La sorte degli emofilici potrebbe cambiare: dopo una sola infusione di materiale genetico veicolato da un adenovirus, sei malati hanno visto alzare i propri tassi ematici del fattore di coagulazione di cui erano privi, in quattro casi a livelli sufficienti per sospendere il trattamento sostitutivo senza andare incontro a emorragie. Ma – ed è questa la novità più importante rispetto ad altri tentativi precedenti – è rilevante soprattutto il fatto che l’effetto della terapia genica è durato per più di un anno, mentre in passato non si riusciva a conservare l’efficacia della cura per più di qualche settimana. Sono molti i gruppi di ricerca che lavorano sulla possibilità di curare l’emofilia con la terapia genica: la classica emofilia B, in particolare, in cui la carenza del fattore IX della coagulazione è legata a un difetto genico legato al cromosoma X, è sempre parso un modello ideale per sperimentare la terapia genica. Ma nessuno prima d’ora aveva ottenuto risultati così brillanti come quelli riferiti dai ricercatori del Cancer Institute dello University College of London e del St. Jude Children's Research Hospital di Memphis, nel Tennesse, che hanno pubblicato il loro lavoro sul New England Journal of Medicine, mentre lo presentavano al Congresso dell’American Society of Hematology di San Diego. I sei pazienti, colpiti da forme gravi della malattia, sono stati divisi in tre gruppi destinati a dosi basse, intermedie o elevate di materiale genico: solo nei due malati trattati ad alte dosi si è rilevato un aumento transitorio e asintomatico delle transaminasi epatiche, regredito con terapia steroidea. Ma questo ancora non basta a decretare la sicurezza del trattamento, che dovrà essere sottoposto a trial ben più ampi prima di essere proposto come alternativa alla terapia sostitutiva, che nei casi più gravi richiede due-tre infusioni settimanali per un costo annuale di circa 250.000 dollari.
Basta un'infusione l'anno?
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Emofilia
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La migrazione sanitaria in Italia, spiegata bene

Periodicamente la mobilità sanitaria, cioè il trasferimento delle persone dalla propria Regione a un’altra per ricevere le cure di cui hanno bisogno approda sui media con toni apocalittici. Ma di che cosa parliamo? E quali sono gli aspetti davvero problematici capaci di generare costi ingiustificati e diseguaglianze?
Il fenomeno della migrazione sanitaria definisce lo spostamento di cittadini da una Regione all’altra per ricevere assistenza. Il termine tecnico che la definisce è però mobilità sanitaria. Probabilmente il termine migrazione trova largo uso perché giornalisticamente più accattivante e perché caratterizza meglio la componente più significativa dei flussi di mobilità: lo spostamento massiccio di pazienti dal Sud al Nord.