Il decreto legge appena approvato in Senato prevede altri dieci miliardi di tagli in tre anni al sistema sanitario. Il ministro Beatrice Lorenzin questa volta è ottimista: “è per salvare la sostenibilità del SSN”. Ma medici e governatori sono contro: “se si continua così salta il sistema della sanità pubblica”.
Chi
ha ragione? Vediamo. Il Servizio Sanitario nazionale lo hanno inventato gli
inglesi, noi l’abbiamo
fatto nostro con la legge 883 del 1978. Quel giorno, con quella legge l’Italia
ha compiuto un atto di grande civiltà
e si è
portata ai vertici della classifica della buona
sanità.
E' la cosa più preziosa che abbiamo e non costa
nemmeno tanto (spendiamo per curarci in media 3.000 ero all'anno, meno della
Francia che ne spende quasi 4.000 e della Germania che arriva a 4.500, per non
parlare degli Stati Uniti). A noi sembra normale che se uno è malato possa avere un trapianto
di cuore o di fegato e le cure più
avanzate
per il cancro senza spendere nulla, non è
così. Tutt'altro,
in molte parti del mondo anche in paesi ricchi avere qualcuno di malato in
famiglia significa indebitarsi e se la
malattia è grave perdere
tutto, certe volte.
Nonostante gli
sforzi di Hillary Clinton prima e di Obama adesso, è così
anche negli Stati Uniti.
Ancora oggi chi non è abbastanza ricco da pagarsi un’assicurazione
privata, e nemmeno così
povero da ricevere aiuti dalla Stato, non ha di
che curarsi. Ma Howard Brody, che insegna medicina nel Texas, una ricetta ce l’ha:
“basterebbe
evitare esami e interventi inutili per dare a tutti tutto quello che serve”,
scrive sul New England Journal of Medicine. Quanto viene speso in interventi
che non portano alcun beneficio agli ammalati, infatti, arriva al 30 percento del
budget. Quindi, come recita il titolo dell’articolo di Brody, bisognerebbe passare
"Dall'etica dei tagli, all'etica di evitare gli sprechi”.
Molti
medici pensano che far quadrare i conti non sia affar loro, anzi, che questo
vada contro alla stessa deontologia professionale. “No
- scrive Brody - questo ragionamento non sta in piedi; se per dare tutto a
tutti dovessimo esaurire le risorse, non ci sarebbe più niente per nessuno”.
Quello
che non serve in realtà
può
far male; un esame del sangue fatto per motivi
futili può generare altri esami e persino interventi
chirurgici, e tutto questo può
portare a complicazioni che poi generano altri
accertamenti e altre spese. “L’etica di evitare gli sprechi” deve essere un imperativo morale per tutti – continua Brody – anche per i cittadini”.
Da
noi la spending review può essere l’occasione per rilanciare il SSN partendo proprio
dall’etica
di evitare gli sprechi. Non possiamo permetterci interventi per i quali non ci
sia nella letteratura medica prova di efficacia. Molti dei nuovi farmaci
antitumorali hanno costi elevati, anche 60.000 euro per ciclo di cura. Ma i
benefici sono quasi sempre modesti. Vanno prescritti sempre e comunque? E’ meglio qualche settimana di vita in più fra grandi sofferenze o usare una piccola parte
di quei soldi per garantire a chi è
malato di essere assistito a casa propria? E
ancora: è venuto il momento di chiudere davvero i piccoli
Ospedali e quelli che non servono. Ma non qualcuno, tutti. L’hanno
fatto in tante parti del mondo, senza catastrofi. Certo non si puo’ tagliare e basta; se in una certa Regione
chiudiamo 50 Ospedali dovremmo dare più
risorse a quelli che restano. “To reduce cost, the best
approach is often to spend more on some services to reduce the need of others”, - scriveva qualche
tempo fa Michael Porter sempre sul New England Journal of Medicine. Insomma:
per ridurre i costi, certi servizi vanno ridotti e certi altri potenziati. L’etica che minimizza gli sprechi è anche questo.
Certi
medici pensano che l’attenzione a quanto si spende sia in contrasto
con l’etica
professionale. Non è
così, sono due facce della stessa medaglia; e
affrontare il problema dei costi non incrina affatto il rapporto con gli
ammalati.
Certo
bisogna saper distinguere cosa serve realmente agli ammalati, di che cosa si può fare a meno e cosa invece - per quanto nuovo o
sofisticato - non serve affatto. E se per un certo problema non ci sono dati in
letteratura, bisogna saperli produrre (anche negli Ospedali).
Quel poco che è stato fatto finora è solo la verifica di processi,
modalità organizzative
e livello di soddisfazione degli ammalati, mai di risultato finale.
Ora invece servono soprattutto formazione e ricerca, serve saper coinvolgere medici e infermieri e tutti gli altri operatori in grandi progetti di ricerca. “I risparmi ottenuti dalla spending review verranno assegnati alla ricerca”, ha promesso in questi giorni il ministro Lorenzin. Questa è la via giusta, e noi la prendiamo in parola.
Articolo pubblicato il 3 agosto sul Corriere della Sera