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Anticoagulanti per le radiazioni

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Due farmaci anti-coagulanti, già utilizzati per l'uso negli esseri umani, possono avere un ruolo sorprendente nel trattamento di malattie provocate dalle radiazioni. Lo studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine, apre una nuova strada per comprendere e trattare gli effetti dell'esposizione alle radiazioni. E’ passato un anno dall’incidente nucleare di Fukushima, è rimane sempre alta la preoccupazione per la mancanza di trattamenti per avvelenamento da radiazioni. Gli effetti dell'esposizione ad alte dosi di radiazioni sono istantanei e irreversibili, portano alla distruzione dell'intestino e la perdita di cellule del midollo osseo, con danneggiamento della produzione delle cellule del sangue e del sistema immunitario. I pochi farmaci utilizzati contro gli avvelenamenti da radiazioni hanno numerosi effetti collaterali e devono essere presi nel più breve tempo possibile dopo l’esposizione.

Hartmut Geiger, biologo presso il Cincinnati Children Hospital Medical Center in Ohio, e suoi colleghi hanno scoperto una strategia terapeutica che può essere distribuita fino a 24 ore dopo l'esposizione alle radiazioni. "La maggior parte della gente pensa che la partita è finita dopo aver il danno", spiega Geiger. "Ora, sappiamo che è possibile modificare questo". I due composti utilizzati sono la trombomodulina (Thbd), attualmente utilizzato per prevenire la trombosi e la proteina C attivata (APC). Il percorso Thbd-APC è normalmente conosciuto per la sua capacità di prevenire la formazione di coaguli di sangue e nel contribuire a combattere le infezioni. In presenza di trombomodulina, generata dalla coagulazione, la proteina C si converte nella forma attiva, detta appunto proteina C attiva. Grazie a questa modificazione strutturale, la proteina C attiva acquisisce un'attività pro-fibrinolitica, ovvero favorisce la dissoluzione del coagulo. Lo studio rivela però una nuova funzione  del complesso Thbd-APC. I ricercatori hanno infatti, trovato che la via attivata aiuta le cellule del sangue del midollo osseo a recuperare da un danno causato da esposizioni alle radiazioni. Negli esperimenti condotti dal gruppo di Geiger, il trattamento dei topi con entrambi i farmaci ha portato a un aumento di circa otto volte delle cellule del midollo osseo deputate alla produzione di globuli bianchi, e a un miglioramento dei tassi di sopravvivenza dei topi trattati con dosi letali di radiazioni.

I risultati sono stati ottenuti grazie alla collaborazione del gruppo di Hartmut Weiler del Blood Center of Wisconsin di Milwaukee. In uno degli esperimenti 48 topi sono stati esposti  a un alto tasso di radiazioni. Dopo 24 ore e 48 ore, a 30 topi è stata iniettata la proteina C attivata. A 30 giorni, solo il 30% dei topi non trattati erano sopravvissuti, mentre il 70% dei topi  a cui era stata data la proteina C attivata erano ancora vivi. Anche la trombomodulina aumenta la sopravvivenza, ma deve essere somministrata entro 30 minuti dalla esposizione alle radiazioni per essere efficace. In tutti i casi di trattamento con Thbd o APC, ha avuto come risultato l’accelerato recupero dell'attività delle cellule progenitrici ematopoietiche nel midollo osseo e una riduzione degli effetti dannosi provocati dalle radiazioni. Quando si è utilizzata l’APC, i benefici si sono verificati anche con un trattamento ritardato di 24 ore. Non sono stati ancora condotti studi utilizzando l'intera gamma delle dosi di radiazione, ma questo è un primo tentativo che apre nuove possibilità per potenziali bersagli farmacologici.

Questi composti si vanno ad aggiungere a una gamma sempre più crescente di farmaci anti-radiazioni che sono attualmente oggetto di studio. L'anno scorso infatti, ricercatori della Harvard Medical School di Boston, hanno individuato una potente combinazione di un antibiotico e una proteina che potrebbe scongiurare infezioni indotte da radiazioni. 

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