Nella zona subandina intorno a Santa Cruz, in Bolivia, si potrebbe verificare un terremoto tra gli 8,7 e gli 8,9 gradi di magnitudo, ben oltre la soglia dei 7,5 prevista nella regione. Il calcolo viene da un gruppo di geologi guidati da Benjamin Brooks, dell’Università delle Hawaii, a Honolulu, che ha usato i dati GPS per calcolare la velocità di movimento della superficie terrestre. I ricercatori hanno potuto così verificare un brusco rallentamento dei movimenti da ovest a est in una zona estesa tra i 60 e i 100 km, che si oppone ai movimenti delle placche adiacenti. Il terremoto che si potrebbe verificare, se l’energia accumulata si liberasse tutta insieme, sarebbe paragonabile a quello che ha colpito il Cile nel 2010. Ma a causa degli scarsi standard edilizi della zona, potrebbe produrre effetti ancora più disastrosi, paragonabili a quelli della catastrofe di Haiti.
Sotto le Ande non si sta al sicuro
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Come cominciano i terremoti

Analizzando i primi secondi delle onde P, le prime a essere registrate dai sismometri durante un terremoto, un gruppo di ricercatori ha mostrato che è possibile stimare la magnitudo del terremoto. Il loro risultato si aggiunge al lungo dibattito sulla natura deterministica dei fenomeni di rottura all’origine dei terremoti e dunque sulla loro prevedibilità e ha implicazioni per i sistemi di allerta sismica precoce.
Nell'immagine due geologi dell'USGS misurano una rottura di faglia causata dai terremoti di Ridgecrest in California nel 2019. Foto di Ben Brooks/USGS (CC0).
È possibile prevedere la magnitudo di un terremoto osservando le onde sismiche nei loro primissimi istanti? Gli scienziati dibattono da decenni intorno a questa domanda, che è centrale per la progettazione dei sistemi di allerta sismica precoce.
Uno studio pubblicato recentemente da un gruppo di sismologi dell'Università di Napoli Federico II mostra che è possibile, analizzando circa 7000 mila onde sismiche relative a 200 terremoti avvenuti in tutto il mondo con magnitudo tra 4 e 9.