Le onde gravitazionali previste teoricamente da Albert Einstein possono contribuire a studiare più in dettaglio l'evoluzione dei buchi neri supermassicci. Una ricerca pubblicata sull'ultimo numero di Science, condotta da Ryan Shannon e Vikram Ravi dall'International Center for Radio Astronomy Reserach (ICRAR) descrive, infatti, i primi risultati di un nuovo strumento di misura in grado di fare chiarezza sul perché i buchi neri sono così grandi (possono raggiungere un'estensione pari a circa quattro milioni di volte la nostra stella).
“I buchi neri sono quasi impossibili da osservare direttamente, ha spiegato Ramesh Bhat dell'ICRAR, "Con questo nuovo potente strumento possiamo però fare enormi passi avanti in astronomia, andando oltre il modello condiviso di come i buchi neri si sviluppano e crescono”.
Per aggirare il limite all'osservazione imposto dalla natura stessa dei buchi neri, i ricercatori sono passati per un altro importante evento cosmico che li vede protagonisti: la collisione tra galassie. In questo caso, infatti, anche i buchi neri contenuti al loro interno entrano in collisione, generando delle onde gravitazionali a bassa frequenza, ovvero quelle increspature nella tessitura dello spazio-tempo che subiscono variazioni rilevanti solo quando incrociano corpi cosmici con massa sufficientemente elevata, come i buchi neri.
E' a questo punto che entra in gioco il Radiotelescopio di Parkes, costruito per osservare in particolare le Pulsar. Quest'ultime sono oggetti che nell'osservazione del cosmo possono funzionare in modo estremamente sensibile e preciso per la misura dei tempi di percorrenza di impulsi (con un margine di errore di un decimo di microsecondo). Nel caso in cui intervengano onde gravitazionali, la curvatura dello spazio tempo subisce alterazioni, e Parkes è in grado quindi di intercettarle.
Per ora, i dati incrociati con le osservazioni del PPTA (Parker Pulsar Timing Array) rappresentano solo un primo passo, soggetto a un limite statistico utile però a stimare la consistenza teorica delle ipotesi. Si tratta, infatti, di un dataset raccolto in circa vent'anni di attività della collaborazione PPTA, un periodo ancora breve per giungere a delle conclusioni: "La forza di un’onda gravitazionale dipende da vari fattori, come il tempo che impiegano i buchi neri a fondersi quando le galassie collidono, la loro massa e quanto lontano sono da noi. Se il livello di fondo delle onde gravitazionali osservato con PPTA è basso, ci può essere un limite su uno o più di questi fattori”, ha precisato Bhat.
Dei quattro modelli teorici di crescita testati, lo studio ha scartato solo uno perchè non consistente con i dati sperimentali (la crescita a seguito della sola fusione di due galassie). Una futura collaborazione con il Murchison Widefield Array (MWA) potrà aiutare a fare ulteriore chiarezza.
