Il Lancet del febbraio scorso ha organizzato un convegno a Londra le cui conclusioni sono state pubblicate su BMJ, ci si chiedeva “ma i giornali aiutano a guarire o fanno peggio?” Il pubblico ha un forte desiderio di sapere di medicina ma le notizie dovrebbero essere chiare ed accurate s’è detto nel summit del Lancet. Quasi ogni giorno tanti ammalati di una certa malattia sperano di poter guarire, ma non è vero (quasi mai). Cosa si può fare?
I giornalisti tante volte ignorano le complessità e non presentano quasi mai le notizie di medicina nel loro contesto, per esempio tendono a raccontare dell’ultimo studio senza far riferimento agli studi precedenti, nemmeno a quelli più rilevanti “così il messaggio è quasi sempre inadeguato o distorto” ha scritto Susan Dentzer nel New England Journal of Medicine del gennaio di quest’anno. Ma proprio perché la gente legge soprattutto di medicina, i giornalisti hanno una grande responsabilità. Cosa dovrebbero fare per essere più credibili e soprattutto per evitare di creare negli ammalati speranze che vanno regolarmente deluse?
Tre cose almeno:
- non fidarsi dei dati preliminari e non basarsi su modifiche di parametri di laboratorio (per esempio che si riduce il colesterolo);
- far riferimento ai numeri assoluti (quante persone in meno sono morte – per esempio di infarto del cuore – se si usa il tal farmaco, e quanti devono prendere il farmaco perché uno non muoia) e non fidarsi mai delle percentuali;
- discutere quanto c’è di nuovo in uno studio, ma anche i limiti (tutti gli studi ne hanno).
Regole per i giornalisti che valgono, e ben di più, per ricercatori e società scientifiche. Che invece organizzano conferenze-stampa prima del tempo e danno quasi sempre i dati in percentuale. E poi dovrebbero essere loro, gli scienziati, ad anticipare i limiti della loro ricerca, “Questo farmaco è un passo avanti rispetto a quanto c’era prima, ma c’è un vecchio farmaco che fa già molto”. “Altri chirurghi utilizzano tecniche analoghe, noi abbiamo solo contribuito a perfezionarle”.
Ma medici e ricercatori non lo fanno quasi mai, i giornalisti stanno al gioco, e la gente è confusa. Se il pubblico ha “appetito” per le notizie di medicina, gli ammalati hanno “fame” di notizie e ancora di più di buone notizie. Fargli credere che guariranno, se non è vero, è come tradire la loro buona fede. L’editorial del Lancet a commento del summit del 5 febbraio 2009 finisce così “il futuro dell’informazione medica dipenderà da quanto scienziati e medici diventeranno capaci di lavorare insieme ai giornalisti per assicurare una informazione rigorosa e responsabile”. Questo potrebbe essere utilissimo per migliorare la salute di tutti. Sembra semplice. Perché allora non succede già? Perché informazione e scienza al grande pubblico hanno regole diverse.
I mezzi di informazione si pongono sempre nei confronti del pubblico in maniera tale da catturarne l’attenzione e vendere così la notizia come un prodotto commerciale. Lo stesso concetto di “verità scientifica” è concepito in modo diverso dallo scienziato e dal giornalista. Riguardo ad una determinata scoperta, lo scienziato manifesta solitamente un atteggiamento critico: “Oggi, con i dati in nostro possesso, sembra che...”.
Sul fronte giornalistico, invece, la verità è spesso “bianco o nero” e poi i tempi dei giornalisti non sono quelli della scienza. Il giornalista è sempre alla ricerca di notizie fresche da comunicare in fretta e ha scarso interesse a riprendere un argomento già trattato anche se una certa notizia magari data con grande enfasi poi nel tempo si è rivelata falsa. Ma la fretta non può dettare l’agenda degli scienziati, anzi tante volte a voler fare in fretta si fa peggio.
La conoscenza scientifica è spesso il frutto di un lavoro lungo e faticoso e non basta, giornalisti e scienziati non sono fatti per intendersi di primo acchito. Il giornalista si trova spesso a disagio per le risposte troppo tecniche dello scienziato, lo scienziato ha spesso difficoltà a sintetizzare le proprie ricerche in poche righe o in tempi brevi. Ma per comunicare al pubblico la notizia in maniera corretta bisogna trovare il modo di riconciliare queste due realtà. Un buon giornalista scientifico dovrebbe sempre partire dalla notizia per poi analizzarla criticamente e comunicarla al pubblico in maniera semplice. Il dialogo con lo scienziato è importante, ma è anche fondamentale che il giornalista mantenga la propria autonomia.
Nel dicembre '67 i giornali e le televisioni hanno parlato di un
evento medico straordinario. Il primo trapianto di cuore da uomo a uomo
fatto a Cape Town in Sudafrica, ne parla un libro di Ayesha Nathoo
appena pubblicato da Macmillan (Hearts exposed: Transplants and the
media in 1960 Britain). L'intervento è stato fatto da Christian Barnard
un chirurgo che fino ad allora aveva scritto pochissimo nella
letteratura medica e che nessuno conosceva fuori dal suo paese. Ma
l'evidenza che i giornali hanno dato a quell'evento è stata di quelle
che si danno alle guerre. La storia del trapianto cominciò con Joseph
Murray a Boston. Un trapianto di rene fra gemelli identici. Per questo
il ricevente non ebbe rigetto. Nel '60 Norman Shumway and Richard Lower
perfezionavano la tecnica del trapianto di cuore e stavano lavorando
alle cure per il rigetto utilizzando alte dosi di azatioprina e
cortisone. Sarebbero stati pronti a farlo anche loro il trapianto di
cuore nell'uomo ma capivano che era prematuro: quei farmaci lì non
erano in grado da soli di controllare il rigetto. Barnard imparò da
loro negli Stati Uniti. Tornato in Sudafrica nonostante avesse
pochissime conoscenze di trapianto di rene e nessuna di trapianto di
cuore decise di fare il trapianto comunque. L'ammalato visse 17 giorni
soltanto.
La reazione del mondo fu senza precedenti, si parlava del
donatore, del ricevente, delle loro storie, di quanto Barnard fosse
affascinante e intelligente. Barnard fu idolatrato da tutti quelli che
contano e dalle più belle donne del mondo. Il suo Ospedale e il governo
del Sudafrica sono stati al gioco. Il successo di Barnard - che fu
abilissimo a prendere vantaggio dal clamore suscitato da
quell'intervento - spinse tanti altri chirurghi a farlo anche loro,
inclusi tanti che sapevano poco o nulla di biologia del trapianto e
meccanismi del rigetto. E gli ammalati? Pazienza, l'importante era
parlare dei chirurghi e del cuore che era nell'idea della gente la sede
delle emozioni e dell'amore e che adesso passava da un uomo all'altro. Per
la prima volta le notizie di medicina arrivarono alle prime pagine dei
giornali e alle televisioni prima che su i giornali scientifici, ma ci
arrivarono in modo distorto. Nessun altro atto medico né prima né dopo
ha avuto l'attenzione che i media ebbero per il primo trapianto di
cuore. La strada era aperta.
Da allora e sempre di più i grandi
newspapers condizionano la scienza e la medicina. I lavori scientifici
più citati sono spesso quelli che hanno avuto la prima pagina del New
York Times e a quest'aspetto i direttori delle grandi riviste di
medicina e di scienza sono sempre più sensibili. Cosa sta succedendo?
La ricerca medica (non è detto che si applichi alla fisica, alla
matematica o all'astronomia) è sempre più contaminata da interessi
commerciali e molti utilizzano giornali e televisione per averne
vantaggi economici. Un articolo sul New York Times o su Wall Street
Journal aumenta il prestigio delle riviste scientifiche e consente alle
azioni di chi commercializza farmaci o presidi medici di valorizzare le
azioni delle loro compagnie. Notizie ce ne sono centinaia ogni
giorno, i giornalisti di scienza dei grandi giornali devono scegliere.
Allora cos'è che fa di certi lavori scientifici una notizia e di certi
altri no? Certe volte anche solo se un articolo potrà contribuire alla
carriera di quel giornalista. Comunque le storie che non sono destinate
a fare clamore nei grandi giornali non entrano ed è soprattutto vero se
non si prestano ad un titolo a effetto. C'è il caso di un
articolo del New York Times del '98 "Due farmaci eliminano i tumori nei
topi". Parlava della ricerca di Judah Falkman sui farmaci
antiangiogenetici. L'istituzione di Falkman - il Memorial
Sloan-Ketterin Cancer Center di New York - nei giorni successivi ebbe
migliaia di telefonate di ammalati che non volevano più fare la
chemioterapia e chiedevano di avere i nuovi farmaci. Los Angeles Times,
Boston Globe e Washington Post nei giorni successivi hanno smontato
l'enfasi che era stata data a questa notizia ma il New York Times non
ha mai voluto pubblicare nessuna rettifica. Tutto l'opposto di
quello che si dovrebbe fare se chi scrive di medicina sui giornali
avesse un sincero interesse per le ragioni della scienza e per le paure
degli ammalati.