fbpx LHC scopre due particelle mai viste prima | Scienza in rete

LHC scopre due particelle mai viste prima

Primary tabs

Read time: 3 mins

Il chimico russo Mendeleev costruì la tavola periodica degli elementi organizzandoli in uno schema geometrico che ne riproduceva le proprietà chimiche. Per mantenere la periodicità dello “schema”, Mendeleev decise di lasciare vuote alcune posizioni: pensava che dovessero esistere degli elementi, all’epoca non ancora noti ma di cui era in grado di predire le proprietà. Tra questi elementi c’era quello che oggi chiamiamo gallio.
Quando nel 1874 il francese Lecoq scoprì questo elemento, confermando che mostrava esattamente le caratteristiche previste da Mendeleev, si capì di avere tra le mani qualcosa di grosso.

Più o meno la stessa cosa accadde con la fisica delle particelle nella seconda metà del Novecento. Una volta note le particelle elementari (oggi ne contiamo 17) e messa a punto la teoria per descrivere le loro interazioni (il cosiddetto Modello Standard), i fisici erano in grado di predire l’esistenza di centinaia particelle composite, cioè formate da particelle elementari.
Due di queste particelle sono state scoperte recentemente dall’esperimento LHCb dell’acceleratore di particelle LHC, al CERN di Ginevra. I risultati, ottenuti a partire da misurazioni effettuate tra il 2011 e il 2012, sono stati presentati con un preprint alla rivista Physical Review Letters.

Si tratta di due barioni, ovvero strutture costituite da 3 quark. I quark sono particelle elementari presenti in 6 tipi diversi: up, down, charm, strange, top, bottom. I barioni trovati dal team di LHCb appartengono alla classe dei cosiddetti “barioni Ξ” (si legge: “xi”), che sono formati da un quark up o down e due quark più pesanti. Quelli individuati dal team del CERN, in particolare, sono fatti con un down, uno strange e un bottom (in breve: dsb).
Avendo gli stessi costituenti, le due particelle non sono propriamente distinte: si dice che sono diverse “risonanze” (in parole povere, versioni a energia differente) dello stesso barione Ξ di tipo dsb. La differenza sta negli spin dei quark, a seconda che siano allineati oppure no: è questo a creare la differenza di massa tra le due particelle identificate (5,935 GeV e 5,955 GeV, circa 6 volte più della massa del protone).


«Questo è un risultato molto emozionante», afferma Steven Blusk, ricercatore alla Syracuse University di New York che ha partecipato allo studio. «Grazie all’eccellente sistema di identificazione di LHCb, che è unico tra gli esperimenti di LHC, siamo stati in grado di separare un segnale molto nitido dal background. Questo dimostra ancora una volta la precisione del rilevatore di LHCb».

L’esistenza di queste particelle e i loro tassi misurati di produzione e decadimento confermano in maniera eccellente le predizioni della cromodinamica quantistica, che è la parte del Modello Standard che descrive le interazioni tra quark tramite la forza nucleare forte.
Questa per i fisici teorici è una notizia buona e allo stesso tempo deludente. Buona, perché fa sempre piacere ricevere una conferma delle bontà delle nostre teorie; cattiva, perché non ci dice nulla di nuovo. Lo spiega Patrick Koppenburg, fisico di LHCb, che sottolinea anche l’importanza di proseguire in questo tipo di ricerche: «Se vogliamo scoprire una nuova fisica oltre il Modello Standard, ci occorre innanzitutto un quadro chiaro e definito. Questi studi ad alta precisione ci aiuteranno in futuro a distinguere tra effetti previsti dal Modello Standard e qualcosa di nuovo o inaspettato».


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Alimentazione sostenibile: imparare dalla preistoria

Dimostrazione cottura preistorica

Il progetto  Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.

Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).

Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.