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SOS ricerca: acquista o muori. I problemi dell'obbligo di uso della piattaforma MEPA

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I problemi della piattaforma MEPA per la ricerca scientifica

Il Decreto Legislativo n.36 e la circolare ANAC hanno reso obbligatorio per atenei e altri enti di ricerca l'uso della piattaforma MePA per ogni acquisto. Pur efficace per la pubblica amministrazione, l'uso della piattaforma nell'ambito della ricerca ha causato ritardi significativi nei progetti, a causa di problemi sia tecnici che strutturali - una situazione che si somma ai molti ostacoli che chi fa ricerca in Italia deve affrontare.

Il primo gennaio di quest’anno, il sistema acquisti di università, CNR, IRCCS e, in generale, degli enti pubblici di ricerca, è andato incontro a una paralisi. Cos’è successo? È entrato in vigore il Decreto Legislativo n.36 del 31 marzo 2023 in merito al codice dei contratti pubblici, seguito dalla circolare ANAC del 13 dicembre 2023, che stabiliscono che qualsiasi bene o servizio acquistato da un qualsivoglia ente pubblico provenga da un venditore registrato e certificato sulla piattaforma MePA (Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione).oppure piattaforme autenticate gestite dai singoli enti/Atenei (come U-buy).

La piattaforma MePA non è una novità: è stata avviata nel 2000 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con lo scopo di interfacciare acquirenti e venditori in un sistema che permette di effettuare gli acquisti al prezzo più conveniente con la massima trasparenza, generando risparmio ed evitando sprechi, come allora richiesto dalla spending review. Con la legge n. 296/2006 è stata sancita l’obbligatorietà dell’utilizzo della piattaforma da parte degli enti pubblici acquirenti. Tuttavia il Decreto Legge 126 del 2019, il "Decreto Scuola" (convertito in Legge 20 dicembre 2019, n° 159), all'art. 4 ha stabilito che il ricorso alle Convenzioni Consip e al MePA per gli acquisti di beni e servizi funzionalmente destinati all’attività di ricerca, trasferimento tecnologico e terza missione non era un obbligo bensì una facoltà: «Le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 450 e 452, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in tema di ricorso al mercato elettronico e di utilizzo della rete telematica, non si applicano alle università statali e alle istituzioni di alta formazionenartistica, musicale e coreutica, per l'acquisto di beni e servizi funzionalmente destinati all'attività di ricerca». Infatti era sufficiente compilare una dichiarazione di unicità che testificasse come solo quello specifico prodotto potesse soddisfare le esigenze della ricerca per esentare un ordine dall’obbligo di passare attraverso la piattaforma. il Decreto Legislativo n. 3 del 2023 ha poi esteso l’obbligo degli acquisti tramite MePA a università ed enti pubblici di ricerca, eliminando la possibilità di utilizzare altre modalità di acquisto.

Ma se la piattaforma MEPA nella pubblica amministrazione si era dimostrata efficiente, l’introduzione dell’obbligo ad acquistare tramite MePA da parte di atenei e altri istituti di ricerca ha provocato forti ritardi negli acquisti, ostacolando pesantemente lo svolgimento dei progetti. Questo intoppo è dovuto in parte a problemi tecnici, tra cui l’aumento del numero dei procedimenti che devono obbligatoriamente utilizzare il MePA. Infatti, tutti gli acquisti tramite MePA devono necessariamente prima ottenere un codice alfanumerico chiamato CIG (Codice Identificativo di Gara), indipendentemente dall'importo. La circolare ANAC ha chiarito che il CIG non solo serve per le gare pubbliche, ma anche per tracciare le movimentazioni finanziarie degli affidamenti di lavori, servizi o forniture, a prescindere dalla procedura scelta o dall’importo. Ma per ottenere il CIG, la Piattaforma Contratti Pubblici offre un'interfaccia web che si intasa facilmente, a causa dell'enorme numero di richieste e dei numerosi problemi tecnici della piattaforma stessa, ritardando enormemente già l’acquisizione del CIG.

Oltre ai problemi tecnici, probabilmente risolvibili, ci sono importanti problemi strutturali, insiti nelle diverse esigenze degli enti di ricerca rispetto alla maggioranza degli enti pubblici, che rendono inefficiente l’acquisto tramite MePA. Vediamo qualche esempio.

In primis, il lavoro di ricerca per sua stessa natura richiede frequentemente l’acquisto di beni e servizi non previsti o pianificati, perché determinati dai risultati della ricerca stessa. La rapidità nell’ottenere un reagente o un servizio è fondamentale per mantenersi competitivi: negli altri Paesi avanzati, i reagenti sono comprati e ottenuti in pochi giorni, senza provocare rallentamenti nel lavoro. Inoltre, accade frequentemente che alcuni reagenti o servizi necessari per il progetto (un nuovo anticorpo monoclonale, una particolare analisi genetica…) siano forniti da una sola ditta: in tal caso, è necessario stabilire una trattativa che prevede tempi tecnici non inferiori a una settimana, ulteriormente sovraccaricando di lavoro i comparti amministrativi già sottoposti a stress. Un altro scoglio è l’acquisto di materiali da fornitori stranieri, talora gli unici a fornire determinate prestazioni o reagenti, che sono spesso poco inclini o addirittura impossibilitati a fornire i dati richiesti per registrarsi sulla piattaforma MePA, rendendo l’acquisto difficoltoso o addirittura impossibile.

In conclusione, la piattaforma MePA si può bene attagliare ad acquisti routinari: il laboratorio di analisi di un ospedale può programmare a inizio anno con precisione quasi assoluta di quali e quanti reagenti avrà bisogno. Al contrario, non si adatta alle necessità della ricerca, perché i progetti possono avere nuove esigenze in corso d’opera e molti prodotti necessari per la ricerca sono in realtà offerti nella loro specificità da un unico venditore, spesso straniero.

È superfluo sottolineare come questa situazione ponga il mondo della ricerca italiano in una situazione di grave svantaggio nel svolgere ricerche competitive e che richiedono tempi rapidi per acquisti ed esecuzione delle ricerche. E non dimentichiamo che questa nuova difficoltà si somma ai molti ostacoli che chi fa ricerca in Italia deve affrontare. Uno tra i tanti, la tassazione sull’acquisto (sia con fondi pubblici che privati) dei beni per la ricerca, e il pagamento integrale dell’IVA su tali prodotti, assenti nei maggiori paesi europei. Ma c’è di più: questi rallentamenti rischiano di impedire alle università e istituti di ricerca di spendere entro i tempi previsti i soldi assegnati con il PNRR, per loro natura non prorogabili, rischiando di annullarne tutti gli sforzi.

Chiediamo con forza alla Ministra Bernini di intervenire, come minimo ristabilendo la possibilità di esentare specifiche voci di acquisto dall’obbligo di procedura MePA per le istituzioni di ricerca pubblica. Le chiediamo inoltre: qual è il senso che enti di ricerca pubblica debbano sottostare a regole studiate in funzione antimafia e anticorruzione e per cifre ben diverse da quelle che circolano nella ricerca?

 


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