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Dalle malattie rare al cancro: considerazioni a margine

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Ne hanno parlato già tutti, perché la notizia è veramente importante, tanto da guadagnare la copertina di una rivista prestigiosa come Science Translational Medicine: l’équipe guidata da Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica di Milano, ha utilizzato contro il cancro la medesima tecnica portata alla ribalta l’estate scorsa, quando i ricercatori italiani hanno annunciato su Science di aver trattato sei bambini colpiti da malattie rare fino ad oggi incurabili. Gli ingredienti sono gli stessi: cellule staminali ematopoietiche, cioè quelle che danno origine a tutte le cellule del sangue, in cui, tramite un virus appositamente modificato, si inserisce il gene terapeutico. Nel caso delle malattie ereditarie, la versione sana di quello difettoso; per attaccare il tumore, invece, la sequenza genica che codifica per l’interferone alfa, una potente sostanza antineoplastica. In più, i ricercatori hanno aggiunto una sorta di interruttore per far sì che a produrlo, tra le cellule originate dalle staminali, siano solo i macrofagi, cellule che dal sangue tendono a colonizzare il tumore. In questo modo, la citochina si accumula solo dove occorre, senza provocare effetti collaterali altrove e sono richiamati al dovere i macrofagi, che appartengono al sistema immunitario e sarebbero quindi deputate a difendere l’organismo, ma che nel caso del cancro spesso si fanno complici della malattia. I risultati, ottenuti anche grazie al sostegno di AIRC, sono stati sorprendenti: la terapia, oltre che sicura, si è rivelata efficace nell’inibire la crescita del tumore mammario. L’interferone modifica il microambiente tumorale, che normalmente favorisce la crescita, rendendolo invece ostile: induce l’apoptosi, cioè la morte programmata delle cellule tumorali e ostacola la formazione di nuovi vasi sanguigni indispensabili per alimentare il tumore, con un meccanismo antiangiogenesi proprio di molti farmaci antitumorali.

Tutto bene, tutti felici di questa ennesima riprova di come la ricerca sulle malattie rare non interessi solo pochi sfortunati (che comunque meriterebbero in ogni caso il supporto di tutti), ma produce riflessi che si possono ripercuotere su condizioni molto più frequenti. Nessuno ha sottolineato però che questo stesso studio non si sarebbe potuto condurre in Italia se fossero già vigenti le norme sulla sperimentazione animale approvate l’estate scorsa dal Parlamento, in particolare per quanto riguarda il divieto di ricorrere a xenotrapianti, cioè i trapianti tra specie diverse, su cui si basa gran parte della ricerca sul cancro. Perché i risultati riproducano il più possibile la realtà della malattia che si vuole curare, infatti, nei topi utilizzati per questo, come per moltissimi altri esperimenti, sono trapiantati tumori umani. In questo caso, di origine umana erano anche le cellule staminali ematopoietiche modificate, con cui si è ricreato nell’animale un sistema immunitario analogo a quello dei pazienti reali. Tra un paio d’anni, quando cadrà la moratoria, se su questo punto non sarà fatta più chiarezza, ricerche come questa nel nostro Paese non si potranno fare più.

Ma questa ricerca segna una svolta anche su un altro punto, che era nell’aria da anni, e che forse ha contribuito ad alimentare parte del nervosismo e delle ambiguità che circondano il caso Stamina. Lo studio conferma infatti quel che molti ricercatori pensano da tempo, che cioè  l’utilizzo di cellule a scopo terapeutico potrebbe in futuro estendersi ben oltre il ristretto “mercato” (e uso appositamente questa parola sgradita, quando si parla di malati e malattie) delle malattie rare e neurodegenerative.

Il gene dell’interferone alfa è solo una delle innumerevoli armi di cui si potrebbero munire queste cellule, usandole per modulare il sistema immunitario contro il cancro ma anche contro moltissime altre malattie comuni in cui  ormai è riconosciuto come fondamentale il ruolo dell’immunità e dell’infiammazione. La questione della regolamentazione di queste terapie, quindi, va ben al di là del caso Stamina. Decidere che per approvare l’uso terapeutico delle cellule si debbano seguire le stesse regole valide per i farmaci in vendita sugli scaffali delle farmacie, o che non occorra alcuna prova preliminare di sicurezza ed efficacia, come per i trapianti d’organo, o che invece si debba pensare a una nuova legislazione per affrontare una situazione totalmente nuova è una questione che muove interessi enormi. Quelli su cui vorremmo cercare di capire di più facendo #chiarezzasustamina, anche grazie all’aiuto di chi vorrà contribuire qui


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