Da molto mi incuriosiva quella strana condizione neurologica che va sotto il nome di “Sinestesia”: mi incuriosiva essenzialmente perché ne erano affetti artisti alla cui creatività la condizione aveva portato evidenti e dichiarati vantaggi. Così avevo chiesto a Lutz Jäncke, che della Sinestesia è uno dei massimi specialisti, di scrivere qualcosa per Scienzainrete. Ha accettato. Essendo un neuropsicologo, Jäncke ha dato al suo pezzo un taglio neurologico: dice infatti in modo magistrale tutto quello che occorre sapere sul cervello dei Sinesteti, dal punto di vista fisiologico-medico. La Sinestesia, però, ha anche aspetti che non sono di esclusiva pertinenza anatomico-fisiologica, e mi è quindi parso necessario inquadrare il tema Sinestesia in modo più generale. Ho parlato della cosa con Marta Codato, una collaboratrice che ha grande interesse per le derivazioni della Psicologia nella sfera artistica, ed abbiamo così preparato una sorta di premessa all’articolo di Jäncke.
Dunque, che cos’è questa Sinestesia?
Incominciamo col dire che il termine viene dal Greco syn-aisthanestai, che significa “percepire insieme”. Si tratta di una figura retorica ben nota, molto comunemente usata in ambito letterario: consiste appunto nell’accostare termini che appartengono ad ambiti sensoriali diversi. La letteratura ha sempre fatto ampio uso della Sinestesia , ed ognuno di noi, solo che ci pensi un attimo, può facilmente citare esempi che lo documentano: chi non ricorda, forse già dal tempo delle elementari, il Carducciano “silenzio verde” o, da quelli del Liceo, il Leopardiano “dolce e chiara è la notte”, o “la vela freschissima di Maggio” di Vittorio Sereni? Naturalmente tutti sappiamo che un silenzio (sfera sensoriale acustica) non può essere verde (sfera sensoriale visiva), ed accettiamo questi artifici come esempi di quello che va sotto il nome di “licenza poetica”. E in realtà non occorrerebbe neppure scomodare i giganti della poesia e le loro licenze poetiche: basterebbe ricorrere al linguaggio usato comunemente nella vita quotidiana: chi non ha, ad esempio, almeno una volta definito un colore “caldo” o “freddo” o usato per una parola l’aggettivo “dolce” o ”amaro”? E sin qui si tratterebbe comunque solo di figure retoriche. Ma ecco il problema: la maggior parte delle persone probabilmente non immagina che la Sinestesia sia anche qualcos’altro: perchè se è letterariamente ovvio che un silenzio non può essere verde, esistono persone che effettivamente “vedono” il silenzio come verde. Persone nelle quali stimoli sensoriali di una determinata modalità, ad esempio acustica o visiva (evento sensoriale induttore), evocano contemporaneamente sensazioni di una modalità diversa, ad esempio gustativa (evento sensoriale concorrente). A questo punto, quindi, la Sinestesia entra quindi a tutto diritto nel campo della Neuroscienza. Occorre però una precisazione, anzi, ne occorre più di una. E’ ad esempio abbastanza comune che stimoli di una determinata modalità evochino blande reazioni sensoriali di modalità diverse: il fenomeno riflette evidentemente la non completa indipendenza dei nostri apparati sensoriali. Ma la Sinestesia è qualcos’altro: di Sinestesia si parla quando uno stimolo sensoriale di modalità a evoca automaticamente ed invariabilmente una reazione sensoriale di modalità b (v. però più avanti). La percentuale delle persone che hanno questo tipo di reazioni sensoriali sinestetiche è molto bassa: si pensava che non superasse lo 0.5 % della popolazione, ma studi più recenti hanno riscontrato una diffusione molto più elevata, dell’ordine del 4% (J. Simner, C. Mulvenna, N. Sagiv, E. Tsakanikos, S. A. Witherby, C. Fraser, K. Scott, J. Ward, Perception, 35, 1024-1033, 2006). La seconda precisazione riguarda la possibilità di indurre artificialmente, vale a dire mediante droghe allucinogene, reazioni sensoriali di tipo sinestetico. Si parla in questi casi di pseudo sinestesia, dato che si tratta di condizioni temporanee, acquisite, non presenti dalla nascita. Infine la Sinestesia si può anche manifestare più tardi nella vita in seguito, ad esempio, ad un trauma cerebrale.
Da almeno 150 anni la Sinestesia è nota ai neurofisiologi ed agli psichiatri: già nel secolo 19° si cercava ad esempio di spiegare con la Sinestesia le allucinazioni che sono così frequenti nella schizofrenia (E. Bleuer & K. Lehmann, Zwangsmässige Lichtempfindungen durch Schall und verwandte Erscheinungen auf dem Gebiete der andern Sinnesempfindungen, 1871): ma è solo in tempi a noi molto più vicini, con l’introduzione generalizzata delle moderne tecnologie per l’indagine anatomico-funzionale del cervello, che la Sinestesia ha superato lo stadio degli studi essenzialmente comportamentali ed è divenuta un argomento di interesse crescente per la neuroscienza. Usando metodiche come la PET, la fMRI, la MEG, la EEG/ERP, la MMN (la definizione degli acronimi appesantirebbe inutilmente il discorso), si è potuto esaminare il cervello dei “sinesteti” con molta precisione, e si è giunti, e/o si sta giungendo, ad una migliore comprensione dei suoi correlati anatomico-funzionali. Gli studi anatomico-funzionali sul cervello, ma anche studi di altro tipo, hanno portato ad alcune conclusioni generali che qui sono solo accennate, dato che ne tratta in dettaglio l’articolo di Jäncke. Sarà sufficiente dire che si tratta di una condizione famigliare, il cui tratto genetico responsabile è probabilmente localizzato sul cromosoma X. Siccome molti studi avevano rilevato una forte preferenza della condizione per il sesso femminile (fino a 6:1), si è a lungo pensato ad una trasmissione ereditaria dominante legata appunto ad un gene localizzato sul cromosoma X: studi più recenti hanno però ridotto di molto, e forse eliminato, la preferenza della condizione per le donne (J. Simner, C. Mulvenna, N. Sagiv, E. Tsakanikos, S. A. Witherby, C. Fraser, K. Scott, J. Ward, Perception, 35, 1024-1033, 2006). Come discute in dettaglio nel suo articolo qui sotto Jäncke, si ritiene che la condizione sia legata a differenze nello sviluppo neuronale che producono “cross talks” atipici tra aree del cervello che normalmente non interagiscono: nei sinesteti, connessioni che normalmente vengono eliminate durante lo sviluppo sono invece evidentemente conservate: si è quindi persino suggerito che la sinestesia sia presente in tutti i neonati, e che scompaia poi nella maggior parte di essi per effetto dei processi fisiologici di morte neuronale. Il cervello dei sinesteti è quindi anatomicamente differente, ed è, in linea generale, più “interconnesso” di quello dei non sinesteti (J. Hanggi, D. Wotruba & L. Jancke, J. Neurosci, 31, 5816-5828, 2011).
Nella maggior parte delle forme di Sinestesia lo stimolo induttore e la risposta sensoriale concorrente appartengono a modalità sensoriali diverse, ma vi sono anche forme in cui induttore e concorrente appartengono alla stessa modalità sensoriale: nella Sinestesia lettera-colore, ad esempio, colori (modalità visiva) sono indotti dalla lettura di lettere dell’alfabeto (modalità visiva). E lo stimolo induttore non deve necessariamente essere sensoriale, può anche essere concettuale: l’esperienza concorrente può esser cioè indotta non da una percezione sensoriale, ma dal pensare un particolare concetto, che può ad esempio essere un numero, un periodo di tempo, una posizione spaziale. Nella maggior parte degli individui la Sinestesia è unidirezionale: se cioè ad esempio il suono induce l’esperienza colore, i colori non inducono la risposta suono. La forma più comune di Sinestesia è quella grafema-colore, in cui gli stimoli induttori sono i grafemi (le unità grafiche elementari, non suddivisibili, cioè le lettere ed i numeri), e le risposte concorrenti i colori. Il che non è forse sorprendente dato che sia l’area del colore che quella dei grafemi sono state individuate l’una vicina all’altra nel giro fusiforme. Ma gli stimoli induttori rappresentati dalle unità linguistiche possono anche evocare risposte concorrenti di altre modalità: acustiche, gustative, olfattive, o addirittura non sensoriali (ad esempio, tipi di personalità o sesso). La Sinestesia grafema-colore consente una precisazione interessante, che dimostra come non sia necessariamente la forma del grafema induttore (modalità visiva) che evoca la risposta concorrente, ma il concetto che il grafema rappresenta: è il caso molto interessante del sinesteta in cui la vista del numero 7 evocava un “fotismo”, cioè un’esperienza visiva di un determinato colore. In questo caso il colore era il giallo. Quando al soggetto si presentavano invece il grafema 5, un “operatore” (il segno “+”) e quindi il grafema 2, il colore percepito era ancora quello connesso al grafema 7, cioè il giallo: il determinante della risposta concorrente non era quindi la forma del grafema 7, ma il suo significato (M. J. Dixon, D. Smilek, C. Cudahy, P. M. Merikle, Nature, 406, 365, 2000). Qualcosa di simile si è anche visto in sinesteti in cui la risposta concorrente evocata da un grafema-numero è collegata alla posizione del numero in una serie, più che al numero in sé, o nei quali la risposta concorrente varia a seconda che lo stimolo induttore, ad esempio il termine “Gennaio”, sia letto oppure ascoltato. O ancora dai casi di Sinestesia spazio-temporale, quella forma di Sinestesia in cui i soggetti percepiscono le unità di tempo come forme che occupano specifiche posizioni nello spazio a loro circostante: in questi sinesteti, ad esempio, i mesi dell’anno possono essere percepiti come un’immagine ad anello che li circonda, in cui ogni mese occupa una posizione determinata.
Fenomeno percettivo, non cognitivo
Dovrebbe essere risultato chiaro da queste brevi note che le esperienze sinestetiche non sono sotto controllo volontario e sono persistenti nel tempo, e che la Sinestesia è un fenomeno percettivo e non cognitivo. Rimane però da chiarire un punto importante: se essa sia cognitivamente utile, se cioè conferisca dei vantaggi agli individui che ne sono portatori. La questione non è semplice e va trattata con cautela, ma le conclusioni, che derivano generalmente da studi comportamentali o da considerazioni generali hanno elementi di interesse. Si ritiene ad esempio che i sinesteti spazio-temporali manipolino con maggiore facilità informazioni legate al tempo. Più interessante è il caso della Sinestesia specchio-tattile, nella quale i sinesteti percepiscono il tocco che altri hanno ricevuto nella zona del corpo corrispondente a quella toccata nella persona osservata. Il protocollo comportamentale usato per lo studio ha messo in evidenza che i sinesteti specchio-tattili sono estremamente empatici, hanno cioè un livello molto elevato di connessione emotiva con gli altri: i loro neuroni-specchio, che consentono l’apprendimento per imitazione, sono iperattivi (H. Ishida, K. Nakajima, m. Inase, A. Murata, J. Cogn. Neurosci, 22, 83-96, 2009). Sembra quindi possibile suggerire (cautamente) che la Sinestesia specchio-tattile conferisca al sinesteta speciali capacità di “sentire” esperienze altrui, ad esempio il dolore. Si ritiene anche che famosi artisti abbiano tratto vantaggio dalle contaminazioni sensoriali della loro sinestesia: un caso molto citato è quello di Olivier Messiaen, che era un sinesteta suono-colore, e che ha usato estesamente il rapporto suono-colore nelle sue composizioni. Per Messiaen “il colore è lo spazio visuale della musica”, per lui complessi di colori corrispondevano agli accordi musicali. Pensava che la costruzione dei complessi d’accordi dovesse far “vedere” particolari accostamenti di colori: per lui era certamente così, e si rammaricava che non lo fosse per gli ascoltatori…
Molti personaggi famosi, da Alexandr Scriabin, a Wassily Kandinsky, ad Oliver Messiaen, a Frank Zappa, a Vladimir Nabokov, a Paul Klee, erano sinesteti. Tutti personaggi, chi più chi meno, del passato. Il grande interesse che ora circonda la Sinestesia ha portato alla ribalta interessanti personaggi contemporanei, che proprio alla Sinestesia devono la loro notorietà. E’ ad esempio il caso di Elizabeth Sulser, una musicista Svizzera (studiata proprio da Lutz Jäncke) che percepisce automaticamente sapori che cambiano con il variare degli intervalli musicali che ascolta. E’ anche una sinesteta suono-colore: quando ascolta musica, o anche singoli toni, vede colori particolari per ognuno dei i toni: rosso per DO, giallo per RE, bruno per MI, verde per FA e così via… Jäncke ed i suoi collaboratori hanno esposto la Sulser ad intervalli tonali diversi, mentre applicavano sulla sua lingua soluzioni di sapore acido, amaro, dolce o salato, chiedendole di premere un tasto particolare sulla tastiera di un computer per identificare gli intervalli tonali: misuravano quindi i tempi di reazione e gli errori in test in cui il sapore applicato era congruente od incongruente con l’intervallo tonale: l’identificazione è risultata perfetta! (G. Beeli, M. Esslen, L. Jäncke, Nature, 434, 38, 2005) La Sinestesia suono-gustativa è molto più rara della Sinestesia suono-colore, ed Elizabeth Sulser ora la usa per identificare gli intervalli tonali, un compito difficile che richiede notevole training musicale. Un altro caso molto citato è quello di Daniel Tammet, un Inglese affetto dalla Sindrome di Asperger, una condizione che fa parte dello spettro autistico, ma che non comporta disturbi del linguaggio e nello sviluppo cognitivo. Daniel Tammet è uno degli autistici che vengono definiti “savant”, che sono cioè dotati di capacità intellettuali speciali, quali la memoria prodigiosa o l’abilità a compiere fenomenali calcoli aritmetici mentali. Ha ora acquistato consenso l’idea che le abilità intellettuali così speciali degli autistici “savant” abbiano a che fare con la sinestesia, e Daniel Tammet, di fatto, è un sinesteta che vede i numeri in specifiche posizioni nello spazio, e li vede con colori caratteristici, con suoni e forme speciali, ed organizzati in sequenze che formano paesaggi. Detiene il record Europeo di citazione a memoria delle cifre del Pi greco (22.514 cifre decimali!), ed ha descritto l’episodio del record in modo affascinante, raccontando di come “vedesse” i numeri, la loro forma, i loro colori, e le cifre in sequenza. Daniel Tammet è ora divenuto un personaggio molto noto: spesso intervistato su giornali o in programmi televisivi, su di lui si è girato un documentario. Ha anche scritto tre libri di successo. Il titolo del primo è molto adatto a chiudere queste note introduttive sulla Sinestesia: ”Nato in un giorno azzurro”.