Una rettosigmoidoscopia con strumento flessibile, eseguita una sola volta nella vita, potrebbe bastare a ridurre l’incidenza e la mortalità del tumore del colon. Lo studio italiano SCORE, condotto in sei diversi centri reclutando quasi 35.000 adulti tra i 55 e i 64 anni, ha infatti confermato l’efficacia di questa strategia di screening, già dimostrata con una ricerca analoga effettuata nel Regno Unito. Il gruppo dei possibili partecipanti è stato scremato dagli oltre 56.000 che avevano risposto a una richiesta di partecipazione inviata per posta a più di 236.000 persone. A metà dei partecipanti è stata offerta una rettosigmoidoscopia con strumento flessibile che poi è stata effettivamente eseguita in poco meno di 10.000 di loro; gli altri hanno costituito un gruppo di controllo. «Dopo un follow up di oltre 10 anni abbiamo registrato nel gruppo di intervento con un’analisi intention-to-treat un’incidenza di carcinomi del colon-retto significativamente inferiore del 18 per cento rispetto ai controlli e una riduzione di mortalità che non ha raggiunto la soglia di significatività, ma che è risultata del 22 per cento inferiore ai controlli» spiega Luigi Bisanti, direttore del Servizio di epidemiologia dell’ASL Città di Milano, che ha partecipato al lavoro. «Con l’analisi per-protocol il vantaggio è risultato ancora più evidente ed entrambi i valori, con un calo rispettivamente del 31 e del 38 per cento, sono risultati significativamente ridotti rispetto al gruppo di controllo». Questo approccio semplificato allo screening per il tumore del colon sembra quindi efficace: un’ulteriore analisi dei costi dovrà ora confrontarlo con quello attualmente in vigore in Italia, che prevede una prima fase con la ricerca di sangue occulto nelle feci e la colonscopia nei casi risultati positivi, o con la tendenza, diffusa soprattutto negli Stati Uniti, a effettuare in prima battuta la colonscopia, più invasiva e fastidiosa della sigmoidoscopia flessibile.
SCORE a favore della sigmoidoscopia
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La Valle dei dinosauri ritrovata nel Parco dello Stelvio

Nel cuore delle Alpi, a 2500 metri di quota, si conserva la memoria di un mondo perduto. Pareti quasi verticali di Dolomia Principale, un tipo di roccia sedimentaria, custodiscono migliaia di impronte lasciate 210 milioni di anni fa da dinosauri erbivori che camminavano lungo le rive di un mare tropicale ormai scomparso. Una scoperta eccezionale, avvenuta nel Parco Nazionale dello Stelvio, che apre una finestra senza precedenti sul Triassico europeo e sulla vita sociale dei primi grandi dinosauri.
Prima della formazione delle Alpi, qui esisteva un paesaggio incredibilmente differente. Immaginate una distesa tropicale pianeggiante, lambita dalle acque di un oceano poco profondo e ormai scomparso che oggi chiamiamo Tetide, con un clima che non aveva nulla a che vedere con le vette gelide di oggi. Proprio in questo luogo tanto diverso dall’attualità, 210 milioni di anni fa, il fango soffice ha registrato il passaggio di svariati giganti: si trattava di prosauropodi, dinosauri erbivori dal collo lungo, che si muovevano in branchi lungo le rive di un'antica piattaforma carbonatica.