Il Tavolo che non c'è: per orientare innovazione e investimenti fra aree diverse della medicina
Roma, 25 novembre 2013
Piazzale Aldo Moro 7, Aula Convegni
Nelle istituzioni e nel sistema sanitario nazionale, abbondano i tavoli nei quali il dato economico è perennemente al primo punto dell’ordine del giorno: basti pensare alle necessità innescate dalla spending review e al dibattito estesissimo (ed ai provvedimenti) che ne sono scaturiti. In genere, in questi gruppi di lavoro, si confrontano interventi confinati nelle diverse aree della medicina (soprattutto in tema di innovazione) con i rispettivi impatti economici.
In teoria, si riconosce ovunque che il “beneficio clinico”, ossia il risultato dei vari interventi preventivi o terapeutici espresso come “quantità di salute guadagnata”, rappresenta il criterio che guida – o che dovrebbe guidare – l’allocazione delle risorse. Poi però, in pratica, manca una prospettiva clinica che, trasversalmente alle diverse aree della medicina, discuta e “metta in competizione tra loro” i benefici attesi dai vari interventi terapeutici; ciò vale soprattutto in tema di nuove tecnologie, nuovi farmaci, nuovi percorsi diagnostico-terapeutici ecc. In altre parole: si ottiene più “salute” spendendo un milione di euro nelle numerose terapie targeted destinate ai pazienti oncologici oppure spendendo la medesima cifra nell’interventistica cardiologica basata sugli altrettanto numerosi stent ad impianto percutaneo?
“L'oncologia”, osserva Filippo de Braud, “rappresenta storicamente il settore che per primo ha affrontato il problema dell'escalation del costo della terapia farmacologica, dovendolo pesare nei riguardi del beneficio aggiuntivo prodotto dai nuovi farmaci. In questa veste di "area modello" per lo sviluppo delle analisi costo-efficacia, l'oncologia ha potuto usufruire di un grande contributo di ideazione e proposte condivise da parte degli oncologi stessi; ma si è pure giovata del fatto che l'indicatore clinico della sopravvivenza era (ed è) facile da misurare e, al tempo stesso, ben rappresentativo degli esiti. Tuttavia, sta emergendo la necessità di valutare una strategia terapeutica e non più solo un farmaco, riducendo la differenza tra l'Oncologia e le altre patologie in cui la misurazione degli esiti è multifattoriale e, proprio per questo, risulta gravata da una ben maggiore complessità”.
Sul recente sviluppo di farmaci innovativi contro l'epatite C e sui problemi di governance economica che ne sono scaturiti, Antonio Gasbarrini commenta: “Si è trattato di un caso pressoché privo di precedenti: la disponibilità, quasi improvvisa, di un gruppo di farmaci nuovi e nuovissimi, capaci di guarire la maggioranza dei pazienti e, nel contempo, la necessità di reperire l'extra-budget richiesto per sostenere questa nuova spesa, senza poter attingere alle disponibilità storiche assegnate all'epatologia”.
Americo Cicchetti aggiunge che, “Proprio nel campo dell’epatologia, l'applicazione delle metodologie di Health Technology Assessment ha trovato finalmente un positivo campo di applicazione pratica, in cui si è riusciti a concertare tra istituzioni, AIFA, epatologi ed associazioni di pazienti un percorso di accesso al farmaco e di sostenibilità, quanto più condiviso possibile tra tutti i diretti interessati”.
Aldo P. Maggioni sostiene che “Nonostante i progressi ottenuti negli ultimi venti anni in ambito di trattamento delle patologie acute cardiovascolari e di prevenzione secondaria, rimangono aree di incertezza terapeutica in particolare per i pazienti con scompenso cardiaco acuto e per la proporzione, non irrilevante, dei non-responder alle terapie già in uso. Numerosi farmaci e device sono in sperimentazione in queste aree e la loro disponibilità dovrebbe essere auspicabilmente vicina. Dati i previsti elevati costi, la sostenibilità dell’adozione di queste strategie innovative non potrà passare che da un risk-sharing attuabile solo attraverso l’istituzione di registri specifici capaci di valutare gli out come terapeutici”.
Quesiti e riflessioni come tutte quelle sopra elencate dovrebbero essere indirizzate a un … “tavolo che non c’è”, dove la competizione fra trattamenti oncologici, cardiologici, metabolici, interventi di prevenzione etc. dovrebbe dar luogo ad una sorta di graduatoria di merito (focalizzata analiticamente sui singoli interventi), in cui il “merito” è misurato in termini di quantità di salute guadagnata e la ricompensa economica si gioca nel conseguente “priority setting”.
L'opinione di Andrea Messori è che “Questo processo di valutazione economica sempre più rigorosa dei nuovi trattamenti è stimolato proprio dall'attuale periodo di crisi economica. Un'esigenza che in questo periodo si pone con forza è, infatti, proprio esportare i modelli di valutazione già sperimentati nell'oncologia verso aree terapeutiche, meno esplorate in termini di costo-efficacia, nelle quali è in gioco non solo la quantità, ma anche la qualità della sopravvivenza”.
Serve un dibattito clinico impostato con grande onestà intellettuale e, soprattutto, “senza difese d’ufficio” delle priorità disciplinari; un dibattito fra clinici disposti a definire il grado di maturità (o meno) delle soluzioni terapeutiche disponibili nei settori in cui operano e a sostenere la necessità di nuovi investimenti nell’innovazione, solo se realmente indispensabili in un contesto di risorse limitate.
Ele Ferrannini osserva: “Patologie croniche come il diabete e l’obesità stanno assumendo proporzioni epidemiche, sono tipicamente associate a comorbilità multiple (es. ipertensione, dislipidemia), relativamente resistenti al trattamento e antesignane di complicanze micro e macrovascolari invalidanti. Rappresentano una sfida per la sanità preventiva, per il processo terapeutico e per l’economia”.
Paolo M. Rossini ricorda peraltro, per quanto attiene alle patologie del sistema nervoso centrale, che “Le malattie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson etc.) da una parte pongono una sfida per la diagnosi pre-sintomatica – essendo documentato un lungo periodo di malattia durante il quale la “riserva neurale” permette il pieno mantenimento delle funzioni – dall’altra suggeriscono un approccio innovativo al trattamento misurabile anche come estensione del periodo di autosufficienza”.
Fa notare infine Gian Franco Gensini che “Per affrontare le impressionanti sfide che ci attendono nella medicina di domani, l'innovazione non potrà solo rivolgersi a farmaci e tecnologie specifiche per singole patologie, ma dovrà comprendere approcci diagnostico-terapeutici trasversali, quale quello della telemedicina e del coinvolgimento attivo e consapevole del paziente nei processi di cura, nel nuovo contesto culturale della medicina di sistema”.
Su questi temi si svolgerà la discussione nel corso dell’evento “IL TAVOLO CHE NON C’È: per orientare innovazione e investimenti tra aree diverse nella medicina” in programma a Roma al CNR, il 25 novembre 2013 con la regia scientifica e organizzativa di Giuliano Buzzetti.
