fbpx Una rete di geni che alimenta il tumore al seno | Scienza in rete

Una rete di geni che alimenta il tumore al seno

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Un gruppo di giovani ricercatori dell'Istituto Regina Elena di Roma, coordinate da Giovanni Blandino, ha individuato una rete di geni, alcuni già famosi, come il p53, altri meno noti, che interagiscono tra loro per la formazione di nuovi vasi e quindi per garantire le forniture indispensabili alla sopravvivenza del tumore della mammella, alla sua diffusione e metastasi. Il lavoro è pubblicato oggi su Nature Structure Molecular Biology.

geni mutantiNegli ultimi anni l'attenzione dei ricercatori si è sempre più soffermata sull'angiogenesi come fase cruciale della crescita tumorale e molti dei farmaci più innovativi messi a punto in questo campo agiscono su questo meccanismo cruciale. Questi farmaci sono utilizzati in combinazione con agenti chemioterapici capaci di uccidere o di inibire la crescita delle cellule tumorali. In questo modo si esercita una doppia azione: la prima diretta all'eliminazione della principale fonte di sostentamento e di diffusione del tumore (la rete vascolare), la seconda volta all'inibizione della proliferazione del tumore stesso.

La caratterizzazione di nuovi meccanismi alla base dell'angiogenesi tumorale è quindi fondamentale per l'identificazione di molecole da utilizzare come nuovi bersagli terapeutici, sia per gli agenti antitumorali già esistenti sia per lo sviluppo di nuovi farmaci mirati.

In particolare, il gruppo formato da ricercatori contratti dell'Istituto Regina Elena e AIRC, tra cui Giulia Fontemaggi, Stefania dell'Orso e Daniela Trisciuogli, ha identificato un network di geni, (p53, E2F1, ID4, IL8 e GRO-alpha) che contribuiscono all'aumento della capacità angiogenica dei tumori al seno. Il gene P53 è mutato con frequenza variabile nella maggioranza dei tumori e presenta alta frequenza di mutazioni in alcuni sottotipi di tumore al seno.

Lo studio dimostra che nelle cellule tumorali della mammella la proteina mutata p53 ed E2F1 cooperano portando alla iper-produzione di ID4, un'altra proteina; quest'ultima è in grado di legare e stabilizzare gli RNA necessari per la formazione di fattori pro-angiogenici (IL8 e GRO-alpha), aumentando in questo modo la capacità delle cellule tumorali di richiamare vasi sanguigni.

Interessante è anche il metodo utilizzato dai ricercatori romani per arrivare a questo risultato: si tratta dei microarray, che permettono di capire in ogni momento quali sono i geni "accesi" e quelli "spenti". Questo sistema, disponibile nel Laboratorio di oncogenomica traslazionale, appartiene alla categoria delle così dette tecnologie ad ampio spettro e permette di studiare l'espressione di decine di migliaia di geni contemporaneamente e in tempi molto rapidi.

Ed è proprio utilizzando questo tipo di tecnologie che i ricercatori del Regina Elena intendono proseguire questa linea di ricerca. L'obiettivo è, infatti, quello di identificare altri RNA (oltre all'IL8 e al GRO-alpha) controllati da ID4, in modo da ampliare il più possibile la conoscenza dei meccanismi responsabili dell'angiogenesi tumorale nella mammella.

Nature Structure Molecular Biology Published online: 27 September 2009 | doi:10.1038/nsmb.1669

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La Valle dei dinosauri ritrovata nel Parco dello Stelvio

parete di roccia

Nel cuore delle Alpi, a 2500 metri di quota, si conserva la memoria di un mondo perduto. Pareti quasi verticali di Dolomia Principale, un tipo di roccia sedimentaria, custodiscono migliaia di impronte lasciate 210 milioni di anni fa da dinosauri erbivori che camminavano lungo le rive di un mare tropicale ormai scomparso. Una scoperta eccezionale, avvenuta nel Parco Nazionale dello Stelvio, che apre una finestra senza precedenti sul Triassico europeo e sulla vita sociale dei primi grandi dinosauri.

Prima della formazione delle Alpi, qui esisteva un paesaggio incredibilmente differente. Immaginate una distesa tropicale pianeggiante, lambita dalle acque di un oceano poco profondo e ormai scomparso che oggi chiamiamo Tetide, con un clima che non aveva nulla a che vedere con le vette gelide di oggi. Proprio in questo luogo tanto diverso dall’attualità, 210 milioni di anni fa, il fango soffice ha registrato il passaggio di svariati giganti: si trattava di prosauropodi, dinosauri erbivori dal collo lungo, che si muovevano in branchi lungo le rive di un'antica piattaforma carbonatica.