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Dieci anni di LEA

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Abbiamo cominciato a conoscere il termine LEA ormai quasi 15 anni fa.
I Livelli Essenziali di Assistenza sono stati fissati dal DPCM del 29 novembre 2001, che per la prima volta in Italia ha stabilito nero su bianco che l'assistenza sanitaria dovesse essere garantita e accessibile a tutti a livello regionale.
I LEA sono infatti le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket.
Oggi a distanza di oltre un decennio il Ministero della Salute ha pubblicato un documento approfondito sullo stato attuale dei LEA regione per regione con aggiornamento all'anno 2012. Un primo monitoraggio dei risultati di dieci anni di azione, per capire - anche in relazione all’aggiornamento del decreto relativo al Sistema di Garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria previsto dal Patto per la salute 2014-2016 - se c'è ancora del lavoro da fare per raggiungere standard efficienti. E soprattutto per un'omogeneità dal punto di vista sanitario che dovrebbe caratterizzare un paese. Oltre a permettere di individuare più facilmente le aree dove è più necessario intervenire a livello economico.
Il primo aspetto sottolineato proprio dal report del Ministero è proprio la questione delle differenze regionali in termini di prevenzione, controllo, assistenza domiciliare agli anziani e disabili, tasso di ospedalizzazione e cura, argomento di cui Scienza in Rete si era già occupata ampiamente anche qui. Un'elevata eterogeneità sia per quanto riguarda la domanda di prestazioni sanitarie, sia nell'erogazione delle prestazioni, dei livelli essenziali di assistenza da parte delle reti di offerta.

Un po' di storia

Ma facciamo un passo indietro. I LEA, entrati in vigore il 23 febbraio 2002, riguardano essenzialmente tre settori: la prevenzione in termini di vaccini e screening, l'assistenza distrettuale di anziani e disabili e l'assistenza ospedaliera. Una ridefinizione dei LEA è stata poi presentata nel 2006 sulla base dell’Intesa Stato-Regioni, del “Patto sulla salute” e della Legge 296 del 27 dicembre 2006, che si sono tradotti nel Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2008, il quale ha introdotto i cosiddetti “nuovi LEA” che prevedono un totale di oltre 5700 tipologie di prestazioni e servizi per la prevenzione, la cura e la riabilitazione.

Cosa è cambiato in Italia dal 2001 al 2012

La risposta pare non essere affatto semplice ed è necessario procedere cauti, evidenziando le differenze regionali nell'erogazione dei LEA. Tuttavia, “sebbene interpretazioni e conclusioni di carattere generale basate solo sull’osservazione di questi dati potrebbero risultare non corrette – si legge infatti sul sito del Ministero - è possibile tentare una prima lettura generale dei risultati”. Anzitutto, è necessario definire gli indicatori tramite i quali viene quantificata e dunque valutata l'erogazione dei livelli di assistenza su base regionale. Leggendo il dossier si apprende che questi sono moltissimi e attualmente in fase di revisione, ripartiti tra assistenza individuale e collettiva negli ambienti di vita e di lavoro, assistenza territoriale e ospedaliera. Vediamone alcuni.

Prevenzione: omogeneità per i vaccini, ma non per lo screening

Quando si parla di prevenzione si intende sia la copertura vaccinale infantile dei bambini al di sotto dei 24 mesi, sia quella dell'anziano oltre i 65 anni, che i programmi di screening previsti su base regionale e la risposta effettiva della popolazione agli inviti. In entrambi gli ambiti, vaccinazione e screening, il report evidenzia importanti differenze. A cavarsela un pochino meglio l'area delle vaccinazioni in età pediatrica, con variazioni minime nel periodo esaminato cioè dal 2001 al 2012. Un po' meno equilibrata le differenza regionale, ma almeno in questo caso pare non ricalcare l'asse nord sud. Almeno sulla base di questi dati i bambini al Sud non si vaccinano di meno rispetto al Nord.

 

La stessa cosa non sembra si possa dire invece per la vaccinazione antinfluenzale nell’anziano, in diminuzione in quasi tutte le realtà regionali. Le vere disomogeneità tra Nord e Sud del Paese però, emergono in merito ai programmi di screening. Al Nord i programmi organizzati su base regionale dal 2001 a oggi sono via via aumentati sensibilmente, mentre al Sud, sebbene non manchino le eccezioni, la copertura è ancora decisamente minore, come si può vedere qui.

Migliora l'assistenza domiciliare, ma solo l'Emilia Romagna oltre il 10%

In questo campo l'Emilia Romagna sembra proprio non avere pari. Quasi il 12% degli anziani residenti con più di 65 anni viene trattato attraverso un sistema di Assistenza Domiciliare Integrativa, una percentuale che non si riscontra in nessun'altra regione italiana, soprattutto se consideriamo che nel 2011 gli emiliani coinvolti erano l'1,89% dei residenti. I dati mostrano che tranne il Molise, in tutte le altre regioni del Meridione la percentuale di anziani trattati in ADI è cresciuta moltissimo, mentre in media al Nord la crescita è stata meno evidente, e vi sono regioni come Friuli-Venezia Giulia e Liguria dove dal 2001 la percentuale dal 2001 è addirittura diminuita o non è cambiata affatto.

Strutture per anziani, male al Sud

Ma forse l'aspetto più significativo da considerare, specie alla luce di un Italia che invecchia sempre di più decennio dopo decennio, è l'offerta agli anziani e ai disabili in termini di strutture residenziali. Qui la situazione non è certo delle migliori ed emerge potentemente la disomogeneità tra Nord e Sud della penisola. Anche se in aree come il Veneto o la Provincia Autonoma di Trento rispetto al 2001 i posti di assistenza in strutture residenziali ogni 1000 anziani residenti sono addirittura diminuiti, rimane enorme la differenza tra il saldo complessivo delle regioni del Nord e quello del meridione.

Strutture per disabili stabili dal 2001

Anche per i disabili le cose rispetto al 2001 non sono migliorate di molto in media, e in taluni casi come Basilicata e Puglia, i posti in strutture residenziali che erogano assistenza ai disabili ogni 1000 residenti sono di meno rispetto all'anno di introduzione dei LEA. Tuttavia in questo caso, come si vede dal grafico, la differenza regionale risulta a macchia di leopardo.

 

Meno ospedalizzazioni ma più parti cesarei

Un altro indicatore importante per la valutazione dei LEA è il tasso di ospedalizzazione. In particolare, si legge, quello dei ricoveri ospedalieri evitabili. I dati regionali parlano chiaro: il tasso di ospedalizzazioni è sceso significativamente in tutta la penisola negli ultimi 15 anni, anche in risposta, precisa il report, alla Legge 135/2012 che ne fissa il tetto a 160 su 1.000 abitanti. Allo stesso tempo però dal 2001 al 2012 è aumentato complessivamente e in tutte le regioni il numero dei parti cesarei, specie al Sud. In particolare spicca il caso della Campania, dove addirittura il 61% dei parti nel 2012 è stato cesareo, il doppio rispetto alla media nazionale. Una regione dove già nel 2001 questa pratica riguardava una donna su due. L'aumento tuttavia non è stato costante nel tempo. Il picco di parti cesarei è avvenuto in quasi tutte le regioni d'Italia nel 2006 per poi diminuire in modo graduale fino al 2012. E questo in particolar modo in Basilicata e Calabria, dove la percentuale dei cesarei è scesa di circa il 10% negli ultimi sei anni.

 


Insomma, quello che emerge anche visivamente dalla mappa interattiva del monitoraggio dei LEA elaborata dal Ministero, è che ancora oggi a 15 anni dall'introduzione dei LEA, dobbiamo ancora una volta parlare di molte Italie. La situazione per la maggior parte degli indicatori è migliorata rispetto al 2001, ma non in tutte le regioni questo significa aver raggiunto buoni risultati.


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