Quali siano le origini del sentimento che proviamo nei confronti di individui in difficoltà è materia complessa, ma un recente studio osservativo sui bonobo, pubblicato su Plos One il 30 gennaio, contribuisce a far luce su alcuni aspetti. Zanna Clay e altri ricercatori della Emory University di Atlanta (Georgia, Stati Uniti) hanno scoperto che la capacità di provare empatia - quindi di immedesimarsi nell’altro - e la propensione alla consolazione non nascono necessariamente da capacità cognitive avanzate, come si potrebbe pensare, ma che un fattore fondamentale nel loro sviluppo è invece la presenza di una relazione parentale stabile.
Lo
studio ha monitorato giovani bonobo, grandi scimmie note per la vicinanza
filogenetica con gli esseri umani, che popolano il santuario di Lola ya Bonobo nella Repubblica
Democratica del Congo. I bonobo erano di età compresa fra i tre e i sette anni
(corrispondente al periodo che va dall’età pre-scolastica alla scuola primaria
per gli esseri umani). La maggior parte di loro sono orfani, perché i genitori sono
stati vittime di caccia; altri, invece, sono stati allevati dalle madri
biologiche.
Considerando
gli oltre 350 conflitti insorti tra i membri del gruppo nel corso di diversi
mesi, i ricercatori hanno osservato che, spesso, bonobo che avevano assistito
allo scontro si avvicinavano allo “sconfitto” per confortarlo, con abbracci,
baci, carezze, e talvolta comportamenti sessuali; e la consolazione aveva
l’effetto di alleviare lo stress del destinatario.
Ebbene,
l’atto di consolare si osservava con maggiore frequenza nei bonobo più giovani,
smentendo l’assunto che si basi su meccanismi cognitivi avanzati, che emergono
solo con l’età. I bonobo orfani, d’altra parte, erano meno predisposti a
offrire conforto, a indicare che un legame parentale stabile favorisce lo
sviluppo del comportamento di consolazione.
Ricerche future si concentreranno più nel dettaglio sull’emergere del comportamento di consolazione nei bonobo nei primi stadi di vita.
