fbpx Perché la sperimentazione animale è ancora necessaria | Scienza in rete

Perché la sperimentazione animale è ancora necessaria

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Davvero per la  ricerca biomedica c’è ancora bisogno di sperimentare sugli animali? Assolutamente sì. Chi è contro usa una serie di argomenti che qui vorrei prendere in esame, uno per uno:

  1.  "Ci sono già risultati importanti grazie a metodi che non impiegano animali nel campo della ricerca sul cancro, sclerosi multipla, tossicità di farmaci e ricostruzione di organi e tessuti". E' vero, e tutto quello che si può fare senza animali va fatto e si fa. Ma ancora oggi nessun laboratorio di ricerca al mondo può prescindere dall'impiego di animali. Basta consultare PubMed, il sito di tutte le pubblicazioni in medicina, alla voce cancro o sclerosi multipla, per un lavoro fatto con le cellule in coltura o in silico (che vuol dire simulazione al computer di fenomeni biologici) ce ne sono dieci che impiegano topi e ratti. 
  2. "L'88 percento degli italiani non approva la ricerca sugli animali". Scienza e democrazia hanno regole molto diverse. Basti pensare a quanto scetticismo e quanta ostilità suscitano le grandi scoperte mediche, i vaccini per esempio che hanno salvato milioni di vite umane. Senza la ricerca sugli animali non sapremmo nulla dell’infezione da E.coli – quella dell’epidemia della Germania di quest’estate – e non avremmo potuto mettere a punto una cura. C’è poi il caso della chirurgia. Oggi più di un milione di persone al mondo vivono grazie ad un trapianto. Tutto è cominciato a Boston, quando Joseph Murray ha trapiantato a un giovanotto, il rene del gemello. Ma per poterlo fare nell’uomo, prima, Murray ha dovuto operare quasi 600 cani. Quell’intervento aprì la strada a tanti altri trapianti. Joseph Murray nel ‘90 ebbe il Nobel "non c’è niente di più ridicolo che pensare che tutto questo si sarebbe potuto fare con un computer o con le cellule in cultura – ha detto nell’occasione del premio - sarebbe come dire che si può vivere senza respirare o senza sangue". Vale per la chirurgia dei trapianti e per qualunque altra chirurgia. E vale tanto di più oggi per tutte le procedure nuove (la chirurgia mini-invasiva per esempio che si fa sull’uomo). 
  3.  "La tossicità di certi farmaci per l’uomo non si può prevedere studiando gli animali". Verissimo. Il comportamento dei farmaci, per certi versi, è diverso nei topi, nei ratti o nei conigli rispetto all’uomo certo. Ma se topi e ratti non aiutano a prevedere quello che può succedere nell’uomo, aiuteranno ancora meno le cellule o le simulazioni al computer. Se un farmaco per  alleviare il  dolore fa sanguinare lo stomaco, forse si può vedere negli animali,  certo non  con cellule e  computers. "Ci sono state in passato manifestazioni di grave e gravissima tossicità che gli studi sugli animali non avevano previsto". E’ vero ma solo perché non si sono usati abbastanza animali di abbastanza specie diverse e studiati in condizioni rilevanti per l’uomo. Le conseguenze della talidomide in gravidanza si potevano prevedere - e si sarebbero evitate a migliaia di persone gravi malformazioni - solo che si fosse sperimentato su animali in gravidanza. Feti di coniglie gravide che ricevono talidomide hanno le stesse malformazioni che si sono viste nell’uomo.  
  4.  "Esponenti del mondo scientifico e politico lottano per i diritti degli animali". E lo fanno anche gli scienziati, tanti di loro si sono dati regole ferree per tutelare il benessere degli animali ancora prima che lo si dovesse fare per le leggi italiane e europee. I nostri stabulari sono fra i più moderni e confortevoli che si possa immaginare e mettiamo in atto tutte le misure necessarie perché gli animali non soffrano.  Quanto a limitare l'impiego degli animali è proprio quello che stiamo facendo e lo facciamo da anni. Il numero di topi e ratti che impieghiamo nei laboratori di ricerca in Italia e dappertutto non arriva al 20 percento di quelli che si utilizzavano vent'anni fa. Gli scienziati sarebbero i primi a voler fare a meno degli animali se si potesse, ma dopo che si è fatto tutto il resto e prima di arrivare all’uomo, si deve per forza passare per la sperimentazione animale.

In un lavoro pubblicato su Nature sull’impiego degli scimpanzé Michael Houghton dell’Università di Alberta a Edmonton negli Stati Uniti – uno di quelli che ha scoperto il vaccino dell’epatite C - spiega come lo sviluppo dei vaccini non possa prescindere dall’impiego delle scimmie "ci sarà qualche inconveniente per una decina di scimpanzé, ma questo ha un impatto enorme sulla salute di milioni di persone, sarebbe semplicemente non etico non farlo". Un lavoro pubblicato su Science proprio in questi giorni conclude così: "abbiamo disperatamente bisogno di capire i meccanismi attraverso cui l’influenza H5N1 si trasmette dall’animale all’uomo, non farlo significa esporre a rischio di morte milioni di persone al mondo nei prossimi anni. Questi studi si possono fare solo in modelli animali salvo che qualcuno di voi non sia disponibile ad offrirsi lui come volontario per questi studi". Insomma la gente deve sapere, senza tanti giri di parole, che non si possono avere farmaci nuovi e nuove procedure in medicina senza passare per la sperimentazione animale. Lo si fa a malincuore, s’intende, ma non c’è altro modo. Fermare la sperimentazione animale vuol dire fermare la medicina. Davvero qualcuno dei nostri politici ha voglia di prendersi questa responsabilità? 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Addio a Giancarlo Comi, il clinico che ha rivoluzionato lo studio e la cura della sclerosi multipla

Il neurologo Giancarlo Comi, scomparso negli scorsi giorni, membro del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica, ha rappresentato molto per il mondo scientifico ma anche per quello associativo per il suo straordinario contributo allo studio e il trattamento della sclerosi multipla, e il progressivo coinvolgimento delle persone colpite dalla malattia nella ricerca e nella cura. Pubblichiamo il ricordo del grande clinico da parte di Paola Zaratin, direttrice ricerca scientifica della Fondazione italiana sclerosi multipla, che con Comi ha intrapreso un lungo percorso di collaborazione.

È morto a 76 anni Giancarlo Comi, professore onorario di neurologia all'Università Vita-Saluta San Raffaele e direttore scientifico del progetto Human Brains di Fondazione Prada, scienziato di fama internazionale nel campo delle neuroscienze e delle malattie neurologiche, ed esperto di sclerosi multipla.