WPA mural in Coit Tower
Nel 2016 post-truth è stata eletta parola dell'anno dall'Oxford Dictionary, battendo in finale, tra le altre, Brexiteer (persona che sostiene la Brexit), chatbot (un programma che simula conversazioni con utenti umani soprattutto online) e Latinx (persona di origine Latino-Americana). Secondo l'Oxford Dictionary post-truth è l'aggettivo che si riferisce a circostanze in cui i "fatti oggettivi" giocano un ruolo secondario nell'orientare l'opinione pubblica rispetto alle emozioni e alle convinzioni personali.
Il Macquaire Dictionary, il parente australiano dell'Oxford Dictionary, ha scelto invece fake news, che ha prevalso in finale su enby (persona che non si identifica né con una femmina né con un maschio) e halal-snack pack (un panino contenente patate, formaggio gratinanto e carne halal). La definizione di fake news data dal Macquire Dictionary recita "disinformation and hoaxes published on websites for political puroposes or to drive web traffic, the incorrect informartion being passed along by social media".
Pochi giorni dopo l'insediamento di Trump alla Casa Bianca, la portavoce del neo presidente ha coniato poi l'espressione alternative facts, fatti alternativi.
Insomma che si chiamino bufale, fake-news o fatti alternativi, è chiaro che questi termini rappresentano un fenomeno rilevante per il momento storico che stiamo vivendo, sintomi di una metamorfosi del concetto stesso di "informazione".
Il sondaggio di Channel 4
Non meraviglia quindi che i primi a interrogarsi riguardo a questo fenomeno siano stati proprio i produttori di informazioni. A gennaio l'emittente televisiva inglese Channel 4 ha commissionato alla società Yougov, specializzata in ricerche di mercato, un sondaggio per misurare la capacità dei cittadini britannici di riconoscere notizie vere da notizie false. Yougov ha proposto a 1684 adulti sei notizie chiedendogli di decidere se fossero vere o false. Tre delle sei notizie erano autentiche, mentre le altre tre erano inventate. Eccole.
Come ve la siete cavata? Gli inglesi non benissimo: solo il 4% degli intervistati è stato in grado di identificare tutte le fake news e, cosa più preoccupante, quasi metà dei partecipanti ha creduto che almeno una delle notizie false fosse vera.
Il sondaggio di YouGov si è concentrato anche sulla definizione di fake news. Cosa intendono le persone quando utilizzano questo termine? I significati che gli attribuiamo nelle conversazioni quotidiane sono numerosi e denunciano la complessità di una questione che ancora è difficile da comprendere.
In un articolo apparso sul magazine First Draft News, la giornalista Claire Warldle ha provato a distinguere i diversi tipi di fake news, basando la sua analisi su tre elementi fondamentali: il tipo di contenuto che viene confezionato e condiviso, le motivazioni di chi lo confeziona e i canali su cui viene diffuso. Il risultato della Wardle, anche se solo provvisorio, è molto interessante. Prima di tutto identifica contenuti a diverso grado di falsificazione: dai messaggi di satira, che possono essere maleinterpretati ma che non sono stati preparati per ingannare, alle informazioni vere ma date in un contesto diverso da quello originale, fino ai casi in cui la storia è stata inventata di sana pianta magari per riscuotere consensi politici. Il secondo punto importante sollevato della giornalista newyorkese riguarda il ruolo dei social media. Se prima le informazioni false di una campagna di propaganda venivano diffuse da un singolo emittente verso molti utenti, oggi ciascuno di noi può diventare un potenziale ripetitore di messaggi falsi, magari perché sono stati condivisi, per errore, da una persona di cui ci fidiamo.
Il ruolo dei social media
Il ruolo dei social media nel mercato dell'informazione, di cui Scienza in rete si è occupata in un recente articolo, è stato misurato da uno studio del Pew Research Center svolto in collaborazione con la John S. and James L. Knight Foundation e pubblicato a maggio del 2016.
Delle oltre 4000 persone (statunitensi di età superiore ai 18 anni) sottoposte al sondaggio, il 62% ha affermato di informarsi sui social network, il 13% in più di quanto rilevato da uno studio analogo condotto nel 2012.
A farla da padrone è Facebook. Degli intervistati in possesso di un account Facebook, due terzi ha dichiarato di informarsi sulla piattaforma di social networking. Se si considera che il 67% degli adulti in USA possiede un account Facebook, si giunge alla conclusione che circa il 44% della popolazione americana acquisisce informazioni da questo canale.
E i più giovani?
Ancora dagli Stati Uniti arriva la notizia che l'età media alla quale i ragazzi entrano in possesso del primo smartphone è di 10,3 anni, e che il 50% dei ragazzi apre un account su un social media entro i 12 anni.
Qual è dunque l'impatto che le notizie false hanno sui più giovani? Sono in grado di orientarsi nel flusso ininterrotto e pressoché costante di informazioni? A rispondere a queste domande ha provato lo Stanford History Education Group, che ha condotto lo studio Evaluating information: the cornerstone of civic online reasoning. Si tratta di una indagine condotta sul campo, durata 18 mesi e diretta a oltre 7000 studenti provenienti da 12 diversi stati americani e appartenenti a diverse classi sociali. L'età degli studenti variava dagli 11 fino ai 22 anni.
Sono stati messi a punto diversi tipi di test, preparati "su misura" a seconda dell'età degli studenti. Ai ragazzi delle scuole medie è stato chiesto di decidere se alcuni contenuti presenti su un noto sito di informazione erano annunci pubblicitari o notizie vere e proprie. Agli alunni delle scuole superiori è stato chiesto se la foto di alcune margherite dalle corolle irregolari, accompagnata dal testo "Fukushima Nuclear Flowers. Not much more to say, this is what happens when owners get nuclear birth defects", fosse una prova affidabile delle condizioni nell'area vicina alla centrale giapponese dopo l'incidente del 2011. Questi e altri esempi sono riportati nel documento pubblicato a novembre scorso.
I risultati dello studio sono stati scioccanti per gli stessi ricercatori, che si sono trovati a dover rivedere i test sottoposti agli studenti. "Many assume that because young people are fluent in social media they are equally savvy about what they find there. Our work shows the opposite", affermano gli autori. Più dell'80% dei ragazzi delle scuole medie intervistati non sono stati in grado di capire che il contenuto sponsorizzato non era una vera notizia. Il 40% dei ragazzi delle scuole superiori hanno giudicato la fotografia delle margherite irregolari come una prova degli effetti delle radiazioni vicino alla centrale di Fukushima.
Una possibile soluzione italiana
Quali sono le possibili vie di uscita? All'Università di Torino il fisico Lorenzo Magnea, che Scienza in rete ha già intervistato, e il sociologo Giuseppe Tipaldo, hanno ideato un corso per imparare a valutare l'affidabilità delle notizie, principalmente online e con un contenuto scientifico. Si chiama "Fisica per cittadini", è aperto anche a persone non iscritte all'Università di Torino ed è giunto quest'anno alla sua seconda edizione.
Nella prima parte del corso, di natura teorica, gli studenti apprendono, sotto la guida del professor Magnea, i rudimenti della statistica, i principi dell'energia nucleare e del cambiamento climatico. La seconda parte è invece dedicata ai living lab, delle esercitazioni pratiche organizzate da Giuseppe Tipaldo, in cui gli studenti si allenano a valutare l'affidabilità di una notizia, partendo prima di tutto dalle fonti.