fbpx Insetti resistenti agli OGM | Scienza in rete

Insetti resistenti agli OGM

Primary tabs

Read time: 3 mins

Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista PNAS i parassiti si stanno adeguando in modo inaspettato alle colture geneticamente modificate. Molte colture OGM sono state create per ridurre la quantità di pesticidi utilizzati per respingere gli insetti e larve che si nutrono delle loro controparti naturali. Piante di cotone e mais per esempio, sono state geneticamente modificate per produrre tossine derivanti dal batterio Bacillus thuringiensis (Bt).

Le tossine Bt uccidono gli insetti nocivi, ma sono innocue per la maggior parte delle altre specie, compreso l'uomo. Queste tossine sono stati utilizzate per decenni in spray dai coltivatori e dal 1996 ingegnerizzati in colture. Nel 2011, gli agricoltori di tutto il mondo hanno piantato 160 milioni di ettari di cotone Bt e mais Bt.

Nel corso del tempo, i ricercatori hanno notato che mutazioni genetiche, inizialmente rare, conferiscono resistenza alle tossine Bt. Questo tipo di adattamento si è andato ben presto diffondendo in un numero crescente di parassiti. Una strategia adoperata per combattere il meccanismo di adattamento dei parassiti è la creazione dei rifugi. I rifugi sono piante che non hanno un gene della tossina Bt e quindi permettono la sopravvivenza di insetti che sono suscettibili alla tossina. Ciò consente agli insetti che sono suscettibili di accoppiarsi con gli insetti resistenti. Vengono piantate nei pressi di colture Bt con l'obiettivo di “diluire” la popolazione di insetti resistenti con quella suscettibile, rendendo così improbabile che due insetti resistenti si accoppino e producano prole resistente. Ma questo tipo di strategia sembra non funzionare più; per cercare di capire quindi la causa dell’aumento della resistenza da parte dei parassiti Bruce Tabashnik, capo del Dipartimento di Entomologia presso l’Università dell’Arizona, insieme alla sua équipe ha studiato come i parassiti sviluppano la resistenza alle colture Bt in laboratorio e in natura. Lo studio è stato effettuato in Cina, uno dei parassiti presi in esame è il Helcoverpa armigera. "Vogliamo capire quali geni sono coinvolti nella resistenza, spiega Tabashnik, in modo da poter sviluppare in maniera proattiva strategie per sostenere l'efficacia delle colture Bt”.

I ricercatori hanno scoperto che mentre alcune mutazioni selettive in laboratorio si verificano anche nelle popolazioni selvatiche, altre mutazioni invece si differenziano nettamente da quelle osservate sperimentalmente. Sono state identificate infatti due mutazioni indipendenti, dominanti nelle popolazioni di parassiti in natura. Al contrario le mutazioni che conferiscono resistenza selezionate in laboratorio sono recessive.

“La resistenza dominante è più difficile da gestire e non può essere prontamente rallentata con la strategia dei “rifugi”, che sono particolarmente utili quando la resistenza è recessiva", ha spiegato Tabashnik. Gli insetti resistenti in natura nascono quindi da accoppiamenti tra insetti sensibili e resistenti. "Utilizzando metodi indiretti abbiamo cercato di prevedere cosa sarebbe successo in questo campo. Solo ora che la resistenza sta iniziando a comparire in molti luoghi è possibile esaminare in realtà la resistenza in natura. Penso che le tecniche utilizzate in questo studio saranno applicate a molte altre situazioni in tutto il mondo, e inizieremo a sviluppare una comprensione generale delle basi genetiche della resistenza" ha concluso Tabashnik.

Autori: 
Sezioni: 
Indice: 
Biotecnolgia

prossimo articolo

Alimentazione sostenibile: imparare dalla preistoria

Dimostrazione cottura preistorica

Il progetto  Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.

Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).

Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.