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Effetti destabilizzanti

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Roundup, Monsanto, 2/2015, by Mike Mozart of TheToyChannel and JeepersMedia on YouTube

Ho letto con disagio la breve lettera (Lettera a Elena Cattaneo sul glifosato) pubblicata il 13 dicembre su Scienza in rete, molto critica nei confronti di un articolo della Prof.ssa Elena Cattaneo pubblicato su Repubblica il primo dicembre scorso, che concordava con la decisione dell’Unione Europea circa il rinnovo all’uso del glifosate. Il tono della lettera è da censori ed essendo redatta da 4 autorevoli esperti del campo della epidemiologia e carcinogenesi ambientale (oltre che consulenti di IARC), merita attenzione. La brevità del testo ne indica la destinazione originale, ossia il quotidiano Repubblica, ma la scelta di pubblicarla su Scienza in rete consente approfondimenti impensabili sui quotidiani. Sulla lettera in pochi giorni sono apparsi vari commenti: Alberto Guidorzi ha trattato le implicazioni agronomiche e l’utilità del glifosate, Donatello Sandroni ne ha fatto una disamina ecotossicologica indicando casi di possibili conflitti d’interesse, mentre Gilberto Corbellini ha trattato gli aspetti storici e culturali che stanno dietro l’ostilità a questo tipo di innovazioni. Io vorrei segnalare altri passaggi a me oscuri, aggiungendo un commento su una trasmissione televisiva da Le Iene (che in passato aveva fatto montare la vicenda Vannoni-Stamina) che vorrebbe correlare il glifosate ad altre patologie.

Cosa ci devono insegnare le categorie dello IARC

L’articolo della Prof.ssa Elena Cattaneo elenca quali altre sostanze siano state catalogate tra i sicuri cancerogeni (categoria 1), probabili cancerogeni (categoria 2A) e i possibili cancerogeni (2B), ossia contestualizza l’ambito in cui è stato messo il glifosate, elevato dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) in categoria 2A. La lettera dei 4 esperti invece, esordisce affermando che la Senatrice “smentisce il giudizio dello IARC” e lo avrebbe fatto perché due suoi componenti non hanno dischiuso dei conflitti d’interesse. Dalle parole stampate su Repubblica non si può in alcun modo trarre una simile interpretazione. Anzi, aggiungo che la Prof.ssa Cattaneo ha semmai omesso di includere altre sostanze o procedure in categoria 2A oltre al glifosate: la manifattura del vetro; le emissioni casalinghe da combustione di biomasse legnose (caminetti); l’esposizione professionale di parrucchieri e barbieri; infusioni come l’erba mate bollente.

Ebbene, descrivere i fatti non vuol dire delegittimare l’istituzione, ma aiutare tutti a distinguere tra il concetto di “rischio” (risk) e quello di “pericolo” (hazard). Dove il rischio dipende dalla dose assunta (casomai per chilo di peso corporeo) e dalla frequenza di esposizione ad un potenziale pericolo. Noi dobbiamo conoscere i pericoli, ma poi è il rischio concreto che valutiamo. Difatti non scappiamo vedendo ardere la brace in un caminetto e continuiamo ad andare una volta al mese dal barbiere. Le polveri sottili dell’aria o il benzene emesso dalle autovetture sono in categoria 1 (sicuri cancerogeni). Conoscendo il rischio noi cerchiamo di gestirlo, ridurlo e attenuare il pericolo, ma nessuno ha mai dato l’ordine di evacuare le città. Sarebbe molto interessante conoscere, secondo i 4 esperti, in quale passaggio dell’articolo di Repubblica la Prof.ssa Cattaneo avrebbe delegittimato lo IARC. A meno che raccontare i fatti documentati, come ad esempio che l’OMS ha preso sul tema una posizione opposta allo IARC, non sia considerato un atto d’insubordinazione.

Il glifosate non è la Monsanto

La lettera dei 4 esperti ha un prologo in corsivo, che non si comprende a chi attribuire, dove si scrive: “Sul glifosato, noto con il nome commerciale di Roundup, è in corso da tempo una controversia fra ambientalisti, scienziati, la casa produttrice Monsanto, esponenti della sanità pubblica, agronomi, e agenzie che hanno dato pareri diversi - a volte contrastanti.” Questa affermazione è scorretta. Il glifosate è il glifosate (ossia una molecola molto simile ad un amminoacido) ed è su questo che si è espressa la sottocommissione monografie dello IARC. Il RoundUp è un preparato commerciale dell’azienda Monsanto che contiene anche il glifosate, ma non solo. Contiene anche alcuni eccipienti, quindi non è vero che RoundUp è il nome commerciale del glifosate. Lo IARC stesso scrive che ci sono 750 prodotti commerciali contenenti glifosate, quindi personalizzare la questione identificando il glifosate col RoundUp è un artificio retorico (molto diffuso) che serve a montare un referendum pro o contro una (molto discussa) multinazionale, non a valutare in maniera oggettiva i fatti come noi scienziati siamo tutti tenuti a fare.

La posizione dell’OMS e quella dello IARC

Nel descrivere che l’Unione Europea ha rinnovato per 5 anni l’autorizzazione alla commercializzazione, il corsivo di accompagnamento alla lettera indica il link a un articolo de ilpost.it. L’articolista de ilpost.it scrive, 4 giorni prima dell’articolo di Cattaneo, la stessa sciocchezza che avevano già scritto Carlo Petrini e tanti altri su vari quotidiani. La falsità è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia affermato che il glifosate è probabilmente cancerogeno. L’OMS anzi dice l’opposto ed è molto grave affermare il contrario.

A questo link, la FAO e l’OMS spiegano che: The Meeting concluded that glyphosate is not carcinogenic in rats but could not exclude the possibility that it is carcinogenic in mice at very high doses. In view of the absence of carcinogenic potential in rodents at human-relevant doses and the absence of genotoxicity by the oral route in mammals, and considering the epidemiological evidence from occupational exposures, the Meeting concluded that glyphosate is unlikely to pose a carcinogenic risk to humans from exposure through the diet”. Questa affermazione è tanto più rilevante per due ragioni: la prima è che avviene oltre un anno dopo quella dello IARC e quindi risponde a quel giudizio; la seconda è che lo IARC (e la sua sottocommissione per le monografie) è una agenzia che dipende dall’OMS. Dopo una simile valutazione l’eventuale delegittimazione delle opinioni dello IARC non viene dunque dagli scritti della Prof.ssa Cattaneo come scrivono i 4 esperti, ma semmai da chi come l’OMS sovrintende lo IARC.

I 94 scienziati pro-IARC, contro EFSA e fiduciosi di ECHA

Nell’agosto 2016, a difesa delle tesi della monografia 112 dello IARC, espresse a marzo 2015, rispetto alle tesi (ma soprattutto alle procedure) dell’EFSA (pubblicate a novembre 2015), sono scesi in campo 94 scienziati (primo autore Christopher Portier che incontreremo più avanti) che firmano un articolato testo dove avvalorano le procedure dello IARC spiegando perché siano più accurate di quelle di EFSA. Nove degli autori sono componenti della monografia 112 sul glifosate di IARC e due dei firmatari sono anche tra i 4 esperti che hanno inviato la lettera critica sull’articolo della Prof.ssa Cattaneo su Repubblica. In realtà mi pare di poter dire che EFSA dica che visti i dati “non c’è sufficiente evidenza che glifosate sia probabilmente cancerogeno” mentre i 17 esperti della monografia IARC n.112 giudicano (seguendo criteri ben spiegati) che l’evidenza è sufficiente. Non è mio compito discutere di procedure generali e metodologie di analisi di dati tanto complessi di grandi e autorevoli organismi come IARC ed EFSA caricati di rilevanti responsabilità pubbliche, ma alcune osservazioni da non tecnico della materia provo a farle. Il testo dei 94 esperti dà grande affidabilità a una meta-analisi (Schinasi L, Leon ME. Non-Hodgkin lymphoma and occupational exposure to agricultural pesticide chemical groups and active ingredients: a systematic review and meta-analysis. Int J Environ Res Public Health 2014;11:4449527. doi:10.3390/ijerph110404449).

Schinasi e Leon discutono di centinaia di articoli e di decine di pesticidi e compiono alcune scelte come ad esempio quella di suddividere il mondo in aree da cui trarre i dati: il Canada distinto dagli USA (forse abbastanza grandi e diversi per clima) e poi Europa distinta dalla Svezia. Forse perché gli scienziati svedesi sono molto attivi e producono molti dati? Tale scelta dà alla Svezia (dove opera il gruppo di ricerca di Eriksson, autore del principale studio su cui poggia la valutazione IARC) un peso rilevante. Questa meta-analisi non tace sul ruolo rilevante della Svezia, tanto da scrivere che: “3.5.4. Geographic Area. We investigated the impact of geographic area on the meta-analytic RR estimates (Supplementary Table S4). For glyphosate exposure, including estimates from papers that reported results from Swedish studies caused the estimate to become more positive; it moved from 1.5, 95% CI: 1.1–2.0, CLR: 1.8 to 2.2, 95% CI: 1.3–3.8, CLR: 2.9”. Ancora, la tabella 4 del lavoro fa un impressionante elenco di principi attivi e dei loro potenziali rischi stimati su decine di diverse pubblicazioni. La Tabella è tanto articolata da coprire 8 pagine del lavoro e tutti gli articoli mostrano i dati statisticamente significativi di patologie correlate ad ogni erbicida o fungicida, mostrando il numero di casi e di controlli analizzati. In pratica solo il gruppo svedese di Eriksson utilizza meno persone di controllo rispetto alle persone esposte ad ogni diversa sostanza. Per tutti gli altri studi ci sono più controlli che esposti, tranne due lavori dove gli esposti sono di una sola unità in più dei controlli, non come in Eriksson e coautori dove le persone esposte sono sempre molto di più (talvolta quasi il doppio) dei controlli. Inoltre tale meta-analisi evidenzia delle differenze tra un gruppo statunitense (De Roos primo autore) e i due gruppi canadese (McDuffie) e svedese (Eriksson): questi studi corrispondono alle referenze 6, 7 e 14 che incontreremo più avanti. Sempre la stessa meta-analisi spiega anche una possibile ragione di discrepanza tra i vari gruppi dicendo che i ricercatori statunitensi usano altri agricoltori non esposti come controlli, mentre altri gruppi prendono non-agricoltori. Forse entrambe le scelte sono corrette, ma di nuovo pare necessario poter disporre di maggiori dati.

Ma l’aspetto che sembra esemplare per i 94 autori (tra cui 9 membri della monografia 112 e due dei 4 autori dell’articolo tanto severo verso la Prof.ssa Cattaneo) sta nelle linee guida che EFSA dovrebbe seguire. I 94, schierati a sostegno dello IARC, giudicano corrette ed autorevoli le guideline di OECD ed ECHA, tacciando EFSA (ossia il rapporto per il rinnovo dell’autorizzazione Renewal Assessment Report, RAR, citato qui) di non aver seguito quelle linee guida corrette: “Several guidelines have been devised for conducting careful evaluation and analysis of carcinogenicity data, most after consultation with scientists from around the world. Two of the most widely used guidelines in Europe are the OECD guidance on the conduct and design of chronic toxicity and carcinogenicity studies17 and the European Chemicals Agency Guidance on Commission Regulation (EU) No 286/2011;18 both are cited in the RAR. The methods used for historical controls and trend analysis are inconsistent with these guidelines”.

Quindi i 94 rimproverano EFSA e le dicono dove andare a trovare delle linee guida esemplari, ossia quelle di ECHA. Ebbene, pochi mesi fa ECHA ha sposato in pieno il giudizio dell’EFSA sulla “non probabile cancerogenicità” del glifosate: “ECHA's Committee for Risk Assessment (RAC) agrees to maintain the current harmonised classification of glyphosate as a substance causing serious eye damage and being toxic to aquatic life with long-lasting effects. RAC concluded that the available scientific evidence did not meet the criteria to classify glyphosate as a carcinogen, as a mutagen or as toxic for reproduction”. Ora io non capisco. Ben 94 esperti del settore, tra cui due dei quattro firmatari della lettera che giudicano “destabilizzanti” le affermazioni della Prof.ssa Cattaneo che illustra le basi delle scelte dell’Unione Europea (e delle sue due agenzie competenti) di rinnovare l’autorizzazione al commercio del glifosate per soli 5 anni (invece dei 15 previsti), dicono a agosto del 2016 che le procedure corrette da seguire sono quelle dell’Agenzia Europea per la Chimica ECHA e l’anno seguente l’ECHA emette un giudizio che concorda con EFSA: cosa ne dobbiamo concludere?

Direi che i casi sono due: o i 94 esperti si sono sbagliati e anche le procedure di ECHA ora che non conducono alle stesse valutazioni dello IARC non sono più di loro gusto, oppure che i 94 esperti non si erano sbagliati, ed è corretto il giudizio di ECHA, EFSA, FAO, OMS e decine di altre agenzie e quindi anche il rinnovo al commercio stabilito dall’Unione Europea (come riferito nell’articolo della Prof.ssa Cattaneo su Repubblica). Ma forse sono io che soffro di strabismo e non riesco a vedere altre spiegazioni logiche.

L’articolo su ilpost.it

L’articolo de post.it, citato nella parte in corsivo della lettera dei 4 esperti, contiene però varie altre affermazioni errate, anche se sono pronto a credere che sia stato scelto a caso (tale è la frequenza di siti che ripetono affermazioni sbagliate). Il testo de ilpost.it è particolarmente fazioso perché all’opinione falsamente attribuita all’OMS oppone solo quella della Agenzia Europea per la Chimica (ECHA), che contenendo il nome di “chimica” incoraggia a far propendere il lettore per l’opinione “medica” dell’OMS (falsamente contraria al glifosate, per come riporta ilpost.it). Ad esempio nell’articolo de ilpost.it si omette almeno di citare che l’EFSA, l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare Europea, la FAO, le agenzie specializzate tedesca, statunitense o australiana, cioè in totale 22 agenzie hanno dato valutazioni diverse da quanto ha sostenuto la sola sottocommissione monografie dello IARC. Ma le ambiguità dell’articolo su ilpost.it non finiscono qui e chi avrà la tenacia di leggere fino in fondo questo testo vedrà ancora altre stranezze di quell’articolo.

Quel che Aaron Blair sapeva da tempo

I 4 esperti citano poi a due riprese delle inchieste di un quotidiano («Monsanto papers»: la guerre du géant des pesticides contre la science e «Monsanto papers»: la bataille de l’information), tenuto in somma considerazione dai 4 esperti tanto da qualificarlo da “del calibro di” Le Monde. Paradossale che un quotidiano del calibro di Le Monde usi come immagine dell’inchiesta un uomo in tuta che versa un prodotto da una tanica in un bidone destinato ad essere sparso con l’aereo, ma il prodotto nella tanica non è né glifosate né RoundUp (pare anzi che sia un insetticida usato anche in agricoltura biologica). Non mi sorprendo, non contesto e non sottoscrivo le inchieste di Le Monde che vertono sulle manovre scorrette di Monsanto per ottenere un giudizio favorevole al glifosate. C’era da aspettarselo. Con altrettanto distacco riporto altre informazioni come quelle redatte dalla Reuters che sono di segno diametralmente opposto e indagano sulle vicende del principale esperto sentito dallo IARC, Aaron Blair.

La Reuters riporta l’interrogatorio di Aaron Blair presso un tribunale californiano: “The unpublished research came from the Agricultural Health Study, a large and significant study, led by scientists at the U.S. National Cancer Institute, of agricultural workers and their families in the United States. Asked by Monsanto lawyers in March whether the unpublished data showed "no evidence of an association” between exposure to glyphosate and non-Hodgkin lymphoma, Blair replied: "Correct." Asked in the same deposition whether IARC's review of glyphosate would have been different if the missing data had been included, Blair again said: "Correct.” Lawyers had put to him that the addition of the missing data would have “driven the meta-relative risk downward,” and Blair agreed”. Ossia dei dati non pubblicati, e come tali non utilizzabili dalla sottocommissione IARC, ma già noti a Aaron Blair avrebbero forse consigliato maggior pazienza (e un supplemento di indagini). La differenza in questo caso, rispetto alle indagini di un quotidiano “del calibro di Le Monde”, è che a parlare è direttamente un esperto della sottocommissione monografie e non dei giornalisti. Non è possibile che sia stata questa deposizione di Blair a ispirare gli scritti della Prof.ssa Cattaneo? Oppure i dati noti a Blair e pubblicati il 9 novembre 2017, oppure che sia stata la lettera indirizzata al presidente della IARC il 1° novembre 2017 da parte di esponenti della (SST) Camera dei Rappresentanti statunitense a suggerire le poche parole che componevano il testo di Cattaneo su Repubblica? Nella lettera del 1° novembre i direttori dei programmi delle Scienze, dello Spazio e delle Tecnologie e quello per l’Ambiente scrivono: “Aaron Blair, l’epidemiologo che ha guidato l’incontro dello IARC del 2015 sul glifosate ha nascosto ricerche cruciali allo IARC. Blair ha ammesso che tali ricerche avrebbero evitato che il glifosate sarebbe stato classificato nella categoria 2A”.

I conflitti di Portier

Il secondo componente IARC sul quale si sono spesi fiumi d’inchiostro è il dott. Christopher Portier oggetto di un’indagine dove si afferma che: “Portier Papers, ovvero le rivelazioni imbarazzanti emerse su Christopher Portier, colui il quale, sebbene attivista di un’associazione ecologista anti-pesticidi - e non sapesse alcunché di glifosate, per sua stessa ammissione - è riuscito a farsi nominare Presidente della Commissione dello Iarc che ha deciso di mettere sotto indagine glifosate. Ha potuto cioè influenzare il gruppo di lavoro dei 17 esperti dell’Agenzia, salvo poi firmare un contratto come consulente di parte con uno studio legale che aveva già pronta una Class Action contro Monsanto. La cifra pattuita? 160 mila dollari. Giusto per capire che i conflitti di interessi sono spesso percepiti a senso unico”.

Vero? Falso? Vero solo in parte? Il tempo forse ci dirà la consistenza di queste e altre indagini giornalistiche. Ma anche la lettera della SST della Camera dei Rappresentanti statunitense riporta questi episodi e queste somme di denaro, quindi è a loro che casomai Portier dovrà rispondere. E non sembra proprio che la Camera dei Rappresentanti USA intenda mollare la presa, visto che alla lettera dei 1° novembre 2017 ha fatto seguire l’8 dicembre scorso questo testo dove considerano in conflitto d’interessi le azioni di Portier. Intanto Portier segnala, nell’articolo dei 94 nomi dove compare come primo autore, di un suo potenziale conflitto d’interesse (CJP also works part-time for the Environmental Defense Fund on issues not related to pesticides ) perché lavora part-time con Environmental Defense Fund, una organizzazione che ha ricevuto sostegno per 182 milioni di dollari nel solo 2017. Ma piuttosto che soppesare se i dubbi su Blair e Portier siano nulli, superiori, uguali o inferiori ai tentativi di Monsanto di promuovere i suoi interessi commerciali con metodi scorretti, credo che i 4 esperti potrebbero valutare se redigere un’analisi nel merito dei documenti oggi disponibili e non delle polemiche giornalistiche/scandalistiche che circondano questa vicenda con evidenti falsificazioni della posizione dell’OMS che, ribadisco, è la vera sorgente della delegittimazione della sottocommissione monografie 112 dello IARC.

Canada, USA e Svezia: vediamo cosa dicono i testi originali

Il 9 novembre 2017, ossia 22 giorni prima dell’uscita dell’articolo su Repubblica della Prof.ssa Cattaneo, Andreotti et al., pubblicano un immenso studio sull’impatto dell’esposizione al glifosate. Si tratta della pubblicazione nota a Blair, ma non ancora pubblicata nel marzo 2015. Credo sia auspicabile che i 4 esperti facciano chiarezza non su un articolo che cercava di ristabilire i fatti su Repubblica, ma che entrino nel merito dei tanti documenti, tra cui anche di quest’ultimo testo. Ad esempio spiegando che la sottocommissione IARC non ha giudicato il glifosate probabilmente cancerogeno per qualunque tipo di carcinoma, ma solo per una significatività nel solo ed esclusivo caso del linfoma non-Hodgkin (NHL). Quindi non per tutti i tipi di cancro, ma solo per il NHL. I 4 esperti potrebbero, se lo ritengono utile, passare al vaglio le tre pubblicazioni (Svezia, USA e Canada) usate dalla sottocommissione IARC come base per la loro decisione. Questo è il passaggio centrale della valutazione della sottocommissione IARC: Case-control studies of occupational exposure in the USA,14 Canada,6 and Sweden7 reported increased risks for non-Hodgkin lymphoma that persisted after adjustment for other pesticides. The AHS cohort did not show a significantly increased risk of non-Hodgkin lymphoma”. I tre lavori citati sono:
Referenza 6: McDuffie HH, Pahwa P, McLaughlin JR, et al. Non-Hodgkin’s lymphoma and specific pesticide exposures in men: cross-Canada study of pesticides and health. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2001; 10: 1155–63. E' lo studio canadese (McDuffie et al., 2001), che si concentra a cercare la possibile sorgente di NHL tra gli agricoltori, quindi non guarda il complesso di tutte le forme tumorali. Non rivela dati statisticamente significativi di associazione tra glifosate e NHL: “We found that among major chemical classes of herbicides, the risk of NHL was statistically significantly increased by exposure to phenoxyherbicides [OR, 1.38; 95% confidence interval (CI), 1.06 –1.81] and to dicamba (OR, 1.88; 95% CI, 1.32–2.68). Exposure to carbamate (OR, 1.92; 95% CI, 1.22–3.04) and to organophosphorus insecticides (OR, 1.73; 95% CI, 1.27–2.36), amide fungicides, and the fumigant carbon tetrachloride (OR, 2.42; 95% CI, 1.19 –5.14) statistically significantly increased risk.” Quindi questo studio non pare incolpare il glifosate e gli stessi autori non indicano i dati di correlazione come statisticamente molto significativi escludendo i dati su glifosate dall’abstract dell’articolo. Gli autori usano qui 51 persone esposte al glifosate per più di 10 ore l’anno mentre sono 133 le persone non esposte usate come controlli.
Referenza 7: Eriksson M, Hardell L, Carlberg M, Akerman M. Pesticide exposure as risk factor for non-Hodgkin lymphoma including histopathological subgroup analysis. Int J Cancer 2008; 123: 1657–63. E' un nuovo studio dello stesso gruppo svedese (Eriksson e coautori) che anni prima aveva già sostenuto il legame tra NHL e glifosate basandosi su soli 4 casi analizzati (e tre di controllo). Buona parte della scelta dello IARC di elevare alla categoria 2A il glifosate poggia su questo studio di Eriksson et al. 2008. Questi studiosi analizzano 29 casi di esposizione paragonandoli a 18 di controllo e trovano dei numeri statisticamente significativi tra i cittadini svedesi assoldati per lo studio, avendo precisato di aver fatto una serie di aggiustamenti in funzione di età, sesso e anno di cooptazione nello studio. I 4 esperti di statistica e carcinogenesi potrebbero, se ne avessero il tempo, valutare i dati di questo studio svedese, fondamentale per la valutazione della monografia 112. Eriksson e coautori mostrano come un’esposizione al glifosate di meno di 10 giorni studiando 12 casi di persone esposte contro 9 di controllo, causi differenze poco significative. Mentre valutando 17 casi di esposizione al glifosate per oltre 10 giorni contro sempre 9 casi di controllo, mostrano una sicura significatività per l’incidenza del NHL. A me ad esempio, sarebbe utile capire come mai il numero dei controlli è sempre molto inferiore ai casi di persone esposte (12 vs 9 ossia il 33% in più per le persone esposte meno di dieci giorni, oppure 17 vs 9, ossia l’89% in più di persone esposte rispetto ai controlli utilizzati). Questa discrepanza appare inspiegabile alla luce di quanto riportato nell’abstract dagli stessi Eriksson e coautori, ossia che: Male and female subjects aged 18–74 years living in Sweden were included during December 1, 1999, to April 30, 2002. Controls were selected from the national population registry. Exposure to different agents was assessed by questionnaire. In total 910 (91%) cases and 1016 (92%) controls participated.” Ossia nell’impiantare l’esperimento si erano correttamente selezionati un numero più largo di controlli di persone qualsiasi rispetto alle persone esposte al glifosate e ad altri agenti. Poi quando si vanno a misurare i dati scompaiono i controlli e a fronte di 29 casi di persone esposte ci sono solo 18 controlli. Ci saremmo aspettati, ma io non sono professore di statistica, che se sono 29 le persone esposte, siano almeno 30 i controlli e non 18 come mostrato da Eriksson e coautori. Alle mie attese mancano 12 controlli su 30, ossia manca il 40% dei controlli che era lecito attendersi: che fine hanno fatto? Come mai sono meno i controlli delle persone esposte? E’ normale che partendo da numeri quasi uguali si finisca col tirare fuori delle conclusioni quando mancano un buon 40% dei controlli che ci si poteva aspettare? Se poi si usano i parametri degli studi canadese e statunitense i controlli usati lì erano circa il doppio delle persone esposte. Magari a queste domande sapranno rispondere i 4 esperti di statistica e carcinogenesi ambientale.
Referenza 14: De Roos AJ, Zahm SH, Cantor KP, et al. Integrative assessment of multiple pesticides as risk factors for non-Hodgkin’s lymphoma among men. Occup Environ Med 2003; 60: E11.  E' uno studio statunitense. Questa pubblicazione è firmata come ultimo autore da A. Blair, ma gli autori sono cauti nel giudizio sul glifosate tanto da scrivere: ”Only a few pesticides were associated with a possible increased NHL incidence (judged by OR >1.3 and lower confidence limit >0.8), including the organophosphate (OP) insecticides coumaphos, fonofos, and diazinon, the organochlorine insecticides chlordane and dieldrin, the insecticide copper acetoarsenite, and the herbicides atrazine, glyphosate, and sodium chlorate”. Quindi un effetto visibile, ma definito possible increased, dopo aver dato conto di valutazioni differenti di altri gruppi. “Glyphosate, commercially sold as Roundup, is a commonly used herbicide in the United States, both on crops and on non-cropland areas.50 An association of glyphosate with NHL was observed in another case-control study, but the estimate was based on only four exposed cases.51 A recent study across a large region of Canada found an increased risk of NHL associated with glyphosate use that increased by the number of days used per year.8 These few suggestive findings provide some impetus for further investigation into the potential health effects of glyphosate, even though one review concluded that the active ingredient is non-carcinogenic and non-genotoxic.50. La referenza 51 riguarda uno studio dello stesso gruppo svedese di cui parlo nella precedente referenza 7, che aveva già identificato il glifosate come possibile causa di NHL studiando 4 casi. Io non sono professore di statistica, ma a naso 4 casi mi paiono un po’ pochini per tirare qualunque conclusione. Gli autori statunitensi (De Roos e coautori) sono abbastanza cauti sulla associazione glifosate-NHL, valutano inizialmente 650 casi di persone esposte a 47 tipi di agrofarmaci paragonandole a 1933 controlli. Per la valutazione della correlazione tra glifosate e NHL confrontano 36 persone esposte rispetto a 61 controlli.

Cosa dice lo studio del 9 novembre 2017 

Insomma, mi auguro che, una volta che i 4 esperti si saranno ripresi dallo “sconvolgente dossier” di un giornale “del calibro di Le Monde”, gli sia possibile approfondire la lettura dei dati dell’articolo di Andreotti et al, 2017, per commentare un’analisi fatta non su 29 individui, ma su 45.000 (quarantacinquemila) che erano entrati in contatto con glifosate per una media di 45 giorni (ossia 4 volte e mezzo di più dello studio svedese) e per una media di 8,5 anni. Questo studio appare tre settimane prima che l’Unione Europea rinnovi l’autorizzazione al commercio del glifosate per altri 5 anni e per il NHL mostra per tutti i casi di esposizione (oltre cento casi per ognuna delle dosi e dei tempi di esposizione) che non esiste alcuna correlazione tra esposizione media di 45 giorni per 8,5 anni al glifosate e incidenza di NHL. Ancora una volta anche lo studio di Andreotti e coautori usa un maggior numero di controlli (135) rispetto al numero di persone esposte per le varie categorie (113; 104; 112; 111). L’unico dubbio riguarda i casi di leucemia cronica acuta per la frazione di persone maggiormente esposte dove, guarda caso, il numero delle persone analizzate era dell’ordine di grandezza di quello dello studio svedese sopra citato. Andreotti e coautori ne concludono che i numeri e la statistica per tale tipo di leucemia non consentono di trarre conclusioni e che un maggiore approfondimento si rende necessario.

Il ruolo pubblico e civile di ogni scienziato

I 4 esperti non avevano di certo lo spazio in una brevissima nota di contestare nel merito le affermazioni fatte su Repubblica dalla Prof.ssa Cattaneo e quindi non possiamo che attendere tali contestazioni nel merito e nel dettaglio. Ma nell’attesa mi domando se i 4 esperti abbiano usato un uguale rigore morale nei confronti di tutti coloro che, anche su Repubblica e altrove fanno finta di non sapere che la FAO e l’Organizzazione mondiale della Sanità hanno sottoscritto documenti opposti a quello dello IARC. I 4 esperti, riferendosi alla Prof.ssa e Senatrice Elena Cattaneo, si dicono molto preoccupati che: “le parole da lei espresse possono avere un effetto destabilizzante sul lettore di Repubblica”, e forse le parole scritte da altri su Repubblica invece hanno avuto un effetto rassicurante? Ad esempio i 4 esperti hanno mai scritto a Repubblica (o qualunque altro quotidiano) per contestare le false affermazioni di tutti coloro che hanno fatto passare la posizione dell’OMS ribaltandola e travisandola? Ecco una lista degli interventi su Repubblica che forse hanno già avuto un “effetto destabilizzante”: Glifosato, rimandato il voto sul rinnovo dell'autorizzazione: stati Ue divisi, Il diritto di sapere da dove viene il grano. Oppure questo articolo dove si dice nel testo che ci sono studi che vanno nella stessa direzione dello IARC e poi si scopre che il Ramazzini (la cui direttrice è tra i 94 firmatari del testo che contesta EFSA e si fida di ECHA) avrà dei dati solo tra 5 anni. Oppure le posizioni del signor Carlo Petrini (3 giorni prima dell’articolo delle Prof.ssa Cattaneo) pubblicate su Repubblica e della sua Slow Food (L’Unione Europea approva il rinnovo dell’autorizzazione al glifosato. Slow Food: «Catastrofe ambientale ed ecologica»Glifosato, l’ennesimo rinvio sulla pelle dei cittadiniVietare il glifosato è una questione di civiltàGlifosato, CETA e altre meraviglie: facciamoci sentire).
Io l’ho fatto (colpevolmente solo un paio di volte) e la giornalista di Repubblica si è scusata per aver commesso l’errore di attribuire all’OMS la falsa opinione riportata anche da ilpost.it per cui ora questo testo di Repubblica è stato modificato (in peggio e facendo anche finta che in Italia non si usi glifosate su tantissime coltivazioni oltre che su strade e ferrovie): qualcuno dei 4 esperti ha scritto a Repubblica o a un qualunque altro organo di stampa per segnalare simili travisamenti della realtà? Il fatto che alcuni dei 4 esperti abbiano servito in una qualche commissione IARC dovrebbe spingerli non a tutelare l’istituzione qualunque cosa affermi, ma invece a segnalare la distorsione dai fatti e dai documenti ovunque queste alterazioni vengano effettuate.

Le Iene e il clima culturale

All’esausto lettore devo chiedere un ultimo sforzo perché non posso tacere un ulteriore aspetto che nulla ha a che fare con la lettera dei 4 esperti o con altri attori di questa vicenda, ma che evidenzia un clima culturale. Dicevo all’inizio che anche la trasmissione Le Iene si è occupata di glifosate e lo ha fatto da par suo, andando ad intervistare una donna francese che mentre era in gestazione di suo figlio ha usato glifosate sul suo terreno. Il bambino è nato con gravi malformazioni dei sistemi digestivi e respiratori e hanno fatto causa a Monsanto che avrebbe fatto una pubblicità rassicurante sull’impiego del suo RoundUp. Tale rassicurante pubblicità del RoundUp avrebbe indotto la donna a non usare sistemi di protezione individuali come mascherine o guanti causando così (secondo lei) le malformazioni del figlio (esposto nei modi più crudi ed impietosi al più volgare voyerismo televisivo). Come si vede qui non si parla di linfomi non-Hodgkin e quindi niente a che vedere con quanto detto sopra.
Al minuto 5:40 la signora francese mostra l’arma del delitto, ossia la confezione di erbicida utilizzata e che avrebbe causato i danni al figlio. Questo il link alla trasmissione.
L’etichetta è per metà stracciata (normale dopo nove anni), ma si intuisce che il prodotto è il Glyper, ossia questo. Un prodotto a base di glifosate prodotto dall’azienda irlandese Barclay: azienda di proprietà familiare. Al minuto 6:40 della trasmissione delle Iene spiegano che è il bambino di nove anni che ha deciso di fare causa a Monsanto che faceva pubblicità al RoundUp e non a chi ha prodotto il flacone. Sorprendente. Tra l’altro la ripresa avviene davanti a un camino dove sta bruciando legna, ossia emissioni in categoria 2A. Ma vi chiederete cosa c’entra questa vicenda di Le Iene con quanto detto prima: nulla, o quasi. Perché se andate a rivedere il link a ilpost.it trovate la foto di due flaconi: uno verde dove si legge in bella mostra che stanno parlando di RoundUp, ossia di Monsanto, e uno bianco dove si legge Glyphosate. Questo flacone bianco è il Glyper di Barclay. Sarà di certo un caso, un caso fortuito, ma strano direi. Un caso che a voler essere malevoli e retroscenisti farebbe pensare a una regia occulta. Ma i retroscena non mi appassionano, per questo lo definisco piuttosto un clima culturale.

Interessi e conflitti

Per chiudere questo testo troppo lungo non posso non dichiarare l’assenza di conflitti d’interesse con Monsanto, IARC, BAYER, EFSA, OMS, ECHA, Barclay, o una qualunque azienda di diserbanti. Ma anche ricordare che il glifosate è un agrofarmaco generico fuori brevetto dal 2001 che costa troppo poco (9 euro per diserbare un ettaro) per essere difeso da chiunque. Troppo efficace e troppo ben degradato dai microrganismi del suolo essendo un analogo di un amminoacido. Non sarei sorpreso di scoprire tra qualche anno che dopo tutto questo clamore è stato sostituito con altri erbicidi tre volte più costosi, da applicare molto più frequentemente del glifosate e soprattutto tutelati da brevetti nelle mani delle aziende produttrici. Ossia che alla fine ci abbiamo perso solo noi consumatori (e agricoltori) e che il glifosate resta il miglior erbicida che consente di non liberare gas serra con l’aratura dei suoli e che la sua sostituzione ha causato enormi emissioni di anidride carbonica e nessun vantaggio sanitario, ma solo tanti costi in più per noi e tanti vantaggi per le aziende produttrici dei tantissimi erbicidi “alternativi”. Vedremo.


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Superdiffusore: il Lancet ricostruisce la storia di una parola che ha avuto molti significati

Un cerchio tutto formato di capocchie di spillo bianche con al centro un disco tutto formato da capocchie di spillo rosse

“Superdiffusore”. Un termine che in seguito all’epidemia di Covid abbiamo imparato a conoscere tutti. Ma da dove nasce e che cosa significa esattamente? La risposta è meno facile di quello che potrebbe sembrare. Una Historical review pubblicata sul Lancet nell’ottobre scorso ha ripercorso l’articolata storia del termine super diffusore (super spreader), esaminando i diversi contesti in cui si è affermato nella comunicazione su argomenti medici e riflettendo sulla sua natura e sul suo significato. Crediti immagine: DALL-E by ChatGPT 

L’autorevole vocabolario Treccani definisca il termine superdiffusore in maniera univoca: “in caso di epidemia, persona che trasmette il virus a un numero più alto di individui rispetto alle altre”. Un recente articolo del Lancet elenca almeno quattro significati del termine, ormai familiare anche tra il grande pubblico: