L'annuncio del team responsabile nei Laboratori del Gran Sasso del rilevatore OPERA scatena – come è giusto che sia, vista la portata epocale della scoperta – una valanga di reazioni e di domande su come potrebbe cambiare la fisica. Accanto all'atteggiamento pacato dei ricercatori si registra anche quello di chi ipotizza a breve la rottamazione della Relatività e una clamorosa imminente revisione della fisica. Ma è davvero così?
Una semplice occhiata alle pagine online che le riviste Science e Nature dedicano alla scoperta e ai numerosi interventi che la commentano ci può dare un'idea dell'interesse che ha destato e di quanto il dibattito sia acceso. Non è cosa da poco scoprire che uno dei fondamenti della fisica, cioè l'esistenza di una velocità limite finora individuata nella velocità delle onde elettromagnetiche, potrebbe non essere più valido. Come minimo ne verrebbe la necessità di un aggiustamento, ma non basterebbe certo attribuire ai neutrini la maglia dei più veloci per uscire dall'empasse.
Davvero molto complicato raccontare a quale nuova fisica potrebbero portarci quei 60 nanosecondi di anticipo dei neutrini partiti da Ginevra e rilevati nelle viscere del Gran Sasso. Complicato e, per il momento, probabilmente fuori luogo. Chi mastica anche solamente un po' di scienza sa bene quante volte in passato si è puntato il dito verso un possibile errore nella teoria di Einstein, salvo poi dover fare inevitabilmente ammenda. Il rischio che anche questa volta possa succedere qualcosa di simile è dunque molto elevato.
Non per nulla, molto intelligentemente, i ricercatori di OPERA concludono il loro studio dicendo che “nonostante la grande significatività della misura riportata e la stabilità dell'analisi, il potenziale grande impatto del risultato motiva la continuazione dei nostri studi per investigare possibili effetti sistematici ancora sconosciuti che potrebbero spiegare l'anomalia osservata. Deliberatamente evitiamo di suggerire una spiegazione teorica o fenomenologica dei risultati.” Davvero riduttivo, però, spiegare questa astensione del team dal pronunciarsi sulle possibili conseguenze solamente con il timore di un possibile smacco. Si intravvedono ragioni ben più profonde, e squisitamente scientifiche. Si legge soprattutto l'atteggiamento che, da Galileo in poi, deve animare ogni ricercatore, pronto a sottoporre i suoi dati e il suo metodo al giudizio di altri ricercatori (è il principio di falsificabilità).
Il cuore dell'intera faccenda sta proprio nella validità scientifica del metodo utilizzato e nella conseguente correttezza dei dati sperimentali. Non è un caso che sia proprio la descrizione dei metodi impiegati e l'analisi dei possibili errori a fare la parte del leone nelle pagine dello studio. Volendo farla semplice, la rilevazione della velocità di quei neutrini è venuta dalla determinazione della distanza tra la loro sorgente a Ginevra e il rilevatore sotto il Gran Sasso e la misurazione del tempo impiegato a percorrerla. Dietro questa semplice coppia di misurazioni, però, vi sono problemi incredibilmente complessi ed è sulla affidabilità delle soluzioni adottate per superare quei problemi che si gioca la vera partita. Chi, spaventato dallo studio davvero molto tecnico, avesse comunque voglia di metterci il naso, può trovare in questa pagina di Marco Delmastro, fisico delle particelle al CERN, un'ottima e completa spiegazione dell'esperimento.
Con la conferenza di presentazione dei risultati di OPERA, dunque, si è ufficialmente aperta la caccia al possibile errore – sempre ammesso che ci sia. Una caccia che, vista la posta in palio, si può star certi coinvolgerà un gran numero di ricercatori. Diventerà ancora più nervosa, inoltre, l'attesa per i risultati che potrebbero venire dagli altri due esperimenti simili a OPERA, quello giapponese chiamato T2K (Tokai to Kamioka), che chiama in causa il rilevatore Super-Kamiokande, e quello in corso in Minnesota, dove i rilevatori dell'esperimento MINOS (Main Injector Neutrino Oscillation Search) aspettano al varco i neutrini generati in Illinois dall'acceleratore del Fermilab.
A complicare ulteriormente la situazione, comunque, ci pensa fin d'ora l'esplosione di una stella registrata nel febbraio 1987. In occasione dell'osservazione della supernova 1987A, esplosa nella Grande Nube di Magellano a circa 168 mila anni luce dalla Terra, è stato infatti rilevato l'arrivo anticipato dei neutrini prodotti nell'evento rispetto ai fotoni, ma tale anticipo è stato egregiamente ricondotto alla mancanza di ostacoli per i neutrini nel loro percorso all'interno della stella. Non era necessaria, insomma, nessuna velocità superluminale. Se, però, le osservazioni di OPERA trovassero conferma, saremmo di fronte a un vero enigma. Quei 60 nanosecondi di anticipo sui 732 km che separano Ginevra e il Gran Sasso diventerebbero, considerando la distanza di 1987A, circa quattro anni e si dovrebbe capire come mai venticinque anni fa i neutrini non abbiano avuto tanta fretta. D'accordo, i neutrini coinvolti nelle due vicende non sono dello stesso tipo, ma il problema si porrebbe ugualmente e la soluzione non sarebbe così immediata.
Curiosamente – ci si perdoni in chiusura un po' d'ironia – l'accuratezza delle misure delle distanze in gioco nell'esperimento OPERA si basa sull'impiego di sofisticati sistemi GPS, sistemi resi affidabili solamente grazie all'impiego delle formule della Relatività. Che dire dunque se si dovesse scoprire che a rendere obsoleta la Relatività è proprio la Relatività stessa? Il passo verso la fantascienza è così breve...
