è così diluito da non contenere più neppure una molecola della sostanza di partenza. L'eventuale effetto terapeutico del rimedio omeopatico, pertanto, non sarebbe legato alla presenza fisica del farmaco, ma a qualcos'altro, che gli stessi sostenitori dell'omeopatia non sono ancora riusciti ad individuare (vedi il box 1).
A tutt’oggi, la validità terapeutica del metodo omeopatico e i meccanismi responsabili non sono stati ancora verificati secondo i criteri scientifici comunemente applicati a tutti gli altri principi terapeutici tradizionali. Molte ricerche cliniche concordano nel ritenere che gli effetti terapeutici dei trattamenti omeopatici non si discostino in maniera significativa da quelli ottenuti per effetto placebo, l’effetto benefico, spesso associato a un trattamento terapeutico, non derivante dai principi attivi insiti nella terapia stessa, ma dalle attese dell'individuo, specie se favorevolmente condizionato dai benefici di un trattamento precedente (vedi il box 2).
Tra gli omeopati sono in corso da anni studi finalizzati a escludere il contributo dell’effetto placebo ai trattamenti omeopatici. Secondo gli omeopati, questi lavori dimostrerebbero che la manipolazione a cui il principio omeopatico viene sottoposto durante la sua preparazione, consente al solvente, in cui il principio attivo è disciolto, di esercitare un effetto curativo riconducibile alla molecola che in esso è stata fortemente diluita. Risultati di questo genere sono stati però pubblicati solo su fonti interne alla comunità omeopata prive di un meccanismo di revisione paritaria, e non su riviste scientifiche accettate dalla comunità scientifica internazionale.
Tuttavia, nonostante la mancanza di basi scientifiche, l'omeopatia ha conosciuto nei decenni scorsi uno sviluppo e una progressiva diffusione. Oggi l'omeopatia, considerata una pratica medica alternativa o complementare alla medicina scientifica, è diffusa in molti paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, India). In Italia, secondo l'ultima indagine Istat, tra i 9 milioni di persone che si curano con medicine non convenzionali, la metà utilizza farmaci omeopatici, e sono circa 8mila i medici che li prescrivono.
Inoltre, in alcuni paesi europei (per esempio Francia e Germania), si sta anche verificando una lenta ma graduale penetrazione della omeopatia in ambiti di medicina tradizionali, soprattutto per quanto riguarda la medicina di base e la pediatria, dove non è inusuale imbattersi in medici e dottori di formazione prettamente classica che ricorrono all'impiego di principi omeopatici o di principi misti, nel quale appunto una sostanza tradizionale ed una omeopatica vengono somministrate contemporaneamente.
In Francia, nonostante la validità del metodo non sia stata ancora verificata, molti rimedi omeopatici sono entrati a far parte del prontuario nazionale e finanziati dal sistema sanitario pubblico. Tuttavia, nel 2004 si è potuta osservare una – seppur parziale – retromarcia, in quanto il tasso di rimborso previsto per i rimedi omeopatici è sceso dal 65% al 35%.
E' opportuno sottolineare che nei paesi occidentali non è stato immesso in commercio alcun farmaco omeopatico a diluizione inferiore a 1:1000, in quanto molti non hanno superato la prova di assenza di tossicità prevista dalla legislazione.
Infine, è interessante chiedersi come mai, nonostante la non provata efficacia, l’omeopatia registri un così grande successo nella popolazione. Una possibile ragione sembra risiedere nel rapporto medico-paziente, che nel caso della medicina omeopatica è molto personalizzato. Gli omeopati considerano il paziente in maniera olistica, tenendo in grande considerazione non soltanto il suo stato di salute generale e la sua storia personale, ma anche i suoi bisogni psicologici ed emotivi. Secondo gli omeopati, i rimedi omeopatici agiscono in modo complesso sull'intero sistema uomo, costituito dall'energia dei suoi atomi, le molecole che a loro volta formano tessuti, organi e psiche, pensieri ed emozioni. Il motivo per cui molti individui si affidano alle loro cure è proprio legato alla gratificazione emotiva che essi traggono dal fatto di essere considerati pazienti-persona anziché pazienti-organismo. Questa evidenza dovrebbe essere presa seriamente in considerazione dalla medicina ufficiale. Solamente quando si riuscirà a fondere l'efficacia della medicina scientifica con la necessità di soddisfare le esigenze psico-emotive dei pazienti si potrà evitare che molta gente compia scelte irrazionali rincorrendo a speranze illusorie.
BOX 1 | La memoria dell'acqua
HA fatto scalpore un articolo scientifico pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature nel 1988 a firma del medico ed immunologo francese Jacques Benveniste. Nell'articolo si proponeva, con una serie di esperimenti, che i rimedi omeopatici funzionassero in quanto la struttura dell’acqua (con la quale i principi attivi erano stati a contatto durante la serie di diluizioni necessarie alla preparazione del prodotto finale) era stata modificata permanentemente dal farmaco, e che era proprio la «memoria conservata dall’acqua» a esercitare l’effetto terapeutico. Purtroppo questa ipotesi affascinante è stata presto smentita, quando alcuni osservatori scelti dal giornale, hanno ripetuto gli esperimenti in collaborazione con i ricercatori francesi, senza riuscire a riprodurre i risultati pubblicati, che sono stati così attribuiti a fluttuazioni statistiche nei dati sperimentali. E' da notare che uno degli osservatori era James Randi, un noto demistificatore che era stato invitato allo scopo di assicurarsi che nessuna truffa fosse messa in atto. Alcuni dei firmatari dell'articolo lavoravano per una delle maggiori aziende che producono rimedi omeopatici.
BOX 2 | Solo placebo?
Nel 2005 la rivista medica Lancet ha pubblicato una meta-analisi in cui la comparazione di 220 studi clinici (110 omeopatici e 110 presi casualmente tra studi tradizionali) portava a concludere che i due gruppi di studi erano di qualità metodologica paragonabile, e che entrambe le classi di trattamentomostravano efficacia superiore al placebo. Tuttavia, se la meta-analisi veniva ristretta a 6 studi omeopatici e 8 studi tradizionali, selezionati tra tutti secondo standard di qualità e numerosità dei partecipanti tali da limitare la presenza di bias (preconcetti), l’analisi mostrava una forte evidenza di efficacia per i trattamenti tradizionali, e una evidenza di efficacia molto più bassa che non raggiungeva la significatività statistica per gli studi omeopatici. Veniva quindi concluso che l'efficacia dei rimedi omeopatici è compatibile con l'ipotesi che derivino dall'effetto placebo. (Shang A. et al. Are the clinical effects of homoeopathy placebo effects? Comparative study of placebo-controlled trials of homoeopathy and allopathy. Lancet 2005; 366: 726).