Il progetto di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) ha le sue lontane radici negli anni Ottanta, quando Europa, USA e Giappone - ciascuno per conto proprio - cominciavano a pensare di realizzare un complesso e innovativo osservatorio astronomico per catturare la radiazione millimetrica. Una decina d'anni più tardi le tre idee confluirono in un unico ambizioso progetto, ma per vedere finalmente l'inizio dei lavori si dovette attendere il 2003. Cruciale la scelta della località. Dovendo catturare la radiazione millimetrica, era infatti indispensabile riuscire a scansare il più possibile gli ostacoli che venivano frapposti dall'atmosfera terrestre. Bisognava insomma individuare una località in altura (atmosfera più rarefatta) e caratterizzata da un livello di umidità il più basso possibile (meno ostacoli per la radiazione millimetrica, che viene assorbita dal vapore d'acqua). Non solo. Visto che il progetto non prevedeva un solo grande telescopio, ma ben 54 antenne paraboliche grandi 12 metri e altre 12 dell'apertura di 7 metri, si doveva disporre di un bel po' di spazio. Spazio che proprio non manca sull'altopiano del Chajnantor, appartenente all'arido deserto di Atacama nel nord del Cile. Una location che diventa perfetta allorché consideriamo i precedenti due requisiti: il plateau, infatti, si estende a 5000 metri di quota ed è caratterizzato da un'aridità davvero estrema (da quelle parti cadono solamente 10 cm di pioggia all'anno). Insomma, non sarà certo uno dei luoghi più ospitali al mondo, ma è proprio quello che serve per un progetto come ALMA.
Non è solamente la location che rende ALMA uno strumento astronomico davvero incredibile. Per ottenere il massimo, le 66 antenne devono possedere una flessibilità operativa senza precedenti: la loro disposizione, infatti, può essere modificata per ottenere differenti configurazioni nelle quali la distanza tra le antenne può variare da 150 metri fino a 16 chilometri. Degli spostamenti e dell'accurato posizionamento se ne occupano Otto e Lore, due veicoli da 28 ruote e 130 tonnellate di peso appositamente costruiti per maneggiare agevolmente le grandi antenne di ALMA e che già si sono occupati del loro trasporto dai 2900 metri di quota, dove sono stati costruiti gli edifici di supporto, fino ai 5000 metri della postazione finale. Particolarmente accurata - e non poteva essere diversamente - la costruzione delle parabole delle 66 antenne, realizzate portando al limite estremo le tolleranze meccaniche in modo da non disperdere nulla del flebile segnale millimetrico proveniente dallo spazio. Innovativa la tecnologia impiegata per i rilevatori, realizzati con materiali superconduttori mantenuti pochi gradi sopra lo zero assoluto. Fondamentale, infine, il ruolo del correlatore, un supercomputer in grado di mettere in fase i segnali raccolti dalle singole parabole trasformandoli nel segnale di un'unica gigantesca antenna grande come la distanza che separa le sue componenti.Piuttosto facile dunque, a questo punto, comprendere come mai il progetto ALMA sia costato 1,3 miliardi di dollari, uno sforzo economico impensabile per i singoli partner.
Il 13 marzo scorso si è dunque tenuta la cerimonia dell'inaugurazione ufficiale dell'osservatorio, ormai composto da 50 antenne pienamente operative e con la prospettiva del completamento definitivo entro la fine del 2013. A rimarcare l'importanza dell'evento, la presenza di oltre 500 rappresentanti della comunità scientifica internazionale, del Presidente cileno Sebastian Pinera e di numerosi ministri dei paesi appartenenti all'ESO nonché dei rappresentanti istituzionali dei tre partner di ALMA: Subra Suresh per gli Stati Uniti, Tim de Zeeuw per l'ESO e Teru Fukui per il Giappone. Quasi a celebrare l'importanza del nuovo strumento a disposizone della comunità astronomica internazionale e le sue potenzialità, quello stesso giorno veniva pubblicato su Nature un complesso studio basato proprio sui dati raccolti da ALMA quando ancora poteva contare solamente su poco più di una dozzina di antenne operative. La ricerca, condotta dal team di Joaquin Vieira (California Institute of Technology), riguarda l'incredibile produzione di stelle osservata in alcune remote galassie all'epoca in cui l'Universo aveva meno di due miliardi di anni. Uno studio che è stato accompagnato dagli accurati lavori dei team di Axel Weiss (Max Planck Institut) e di Yashar Hezaveh (McGill University), entrambi di prossima pubblicazione su The Astrophysical Journal. All'origine dello studio una scoperta effettuata con il South-Pole Telescope, lo strumento di 10 metri d'apertura collocato presso la stazione di ricerca della National Science Foundation in Antartide. I ricercatori avevano scoperto che alcune galassie molto lontane sembravano possedere un ritmo di produzione stellare particolarmente intenso. Per chiarire la situazione, gli astronomi decidevano di ricorrere alle 16 antenne di ALMA allora operative, una scelta che si sarebbe dimostrata vincente, permettendo di effettuare le osservazioni necessarie in tempi cento volti più rapidi. Le immagini e gli spettri di quelle galassie hanno permesso non solo di scoprire che alcuni di quei sistemi stellari erano molto più lontani di quanto si pensasse, ma anche di verificare che effettivamente la nascita di stelle era eccezionale. Basti dire che, mentre la nostra Galassia all'epoca attuale sforna stelle al ritmo di una massa solare all'anno, in quelle remote galassie il tasso di produzione stellare appare ben 500 volte più intenso. Una vera e propria impennata demografica nella popolazione stellare avvenuta mediamente intorno ai due miliardi di anni dopo il Big Bang, un miliardo di anni prima di quanto si pensava finora. Un risultato che in qualche modo obbliga gli astronomi a rivedere le tappe iniziali della vita delle galassie. Fondamentale nell'acquisizione dei dati di questi lontanissimi sistemi stellari l'apporto di altre formidabili macchine osservative, quali il Very Large Telescope e APEX (Atacama Pathfinder Experiment). Decisiva, poi, la determinazione dell'effettiva luminosità di quelle galassie, una delicatissima analisi basata sull'entità delle distorsioni delle immagini - con il conseguente aumento di luminosità - indotte dalle galassie incontrate dalla luce nel suo cammino verso di noi. E' il cosiddetto fenomeno del gravitational lensing, previsto e descritto dalla Relatività Generale. Un fenomeno tutt'altro che trascurabile, visto che la luce originale di alcune delle galassie analizzate per questo studio è risultata ben 22 volte più intensa. Grande entusiasmo nei commenti degli astronomi. E con fondati motivi: se questo è il risultato raggiunto con solo 16 antenne operative, ora che ALMA è praticamente completato chissà cosa si potrà ottenere.