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L'amore ai tempi del collider

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Il luogo ideale per trascorrere il San Valentino? Con un balzo epocale, da tre metri sopra il cielo a cento metri sotto terra, i protagonisti di The Big Bang Theory non hanno dubbi: l’anello di LHC, il Large Hadron Collider. L’unica perplessità è decidere chi portare con sé: dar retta al cuore, e volare al CERN con l’amata dirimpettaia Penny? O al cervello, concedendo a Sheldon, il coinquilino geniale al limite della psicosi, di realizzare il sogno di una vita? È il dilemma che si trova ad affrontare Leonard nell’ultimo episodio, andato in onda negli Stati Uniti l’8 febbraio, della sitcom che sta facendo impazzire ricercatori e geek di mezzo mondo. E anche parecchie persone “normali”, vien da supporre, perché di una trasmissione da 14 milioni di spettatori a settimana tutto si può dire ma non che sia di nicchia. Eppure, almeno a prima vista, il menù che offre non è per tutti i palati.

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In Italia, The Big Bang Theory  (TBBT per i fan) va in onda sul canale Steel del digitale terrestre, ed è dato per imminente lo sbarco su Italia 1, anche se i puristi continuano a gustarselo rigorosamente in lingua originale, recuperandolo in qualche modo dal web. Se non l’avete mai visto, per farvene un’idea pensate a un’altra serie di successo planetario, Friends. Trasferitela da New York alla California, nei laboratori del Caltech, per essere precisi. Condensate poi pregi e difetti delle tre protagoniste femminili in un solo personaggio esplosivo, Penny. Come protagonisti maschili, moltiplicate Ross per quattro, esasperandone i tratti più nerd, fino a ottenerne Sheldon, Leonard, Rajesh e Howard: rispettivamente, un fisico teorico, uno sperimentale, un astrofisico e un ingegnere spaziale. Ed ecco che avrete un cocktail dal sapore non troppo dissimile da quello di TBBT. Questo per quanto riguarda ambientazione e interpreti. Per completare l’opera, una spruzzata generosa dell’ingrediente, tutt’altro che segreto e davvero caratterizzante, che fa di questa sitcom un prodotto televisivo senza eguali: un mix di riferimenti scientifici così hard da dare le vertigini.

Pronti per qualche sorso? Carnevale è nell’aria, quindi partiamo dall’indecifrabile costume da “effetto Doppler” indossato da Sheldon a una festa in maschera. Ma c’è anche Leslie che surgela le banane in un dewar d’azoto liquido. O ancora Sheldon, che bisticcia con George Smoot (il vero George Smoot, il Nobel per la fisica, per l’occasione in veste d’attore) su chi fra i due mettere come primo autore in un paper. Non lo trovate ancora un gusto sufficientemente esclusivo? Proviamo, allora, con Leonard che cerca d’impressionare la madre parlandole dei suoi studi: «Sto cercando di replicare un segnale di materia oscura rilevato dagli italiani con cristalli di ioduro di sodio», le dice. «Dunque», ribatte secca lei, «non è una ricerca originale: tanto vale che mi legga direttamente l’articolo degli italiani». Chissà che avranno pensato, Rita Bernabei e il suo team dell’esperimento DAMA, nel cuore del Gran Sasso, a sentir citare con tale puntualità il loro lavoro nella sitcom più seguita della CBS.

Esempi come questi si sprecano, perché la scienza, in TBBT, più che l’argomento costituisce proprio il contesto. L’intera serie è impregnata di quell’aroma indefinibile, ma al tempo stesso inequivocabile,  che chiunque abbia messo piede nella caffetteria d’un centro di ricerca conosce bene. E non è un caso: alle sceneggiature, gomito a gomito con la squadra degli autori, ci lavora come consulente scientifico David Saltzberg, professore di fisica e astronomia all’UCLA. Un intervento, il suo, che evidentemente non si limita alla correzione di errori e imprecisioni.

San Valentino al CERN, dunque? Dopo TBBT, è un’ipotesi non così inverosimile. Perché non insegnerà la fisica, questa serie, d’accordo. Ma di sicuro sta rendendo le “scienze dure”, se non più morbide, certo molto più glamour. Basti pensare che le nerdissime t-shirt di Sheldon stanno diventando uno fra i capi d’abbigliamento più cult della rete. Per non parlare del successo che questa sitcom—l’ennesimo tassello di quell’immaginario che sta formandosi, sempre più condiviso e internazionale, attorno alla ricerca scientifica, al punto da rendere per molti versi anacronistica l’espressione “cervelli in fuga”—riscuote fra ricercatrici e ricercatori di tutto il mondo. E non avrà alcun valore statistico, d’accordo, ma tra i fisici e gli astrofisici under-35 che ho avuto occasione d’intervistare qua e là nell’ultimo anno, non ce n’è stato uno che, alla domanda «what do you think of the big bang theory?», mi abbia risposto parlando di cosmologia


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