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Armenise, la filantropia che onora la scienza

Titolo originale: 
Armenise, la filantropia che onora la scienza

 

Se non ci fosse Armenise bisognerebbe inventarla: una Fondazione, voluta dal conte Giovanni Armenise Auletta, dal 1996 eroga fondi per far riattecchire la ricerca in Italia. E come? Lo strumento principale è il Career Development Award, con il quale si finanziano con in media 200mila dollari all’anno per tre/cinque anni il rientro in Italia di un ricercatore da università straniere. Una commissione conduce una attenta selezione dei candidati nel momento in cui passano da Post Doctoral Fellow a Principal Investigator, con una dotazione che permette loro di tornare in centri di eccellenza italiani costituendo un loro laboratorio o comunque dando le risorse necessarie per continuare le loro ricerche a un livello adeguato.
Nei diciotto anni di attività la Fondazione Armenise Harvard ha già finanziato 19 Awards, e parte di questi ricercatori erano presenti a Palazzo Giustiniani il 10 novembre a raccontare la loro storia.
A partire da Stefano Gustincich, che dopo dieci anni di Harvard Medical School a Boston è tornato grazie all’Award a lavorare in Italia, alla Sissa di Trieste, dove ha proseguito gli studi di genomica delle cellule cerebrali, e in particolare dei neuroni dopaminergici, con risultati di assoluto rilievo.
Fra l’altro, gli studi di Gustincich han gettato nuova luce sul cosiddetto genoma spazzatura, in realtà tutt’altro che da buttare e di cui solo in questi anni si sta capendo l’importanza, per esempio nella modulazione della produzione di proteine. Gustincich ha poi passato il testimone a Claudia Lodovichi, che dopo anni di studio sul sistema olfattivo a Durham (North Carolina) e a New York, è tornata al VIMM di Padova. Studiando il complesso sistema recettoriale delle cellule olfattive, Claudia mette l’accento sullo stretto legame dell’olfatto con la memoria, e forse anche per questo il sistema olfattivo viene colpito precocemente in coloro che poi svilupperanno malattie neurodegenerative. Segno che forse le cellule dell’olfatto possono diventare marker per la diagnosi precoce di queste malattie.
Stefano Casola invece viene da Napoli, dove dopo esseri laureato in medicina prende il volo prima per la Germania e  poi per Harvard al seguito del grande immunologo Klaus Rajewsky, a studiare le basi genetiche di lifociti B e del linfoma. Fino a quel click sul computer che lo mette in contatto con la Fondazione Armenise Harvard, grazie alla quale torna in italia per lavorare all’IFOM, un centro di ricerca biomedica d’avanguardia a Milano.
L’ultima storia ce la racconta in un italiano incerto ma eloquente l’olandese Eelco Van Anken, che dopo quattro anni di Stati Uniti sfrutta il grant dell’Armenise per andare a lavorare al san Raffaele di Milano, dove si occupa di segnali intracellulari, soprattutto nel campo delle cellule B, e di come funziona il sistema che nel reticolo endoplasmatico innesca la produzione di anticorpi in caso di necessità. Non solo rientro di cervelli italiani, ma anche timidi segnali di import di cervelli stranieri.

Quattro storie in rappresentanza dei molti altri in sala, capaci di trasmettere l’emozione di carriere scientifiche esemplari, che dopo essere state fecondate dal contatto con i vertici della ricerca mondiale negli Stati Uniti trovano il modo di tornare in Italia, dando un po’ di ossigeno alla nostra ricerca. Un tratto comune a tutti, l’aver fatto fruttare il finanziamento Armenise in nuovi grant italiani e internazionali, e la voglia di ripagare questo aiuto migliorando il panorama della ricerca scientifica italiana, sia attraverso il proprio lavoro sia attraverso la formazione. 
In una platea composta da ricercatori e alcuni senatori, Elena Cattaneo ha aperto i lavori con alcune riflessioni sulla diversa incidenza della filantropia nei finanziamenti della ricerca di base in diversi paesi (dal 1,67% degli USA allo 0,10% italiano) e degli ostacoli burocratici che ancora si frappongono alle donazioni private.
Il MIUR, rappresentato da Mario Calderini, sembra aver raccolto l’invito ad occuparsene, mentre il presidente dell’Italian Advisory Committee della Fondazione Marino Zerial  ha raccontato di come in altri paesi (fra cui la Germania, dove lavora come direttore del Max Planck Institut di Dresda) la politica lavori attivamente per creare ponti fra industria e ricerca. “Siamo alla vigilia di una ennesima rivoluzione scientifica in campo biomedico” ha spiegato, "basata sulle cellule staminali, il genome editing, le nuove tecniche di microscopia e la biologia dei sistemi.
L'industria ha capito queste innovazioni e ha ricominciato a investire in ricerca di base, soprattutto negli Stati Uniti.
La politica può catalizzare questa alleanza fra università e industria anche in Italia”. Anche da noi ci sono molte isole di eccellenza, ma impossibilitate a crescere ed espandersi da un sistema che resta soffocante (Cattaneo), e dalla mancanza di una regia che guidi il cambiamento, come ha concluso dal pubblico Giuliano Buzzetti del Gruppo 2003.
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