fbpx L’impresa sportiva ai tempi del dominio tecnologico | Scienza in rete

L’impresa sportiva ai tempi del dominio tecnologico

Primary tabs

Read time: 3 mins

Chissà cosa penserebbe Spiridon Louis, vedendo le scarpe ultratecnologiche degli attuali maratoneti. Proprio lui che nel 1896, anno della prima Olimpiade dell’era moderna, vinse la maratona, la gara più affascinante, indossando delle scarpe che gli avevano regalato i suoi compaesani.

Le innovazioni tecnologiche che, negli ultimi anni, hanno investito il mondo dell’atletica, del nuoto e dello sport in generale, pongono insidiosi quesiti su quanto queste influiscano sulle prestazioni degli atleti e su dove si trovi il confine tra lecito e non lecito. E se da un lato è un bene che non si gareggi più a piedi nudi, dall’altro le progressive e costanti frantumazioni di record in varie discipline tirano in ballo direttamente il ruolo della tecnologia e delle migliorie apportate per agevolare risultati eccellenti e primati mondiali.

Il caso simbolo dell’innovazione tecnologica applicata al mondo dello sport è Oscar Pistorius. Il velocista sudafricano dotato di due protesi di carbonio al posto delle gambe che, dopo aver sfiorato la partecipazione alle Olimpiadi di Pechino del 2008, calcherà la pista d’atletica dello stadio di Londra per gareggiare con la pettorina del Sudafrica alle prossime Olimpiadi. E sebbene il Tribunale Atletico Sportivo lo abbia autorizzato, nel 2008, a partecipare a qualunque tipo di competizione sportiva, restano i dubbi su quanto le protesi possano avvantaggiare il velocista sudafricano.

Lasciando da parte le polemiche legate a Pistorius e circoscrivendo il discorso ai soli atleti normodotati, possiamo notare che nanotecnologie, fibre di carbonio e altri materiali sintetici siano ovunque e condizionino in modo decisivo le prestazioni dei singoli atleti. Ad esempio, proprio il carbonio ha una struttura atomica molto solida che permette di realizzare racchette da tennis, mazze da golf e altre attrezzature sportive rendendole resistenti e leggerissime. Ci sono, dunque, nello sport, dei settori privilegiati in cui la ricerca scientifica trova immediate applicazioni. Si è già detto dell’atletica (basti pensare che le fibre di vetro, con cui sono costruite le attuali aste per il salto con l’asta, hanno elevato di oltre due metri l’asticella da superare), ma anche il nuoto, con i costumi hi-tech, si è servito dei progressi scientifici per migliorare le prestazioni in vasca (dal 2008 al 2010 sono stati sgretolati decine di record, tanto da accomunare i “super-costumi” alla stregua del doping). E poi ci sono le straordinarie biciclette aerodinamiche in Kevlar, leggere e velocissime e le racchette da tennis con le corde in alluminio che consentono di colpire la pallina con maggior forza e precisione.

La presenza massiccia delle nuove tecnologie nell’universo sportivo rischia, però, di minare alle fondamenta il fascino del gesto atletico e dello sforzo agonistico. I nuovi materiali e le tecnologie più avanzate, sebbene migliorino lo spettacolo e le prestazioni, contribuendo in alcuni casi anche a rendere lo sport più sicuro, assurgono spesso a protagonisti quasi assoluti del momento sportivo. Il dominio della tecnologia è talmente decisivo in alcuni sport che si è parlato di “doping tecnologico”. Quanto sono condizionate dai costumi le prestazioni da record dei nuotatori? Quanto influisce sulla traiettoria del pallone il nuovo materiale di cui è fatto? E, soprattutto, gli apporti tecnologici alterano il risultato tanto quanto le tradizionali sostanze dopanti? Per il momento si tende a restare cautamente scettici e conservatori, privilegiando (almeno a parole) una intromissione non traumatica della tecnologia nello sport. Ecco che quindi il caso Pistorius e quello dei super-costumi dei nuotatori marcano il limite oltre il quale non si può andare, almeno nell’opinione pubblica.

Tuttavia, nonostante gli accorgimenti mirati e circoscritti e la costante attenzione a valutare quanto siano lecite le innovazioni, la prospettiva fantascientifica di un atleta bionico, oggi appare sempre meno utopica.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Le cause del dilagare dei pensieri suicidi in adolescenza

Analizzando le risposte di un campione di oltre 4.000 studenti italiani, una ricerca del gruppo MUSA del CNR ha evidenziato l’importanza del deterioramento delle relazioni umane nella nascita di pensieri suicidi in adolescenza. È un risultato che conferma quanto suggerito da altri studi ed evidenzia l’urgente bisogno di interventi mirati e contestualizzati, e anche il ruolo centrale e cruciale della scuola nel sostegno del benessere relazionale giovanile.

Crediti immagine: Andreea Popa/Unsplash

Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha iniziato ad approfondire l’analisi delle ideazioni suicidarie, anche a causa del loro dilagare. Questi pensieri, diversamente dal suicidio, costituiscono un oggetto di studio su cui è possibile raccogliere dati direttamente dai soggetti coinvolti nel problema. Uno studio su un campione di oltre 4.000 studenti e studentesse delle scuole superiori svolto dal gruppo MUSA del CNR sottolinea l’importanza del deterioramento delle relazioni umane nella nascita di pensieri suicidi in adolescenza.