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Un gene contro la pandemia

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Nell’ultimo numero di Nature è descritto uno studio di un team di ricercatori dell’Università di Edimburgo e del Wellcome Trust Institute di Cambridge che aiuta a fare luce sulla diversificazione degli effetti dell'influenza sulle persone e i loro sistemi immunitari. IFITM3 (Interferon-inducible trans membrane), è un gene che, se privato di una certa classe di proteine, consente al virus di agire più velocemente di tessuto in tessuto 

Paul Kellam del Wellcome Trust e i colleghi ricercatori hanno rimosso IFTM3 da topi, dimostrando come i sintomi del virus influenzale risultino molto più accentuati, riuscendo a trasformare un caso di infezione lieve in una potenzialmente fatale. Per una conferma anche in soggetti umani, il team di Cambridge hanno sequenziato il gene in individui ricoverati per aver contratto il virus pandemico del 2009, l'H1N1, osservando delle forme alterate del gene IFTM3 - solitamente rare in soggetti normali. La conseguenza di quest'anomalia è la produzione della proteina che inibisce il virus più corta, esponendo in modo più sensibile le cellule dei pazienti all'infezione. La descrizione di questo gene contribuisce in modo importante alle auspicabili forme di prevenzione e di vaccinazione per i soggetti a rischio, indentificabili attraverso l'analisi del DNA.

Per approfondimenti: IFITM3 restricts the morbidity and mortality associated with influenza

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Il progetto  Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.

Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).

Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.