L’attenzione dei mezzi d’informazione e del pubblico è in questi giorni concentrata sulla situazione critica che si è determinata nella centrale nucleare di Fukushima a seguito del sisma avvenuto l’11 marzo (magnitudo 9, il quinto più forte di cui si abbiano notizie) a cui ha fatto seguito uno tsunami.
Fukushima è una dei più grandi complessi di questo tipo nel mondo e comprende due centrali: Fukushima Daiichi, con 6 unità ad acqua bollente (BWR) in servizio tra il 1970 e il 1979, con potenza complessiva di 4700 MWe; Fukushima Daini, con 4 unità BWR (4400 MWe complessivi) avviate tra il 1981 e il 1986.
Ricostruzione dell’accaduto
La ricostruzione che segue si basa sulle notizie disponibili, al momento ancora frammentarie; pur essendo verosimile, potrebbe contenere qualche inesattezza. Al momento del sisma, i reattori 1, 2, 3 della centrale di Fukushima Daiichi erano in normale funzionamento, gli altri erano fermi per una ispezione programmata. Quelli di Fukushima Daini erano tutti in esercizio. Il sisma ha interrotto il collegamento con la rete elettrica, con l’automatico spegnimento di tutti reattori.
Qualsiasi reattore nucleare continua a generare calore anche dopo l’arresto della reazione a catena, a causa del decadimento degli elementi radioattivi presenti. Il “calore residuo” è circa il 7% della potenza termica nominale subito dopo lo spegnimento, poi diminuisce gradualmente (1.3 % dopo un’ora, 0.7% dopo un giorno, 0,4% dopo un mese). Da qui la necessità di vari sistemi di asportazione del calore, per evitare la progressiva evaporazione del fluido refrigerante, il surriscaldamento del combustibile e nei casi più gravi la sua frammentazione o fusione, con rilascio di sostanze radioattive nei circuiti.
Il contatto tra il combustibile surriscaldato e il vapore ancora presente può produrre idrogeno. In mancanza di raffreddamento, il vapore e l’idrogeno, contaminati da sostanze radioattive, si riverserebbero all’esterno del reattore, ma pur sempre nel contenitore di sicurezza a tenuta.
Un eccessivo aumento di pressione nel contenitore condurrebbe a rilasciare all’esterno il vapore e l’eventuale idrogeno presente, per evitare un cedimento del contenitore, che avrebbe conseguenze più gravi.
Per assicurare l’asportazione del calore residuo, ogni impianto nucleare è dotato di vari sistemi ridondanti in grado di fornire potenza elettrica per il pompaggio di acqua, anche in mancanza sia di produzione di elettricità da parte dell’impianto, sia del collegamento con la rete esterna.
Anche la centrale di Fukushima è dotata di tali sistemi: diversi generatori diesel e un parco batterie. Allo spegnimento dei reattori sono entrati in servizio i diesel; dopo circa un’ora lo tsunami ha determinato un allagamento, con il fuori servizio di tutti i diesel di Fukushima Daiichi. È stato possibile alimentare i sistemi di emergenza con le batterie ma, avendo queste una capacità per forza limitata, dopo 8 ore ogni alimentazione elettrica è cessata ed è stato per qualche tempo impossibile inviare acqua per raffreddare sia il reattore che il contenitore.
Grazie a generatori elettrici mobili, è stato poi possibile iniettare nuovamente acqua, presa dal mare, nei circuiti, ma in quantità non sufficiente.
Le conseguenze sono state: un abbassamento del livello dell’acqua nel reattore, con conseguente surriscaldamento, parziale danneggiamento delle barrette, produzione di idrogeno per decomposizione dell’acqua a contatto con le guaine in lega di zirconio che si trovavano ad alta temperatura; per il contenitore di sicurezza, che riceveva il vapore scaricato dal circuito primario ma non era più raffreddato, un aumento di pressione che ha costretto a scaricare vapore; per l’ambiente esterno, lo scarico di vapore misto a idrogeno e con tracce di elementi radioattivi. Parte dell’idrogeno, più leggero dell’aria, si è accumulato nella parte superiore dell’edificio reattore, che racchiude il contenitore di sicurezza, formando una sacca di gas infiammabile. In tre delle unità (n. 1, 2 e 4) l’accumulo di idrogeno ha causato un’esplosione che ha distrutto la parte alta degli edifici reattore. Le esplosioni non risultano aver danneggiato i contenitori di sicurezza, a parte qualche danno ipotizzato nell’unità 2. Si sono anche verificati incendi, dovuti anch’essi all’idrogeno, ma presto domati.
Nelle unità 4, 5 e 6 al momento del terremoto il combustibile era in una piscina esterna, essendo in fase di ricambio. In questi casi le preoccupazioni sono minori, anche per le minori potenze termiche da evacuare, ma è comunque necessario il raffreddamento delle piscine.
Allo stato attuale la situazione appare ancora critica, ma tende al miglioramento. Restano limitazioni di accesso alla centrale a causa dei rilasci radioattivi. Sono in atto tentativi di raffreddare impianti e piscine dall’esterno, prima con scarico di acqua da elicotteri e uso di idranti, negli ultimi tre giorni solo con idranti. Sono in corso lavori per riconnettere la centrale alla rete elettrica, e dal 20 marzo la società TEPCO proprietaria della Centrale dichiara che sull’unità 2 un quadro provvisorio è alimentato dall’energia di rete e che si sta lavorando per alimentare anche le unità 3, 4, 5 e 6. Uno dei generatori diesel è stato riparato. Alcune temperature e pressioni stanno tornando verso valori di sicurezza e il rilascio di vapore dall’Unità 3 sta diminuendo.
Le conseguenze note sul personale addetto alla centrale indicano una ventina di feriti, soprattutto a seguito delle esplosioni, e alcune (4-5) persone contaminate. Conseguenze esterne alla centrale La situazione della centrale ha portato alla decisione di evacuare la popolazione in un raggio prima di 10, poi di 20 km. Le persone evacuate sono circa 180 000.
A seguito dei rilasci radioattivi, nel sito della centrale sono stati registrati picchi di radioattività nelle ore successive all’incidente, fino a 400 milliSievert/h, mentre nel raggio di qualche decina di chilometri la dose misurata si aggira su un centinaio di microSievert/h nei punti più esposti al fallout e su qualche microSievert/h nelle altre zone. Il fondo naturale medio, a cui siamo normalmente esposti in assenza di rilasci dovuti ad attività umane, è di circa 2400 microSievert/anno, mentre una TAC corrisponde a circa 3000 microSievert. I livelli di dose a cui è stata esposta la popolazione prossima alla centrale risultano quindi relativamente alti, ma non estremamente preoccupanti.
È stata riscontrata, in zone distanti qualche decina di km dalla centrale, una contaminazione da Iodio 131, e in minor misura Cesio 137, di prodotti come latte e verdure. In alcuni casi i valori superano le soglie massime accettabili per gli usi alimentari. Le stesse sostanze radioattive sono state rilevate in campioni di acqua potabile, ma in quantità inferiori ai valori limite.
Considerazioni su quanto accaduto
Pur nell’attuale incertezza delle informazioni, si possono svolgere alcune considerazioni preliminari, anche in relazione al possibile avvio di un programma nucleare italiano.
La perdita di alimentazione elettrica è una fonte di rischio importante. Occorre quindi che la rete elettrica prossima alle centrali garantisca elevata affidabilità e robustezza; i sistemi di alimentazione di emergenza vanno realizzati e installati in modo da renderli il più possibile immuni da eventi esterni come terremoti e allagamenti.
La collocazione delle centrali deve tenere in grande considerazione aspetti sismici e demografici: l’evacuazione di 180 000 persone nel raggio di 20 km (operazione di per sé complessa e non priva di rischi) significa una densità di circa 500 abitanti/km2, oltre il doppio della media italiana.
Si conferma la grande sensibilità dei mezzi di informazione e dell’opinione pubblica alla sicurezza nucleare: il sisma giapponese, con decine di migliaia di vittime, è stato subito oscurato dalla vicenda della centrale nucleare, che allo stato attuale fortunatamente è ancora a livello di minaccia.
È bene che le autorità di tutti i paesi interessati al nucleare attuino verifiche straordinarie sui reattori esistenti o in progetto e traggano, nei prossimi mesi e anni, tutti i possibili insegnamenti dall’accaduto, per una sempre più elevata sicurezza.
Pubblicato su Quotidano Energia
Luigi Mazzocchi
Ingegneria, Ricerca sul Sistema Energetico – RSE S.p.A.