fbpx Eppur si muove! | Scienza in rete

Eppur si muove!

Primary tabs

Tempo di lettura: 7 mins

È da molto tempo che la tecnica della fotografia in time-lapse viene sfruttata per permetterci di gustare fenomeni che avvengono su una scala temporale troppo lunga per essere facilmente percepiti in tempo reale. L’effetto di accelerazione che le è caratteristico fa sì che nell’arco di un tempo ridotto (generalmente da pochi secondi ad alcuni minuti) si possa essere testimoni di movimenti e cambiamenti che altrimenti non riusciremmo ad apprezzare nella loro bellezza e complessità.
La crescita di un germoglio, lo sbocciare dei fiori, la costruzione di un grattacielo, il raddrizzamento della Costa Concordia, sono tutti eventi che impiegano tempi troppo lunghi per permetterci di osservarli con continuità e che sono troppo lenti per riuscire a percepirne i cambiamenti. Fotografarli a intervalli di tempo regolari e poi montare le molte fotografie ottenute, proiettandole con cadenza significativamente più serrata di quella con cui sono state registrate, permette dunque di accelerare il fenomeno che si sta osservando riconducendolo a una durata e a una velocità di cambiamento che ci sono congeniali.

Se una volta il time-lapse era riservato a fotografi e cineoperatori professionisti, o ad amatori ben attrezzati, l’avvento delle macchine fotografiche digitali, e la loro capillare distribuzione con i telefoni cellulari, hanno fatto sì che chiunque, anche grazie ai molti software e app disponibili allo scopo, possa oggi cimentarsi con questa tecnica e produrre facilmente filmati – montaggi di fotografie – documentando cure dimagranti di successo, il procedere della propria gravidanza, la crescita di un nipotino da zero a otto anni in meno di un minuto e altro ancora. I social network, così come Youtube, sono pieni di queste testimonianze.
In astronomia, i tempi che caratterizzano molti fenomeni – la nascita delle stelle con i loro sistemi planetari, la rotazione delle galassie o le loro interazioni (talvolta distruttive), l’alimentazione dei giganteschi lobi delle radiogalassie – sono talmente lunghi da costringerci, per ogni oggetto studiato, a ottenere solamente delle “istantanee”. Poi, grazie alla possibilità di collezionare un altissimo numero di “istantanee” di sistemi che, seppur diversi, sono accomunati dagli stessi processi fisici e sono colti in momenti diversi della loro storia, siamo stati in grado di ricavarne il comportamento generale. Non è possibile seguire i cambiamenti di una stella nel corso della sua vita ma osservando decine di migliaia di stelle di età differenti abbiamo costruito il diagramma H-R e compreso le varie fasi dell’evoluzione stellare; analogamente abbiamo capito come si formano le galassie e l’importanza delle loro reciproche collisioni, la dinamica degli ammassi di galassie e così via. Fare del time-lapse in astronomia, con oggetti che non siano nel nostro Sistema solare – e quindi relativamente vicini e “veloci” – può sembrare dunque cosa difficile se non impossibile.

Si vanno tuttavia accumulando sempre più dati di alta risoluzione e qualità da permettere di incominciare a seguire alcuni fenomeni – certo non quelli cosmologici (ma torneremo su questo punto tra breve) – e produrre dei time-lapse interessanti e istruttivi, anche se indubbiamente ancora un po’ artigianali, in quanto costruiti con poche immagini ottenute a intervalli di tempo non regolari.
Non sto pensando alle fotografie che documentano l’arco compiuto dalle stelle fisse dal tramonto all’alba. Quelle in genere si ottengono con un’unica posa ininterrotta di molte ore, e nemmeno penso alle belle sequenze della Luna che sorge o alla fotografia dell’analemma compiuto dal Sole nell’arco di un anno.
Questa si ottiene di solito sovrapponendo varie immagini (sottoesposte) prese alla stessa ora del giorno, possibilmente ogni giorno per un anno, su di un’unica immagine che mostra quindi le diverse posizioni apparenti del Sole durante una rivoluzione terrestre. Da questa sequenza si potrebbe in effetti ottenere anche un time-lapse (e qualcuno in effetti ci ha provato.
No, io penso piuttosto a immagini ottenute con i migliori telescopi disponibili, come ad esempio il Telescopio Spaziale Hubble (HST) o il VLT dell’ESO, o il telescopio a raggi X Chandra della NASA, e montate a mostrare in maniera dinamica l’effetto di cambiamento di quanto osservato. Per far ciò serve ovviamente una copertura temporale ragionevolmente lunga (anni), una dinamica del fenomeno sufficientemente veloce e un accesso ripetuto ai telescopi (con la medesima strumentazione o equivalente).
L’evoluzione della Supernova del 1987 nella Grande Nube di Magellano, ad esempio, è stata oggetto di osservazioni con HST, ripetute nell’arco di dodici anni, che sono state combinate in un time-lapse di una decina di secondi.
La sequenza ci rivela, con grande impatto visivo, come l’anello interno del giovane resto di supernova, costituito da materiale espulso dalla stella progenitrice, reagisce quando viene investito dall’onda di shock prodotta dalla supernova.
Ancora più impressionante è il time-lapse che comprime, in un paio di minuti, quattro anni e mezzo della vita della stella variabile V838 Monocerotis, dall’aprile 2002 al settembre 2006.
Costruito combinando immagini ottenute sempre con HST, il time-lapse ci mostra un’eco luminosa, dovuta all’esplosione della stella avvenuta all’inizio del 2002, e prodotta da gas e polveri che circondano la stella stessa e che vengono progressivamente illuminati.

Un genere differente di time-lapse astronomico è quello che si può ottenere usando dati simulati, generati con l’ausilio di un super computer. Opportuni modelli teorici, corroborati dalle osservazioni disponibili che vengono utilizzate per raffinarli continuamente, permettono di generare sistemi complessi e vedere come essi evolvono nel tempo quando sono soggetti alle varie forze in gioco. Ecco dunque che si possono simulare cento milioni di galassie confinate in un dato volume e vedere come le interazioni gravitazionali portano alla formazione di ammassi, di filamenti e, più in generale, delle strutture a larga scala che osserviamo.
Oppure si può simulare la formazione di una singola galassia a spirale simile alla Via Lattea, partendo da numerose piccole galassie, da gruppi di stelle, gas e materia oscura e lasciandole interagire registrando quanto accade durante il processo. O ancora si possono simulare due galassie, ognuna costituita da molti milioni di stelle, e studiare il risultato delle loro collisioni, paragonando le situazioni intermedie a quanto viene effettivamente osservato nei sistemi interagenti reali.
Questi sono ovviamente esempi abbastanza estremi di time-lapse, visto che, grazie all’utilizzo di dati simulati, ci permettono di comprimere milioni o addirittura miliardi di anni in pochi minuti. Ma sono estremamente istruttivi. Non solo, se partendo da un lontano passato riescono a riprodurre fedelmente quanto osserviamo nel presente, è ragionevole pensare che possano essere veritieri anche per quanto riguarda l’evoluzione futura del fenomeno in questione, che noi possiamo così studiare nelle fasi che verranno. Per esempio, per capire cosa succederà quando la nostra Galassia entrerà in collisione con la galassia di Andromeda.

Vi sono poi situazioni miste in cui dati veri e dati simulati si complementano a vicenda per dare completezza a quanto si sta studiando.
È il caso del balletto di stelle che orbita freneticamente intorno al buco nero situato nel centro della nostra Galassia. Localizzato attraverso osservazioni radio di altissima risoluzione angolare (VLBI) e battezzato, seguendo la nomenclatura radio, Sagittarius A* (Sgr A*), questo buco nero, e la sua area d’immediata influenza, sono oggetto di osservazioni astronomiche sistematiche a diverse lunghezze d’onda da oltre due decadi.
La natura di buco nero di Sgr A* è stata confermata proprio dagli studi della dinamica di una mezza dozzina di stelle che gli ruotano attorno, osservate ripetutamente nella banda infrarossa per più di una decina d’anni (nel visibile, gas e polveri ci impediscono di vedere il centro della Via Lattea). Una di queste stelle, chiamata S2, è stata ormai vista compiere un’orbita completa intorno al buco nero.
I parametri orbitali di S2 forniscono argomenti convincenti per sostenere che l’oggetto intorno al quale orbita sia effettivamente un buco nero. Si ricava, infatti, una massa di circa 4 milioni di masse solari che deve essere necessariamente confinata in un volume di raggio ben inferiore alle 17 ore-luce (altrimenti la stella S2, che passa a questa minima distanza dal buco nero, sarebbe già stata distrutta).  
Più recentemente è stata scoperta un’altra stella, S0-102, che orbita ancor più velocemente intorno a Sgr A* e conclude la sua orbita in soli 11,5 anni. Anche per questa stella si ha ora un campionamento completo dell’orbita che permette di raffinare i risultati ottenuti in precedenza. Il buco nero supermassiccio al centro della nostra Galassia è la nostra miglior occasione per studiare le interazioni tra questi oggetti estremi e l’ambiente circostante e ci fornisce un ottimo laboratorio per studi di relatività generale in condizioni di campi gravitazionali particolarmente intensi.

Le osservazioni, dunque, continueranno e sarà interessante vedere tra qualche anno un nuovo e più completo time-lapse del centro della Via Lattea. Si è soliti dire che un’immagine vale mille parole; possiamo aggiungere che probabilmente un filmato vale mille immagini, soprattutto se ottenuto mostrandole in rapida successione, alla velocità giusta.

Tratto da Le Stelle n° 133, agosto 2014


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Tumore della prostata e sovradiagnosi: serve cautela nello screening con PSA

prelievo di sangue in un uomo

I programmi di screening spontanei per i tumori della prostata, a partire dalla misurazione del PSA, portano benefici limitati in termini di riduzione della mortalità a livello di popolazione, ma causano la sovradiagnosi in un numero elevato di uomini. Questo significa che a molti uomini verrà diagnosticato e curato un tumore che non avrebbe in realtà mai dato sintomi né problemi. Un nuovo studio lo conferma.

I risultati di un nuovo studio suggeriscono che i programmi di screening spontanei per i tumori della prostata, a partire dalla misurazione del PSA, portano benefici limitati in termini di riduzione della mortalità a livello di popolazione, ma causano la sovradiagnosi in un numero elevato di uomini. Questo significa che a molti uomini verrà diagnosticato e curato (con tutte le conseguenze delle cure) un tumore che non avrebbe in realtà mai dato sintomi né problemi.