Siamo nel
periodo di carnevale e anche la chimica si presta a fornire spunti per
combinare qualche scherzetto che può divertire gli amici. Alcuni potrebbero
essere pericolosi ed è meglio lasciarli fare a esperti che adottino tutte
precauzioni del caso. Ad esempio, quelli che ricorrono al sodio, sono piuttosto
rischiosi e vanno evitati.
Ciò non impedisce però di gustare le descrizioni che
si trovano sui libri usciti dalla penna dei grandi divulgatori scientifici.
Un
maestro del genere come Joseph A. Schwarcz, PhD in Chimica nel 1973,
attualmente professore alla McGill University di Montreal e noto protagonista
di programmi radiofonici e televisivi, ci racconta qualcosa in proposito in una
delle sue opere principali tradotta anche in italiano (Il genio della
bottiglia, Longanesi, 2010).
Gli scherzi ricordati da Schwarcz, risalgono all’epoca in cui era studente (ci
mancherebbe altro che li facessero gli insegnanti). Questi ultimi, magari, li
subiscono come avvenne a quel professore di chimica dell’Università di Glasgow
il quale, mosso da impellente bisogno di svuotare la vescica e per evitare di
scendere dal terzo piano dove aveva l’ufficio al piano terra, dove c’era la
toilette, si recava sul terrazzino e ricorreva alla grondaia. Venuti a
conoscenza del suo segreto, gli studenti introdussero alcuni pezzetti di sodio
nell’insolito vaso sanitario con i fragorosi risultati che si possono
immaginare e che lo spiritoso professore non mancò di apprezzare.
Par di
capire, invece, che ben altro genere di reazione mostravano i passanti che
camminavano sui marciapiedi innevati di Montreal quando Joseph e i suoi amici
lasciavano cadere con noncuranza qualche pezzetto di sodio in mezzo alla neve.
Il risultato erano piccole esplosioni che davano la sensazione alle innocenti
vittime di quegli scherzetti di camminare in un campo minato.
Il sodio era al centro anche di alcuni spericolati esperimenti che Oliver Sacks eseguiva da ragazzo e che descrive nell’autobiografia “Zio Tungsteno – Ricordi di un’infanzia chimica” (Adelphi, 2002). Andando un po’ indietro nel tempo, invece, come non ricordare Primo Levi e il suo “Sistema Periodico” (Einaudi, 1975)? Nel racconto dedicato al “Potassio”, un metallo della stessa famiglia, ancor più reattivo del sodio, Levi scrive: “Il sodio è un metallo degenere: è anzi un metallo solo nel significato chimico della parola, non certo in quello del linguaggio quotidiano. Non è né rigido ne elastico è anzi molle come la cera; non è lucente o meglio, lo è solo se conservato con attenzioni maniache, poiché altrimenti reagisce in pochi istanti con l’aria ricoprendosi di una brutta cotenna ruvida: con anche maggiore rapidità reagisce con l’acqua nella quale galleggia (un metallo che galleggia?) danzando freneticamente e svolgendo idrogeno”.
Nessun dubbio che a contatto con l’acqua il sodio liberi idrogeno (questione, dicono i chimici, di potenziale di ossido-riduzione) ma perché si verificano le esplosioni? La spiegazione riportata dal citato Schwarcz è la stessa che circola, potremmo dire, da sempre: a causa dell’intenso calore sviluppato dalla reazione, l’idrogeno può incendiarsi ed esplodere.
Oggi questa
interpretazione andrebbe rivista e corretta sulla base dei risultati ottenuti
da un gruppo composito di chimici organici e teorici della Repubblica Ceca e
della Repubblica Federale di Germania, pubblicati online da Nature Chemistry.
Gli Autori hanno condotto una serie di
esperimenti ed effettuato alcune complesse simulazioni matematiche per chiarire
i meccanismi dei primissimi stadi della reazione. Hanno introdotto in acqua,
per mezzo di una siringa, alcune gocce (diametro 6 mm) di una lega liquida Na/K
(ca. 70% K) e registrato gli eventi con una fotocamera ad alta velocità (risoluzione
ca. 100 µs). Hanno visto che l’esplosione
aveva luogo dopo circa 0,5 ms ma il momento cruciale era quando, dopo 0, 35 ms,
la goccia di lega cambiava completamente aspetto sviluppando lunghe e sottili protuberanze
nel solvente circostante. In sostanza, si trattava di “spikes” metallici di natura
dendritica che, espandendosi nell’acqua, producevano un notevole incremento
della superfice di contatto con un’accelerazione di circa 10.000 m s-2.
L’esperimento e i calcoli hanno portato ad
attribuire l’esplosione che ne seguiva agli ioni sodio e potassio addensati in
superficie. È abbastanza logico che recando cariche dello stesso segno essi si
respingano con forza e che esplosione sia, prima di tutto, di natura
coulombiana.
Il rinnovarsi della
superficie con enorme rapidità va ovviamente a vantaggio della reazione
eterogenea. Il meccanismo è sostenuto anche dall’osservazione sperimentale che
nell’intorno della goccia l’acqua si colora in blu, segno che gli elettroni liberati
dai due metalli alcalini nel corso del processo redox si ritrovano anche in
forma solvatata.
Per saperne di più
Coulomb explosion during the early stages of the reaction of alkali metals with water
Sodium's explosive secrets revealed