fbpx Enciclopedia degli elementi del DNA | Scienza in rete

Enciclopedia degli elementi del DNA

Read time: 3 mins

Dopo 12 anni, finalmente un gruppo di ricerca internazionali ha scartato la nozione di DNA "spazzatura", riferendo che almeno l'80% del genoma umano sembra essere attivo almeno una volta nella nostra vita. Quando nel 2000 il Progetto Genoma Umano è stato pubblicato, i ricercatori pensarono di aver ottenuto la chiave per decifrare il corpo umano.

Al suo completamento nel 2003, erano stati identificati solo 21.000 geni, di gran lunga meno di quanto la maggior parte dei biologi prevedeva. Inoltre, i geni costituivano solo il 3% del DNA della cellula, lasciando biologi a chiedersi quale funzione, se del caso, il restante 97% aveva. Gli scienziati lo chiamarono DNA spazzatura: avanzi del nostro genoma che sembravano non servire a nulla. Un consorzio internazionale composto da centinaia di scienziati ora ha decifrato gran parte del linguaggio “strano” di questo DNA spazzatura, arrivando alla conclusione che non è affatto da buttare. Il progetto di ricerca chiamato Encode (Encyclopedia of DNA Elements), finanziato dal National Genome Research Institute (Nhgri) statunitense e dall’ European Bioinformatics Institute (Embl-Ebi) del Regno Unito, svela una nuova mappa del genoma umano. 

 I risultati ottenuti vengono descritti in 30 articoli, tutti open access, pubblicati da Nature e altre riviste. Le ricerche  si concentrano non solo sulla comprensione degli elementi del genoma, ma analizzano anche il modo in cui lavorano insieme. Attraverso più di 1.600 esperimenti, l'analisi di oltre 140 tipi di cellule e una massiccia quantità di analisi dei dati, il gruppo ha trovato circa 4 milioni di nuovi geni che fungono da interruttori on-off. Questa materia oscura del genoma contiene segnali importanti per la regolazione dei geni, determinando il rischio di malattie e molti degli altri aspetti complessi della biologia umana che rendono ognuno di noi diverso. "La complessità della nostra biologia non risiede nel numero dei nostri geni, ma negli interruttori di regolamentazione", spiega Eric Green, direttore del National Human Genome Research Institute e collaboratore del progetto ENCODE. 

Questi interruttori non solo attivano o disattivano geni, ma controllano anche la quantità di ogni proteina. Essi sono coinvolti in cambiamenti epigenetici come la metilazione del DNA, che è implicata in molte malattie come quelle cardiovascolari. I nuovi dati promettono di migliorare la nostra comprensione di molte malattie comuni che possono avere basi genetiche simili. La nuova «Enciclopedia degli elementi del DNA» (Encode) dimostra che tutto il 99% partecipa in qualche modo alla fabbricazione delle proteine, "il Progetto Genoma Umano ci aveva mostrato che soltanto il 2% del genoma contiene le istruzioni per fare proteine. Con Encode, ora sappiamo che circa l'80% è impegnato in qualche attività biochimica", ha detto Ewan Birney coordinatore delle analisi all'Embl-Ebi.

Questa nuova ricerca aiuta a spiegare finalmente come i geni pur essendo così pochi sono in grado di creare un organismo complesso come un essere umano.  

Autori: 
Sezioni: 
ENCODE

prossimo articolo

Alimentazione sostenibile: imparare dalla preistoria

Archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA) "--"

Il progetto  Onfoods in prehistory voleva comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.

Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).

Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.