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L'anello debole della catenina

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Lo studio che apre nuove prospettive sulla conoscenza delle cause della morte improvvisa tra i giovani, appena pubblicato sull'European Heart Journal, anche grazie al sostegno della Fondazione Telethon, è un tipico esempio dell'importanza della ricerca di base e della circolazione delle idee e delle conoscenze. Tutto incominciò infatti alcuni anni fa, in Germania, con la scoperta di un nuovo tipo di giunzione che unisce tra loro le cellule del miocardio, oltre ai tipici desmosomi, che venne denominato “area composita”. Una notizia che passò tutto sommato inosservata, ma non sfuggì al gruppo di ricerca sulle cardiomiopatie aritmiche e morte improvvisa giovanile dell'Università di Padova, che tra le altre si occupa della cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. La patologia è caratterizzata dalla morte progressiva delle cellule miocardiche del ventricolo destro, che vengono sostituite gradualmente da tessuto fibro-adiposo: questo fenomeno altera la trasmissione dell’impulso elettrico che stimola la contrazione del cuore, dando origine ad aritmie talora così gravi da causare la morte improvvisa. «Le mutazioni finora associate a questa patologia, cinque delle quali, cioè la maggior parte, scoperte dal nostro gruppo, provocano alterazioni delle proteine desmosomiali» racconta Alessandra Rampazzo, che ha coordinato il lavoro, «ma spiegano solo la metà circa dei casi. Perché non pensare che negli altri, ancora privi di un fondamento genetico noto, potessero essere implicate queste nuove forme di giunzione intercellulare?». Sulla scoperta cominciarono a lavorare anche alcuni ricercatori belgi, tra cui Frans van Roy, dell'Università di Gant, che si soffermarono sul ruolo della alfaT-catenina, fondamentale per questo nuovo tipo di giunzione fra le cellule cardiache. «Insieme a loro abbiamo quindi provato a esplorare l'ipotesi che difetti a questo livello potessero essere responsabili dei casi rimasti finora inspiegati di cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro» spiega la ricercatrice padovana, responsabile del gruppo di genetica molecolare che si occupa di queste patologie, nel contesto di un lavoro multidisciplinare che coinvolge anche i clinici della Clinica cardiologica, coordinati da Andrea Nava, Domenico Corrado e Luciano Daliento, e gli anatomopatologi guidati da Gaetano Thiene, responsabile del Registro veneto delle morti improvvise. Uno strumento, il registro, che in questi anni si è rivelato preziosissimo, come sempre accade per le malattie rare, per le quali solo raccogliendo tutte le notizie disponibili sui pochi casi disponibili si riesce a capire qualcosa di più.

Morti sul campo, ma non solo

La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è infatti una malattia rara, che tuttavia periodicamente si conquista le prime pagine dei giornali, soprattutto quando provoca la morte improvvisa, magari in campo, di calciatori o altri atleti famosi. Ma anche sui campetti di periferia e al di fuori dei contesti sportivi questa condizione ereditaria fa due vittime l'anno ogni 100.000 persone sotto i 35 anni di età. «Un'incidenza in calo, grazie all'opera di prevenzione che oggi si riesce a fare sulle persone riconosciute come a rischio» precisa Rampazzo. «Quando si verifica un caso di morte improvvisa e l'esame autopico conferma la presenza di questa patologia, si possono infatti oggi studiare i familiari, per verificare se presentano la stessa malattia in forma ancora asintomatica, o con lievi disturbi fino ad allora passati inosservati. Altre volte riusciamo a individuare questi pazienti anche prima che si manifesti in maniera drammatica in famiglia, in occasione degli screening per le attività sportive, o in seguito alla comparsa di segni clinici, per esempio aritmie». La diagnosi avviene tramite un accurato studio dell'elettrocardiogramma, dell'ecocardiografia, a volte anche della risonanza magnetica, cui si accompagna l'analisi del DNA per la ricerca delle mutazioni associate alla malattia. Una volta accertata la presenza di questa situazione a rischio, i soggetti possono essere sottoposti a una terapia con betabloccanti e antiaritmici, ad attenti controlli periodici ed eventualmente, quando la malattia avanza, all'impianto di un defibrillatore, tutti provvedimenti grazie ai quali le evenienze letali si sono notevolmente ridotte. Ma è importante accertare la condizione di rischio individuando la mutazione, per selezionare chi ha davvero bisogno di tutto questo ed evitarlo invece a chi, pur avendo avuto casi in famiglia, può essere rassicurato di non essere portatore dell'anomalia genetica.

Nuove giunzioni, nuove mutazioni, nuove prospettive

Occorre quindi proseguire la ricerca per individuare le mutazioni ancora sconosciute. L'ipotesi suggerita dalla scoperta della nuova giunzione ha perciò spinto i ricercatori padovani a esaminare il DNA di 76 pazienti in cui non era stata ritrovata alcuna mutazione nota, alla ricerca di anomalie del gene che codifica per la alfaT-catenina: «In due casi abbiamo trovato alterazioni della sequenza nucleotidica, riscontrate poi anche in alcuni familiari» interviene Martina Calore, prima firmataria del lavoro. «Studi in vitro condotti utilizzando colture cellulari, in collaborazione con i colleghi belgi, hanno infine permesso di dimostrare che in effetti la proteina mutata non è in grado di interagire correttamente con le altre proteine delle giunzioni cellulari». Lo stesso che accade con la maggior parte delle altre mutazioni note, quelle a carico dei desmosomi. «La scoperta non riguarda però solo quei pochi pazienti in cui abbiamo trovato questo nuovo marcatore della malattia e le loro famiglie» precisa Rampazzo, «ma apre la strada a una nuova serie di ricerche sulle altre proteine coinvolte nelle giunzioni dell'area composita, dove potremmo trovare altri difetti genetici responsabili della patologia nei casi che restano tuttora inspiegati». Per ora tutto questo serve soprattutto a riconoscere i soggetti a rischio, e cercare così di proteggerli, rassicurando nel contempo i familiari sani. Ma in futuro una migliore conoscenza dei meccanismi eziopatogenetici che portano a morte le cellule cardiache potrà portare anche a un rimedio in grado di interrompere il fenomeno, o a evitare che si instauri in chi è portatore di questi geni mutati. 

Riferimenti:
Eur Heart J , pubblicato il 7 novembre 2012 doi:10.1093/eurheartj/ehs373


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