fbpx Il satellite tira le somme dei danni da incendi in Italia | Scienza in rete

Il satellite tira le somme dei danni da incendi in Italia

Primary tabs

Read time: 4 mins

Anche quest’anno, come ogni estate, grandi incendi hanno arso l’Italia – e il sud in particolare. Dalla Campania alla Sicilia, e non solo, le fiamme hanno incenerito ettari di boschi, praterie, terreni coltivabili, arrivando in alcuni casi vicinissime a zone densamente abitate. Ma con quali conseguenze, esattamente?

Le prime stime dei danni a cose e persone arrivano da Copernicus, un progetto della Commissione Europa, che produce informazioni sulle emergenze ambientali basato su foto satellitari. Confrontando il prima e il dopo, Copernicus fornisce un resoconto dettagliato – zona per zona – di quanto gli incendi abbiano trasformato il territorio.

Le aree analizzate dal progetto sono – fino a questo momento – tredici, e si trovano tutte in Sicilia tranne una, che invece comprende la zona del Vesuvio. L’ultima mappatura risale alla terza settimana dello scorso luglio, e proprio nella regione campana mostra come i fuochi hanno avvolto l’intera area che circonda il vulcano. Ad andare distrutte ampie zone di macchia e di boschi, con danni delle fiamme diffusi anche a sud e – pur in misura minore – a ovest, dove si sono avvicinati all’abitato nei dintorni di Torre del Greco.

Gli altri focolai di cui Copernicus ha mappato l’esito in Sicilia raramente sono stati tanto concentrati, ma non per questo hanno causato danni minori. A Biancavilla, nei dintorni di Catania, la zona censita risulta altrettanto popolata che intorno al Vesuvio. Qui però i fuochi hanno colpito molto più intensamente aree residenziali, anche se secondo le prime stime satellitari tutto sommato i danni non sembrano essere stati troppo gravi.

A nord dell’Etna è andata quasi all’opposto. Gli incendi hanno colpito in misura maggiore il territorio che l’abitato e allo stesso tempo hanno avuto conseguenze più gravi, distruggendo o danneggiando gravemente molti ettari di prateria, macchia e terreni coltivabili – con le aree residenziali che però sembrano rimaste del tutto intatte.

Insieme alla parte a nord dell’Etna Nord anche il piccolo comune di Naso, in provincia di Messina, ha ospitato una delle zone in cui le fiamme hanno bruciato una porzione maggiore di territorio: poco più di 2.000 ettari in tutto nel primo caso, e circa 1.800 nel messinese.

Di nuovo, in quest’ultima area gli incendi hanno interessato le cose più che le persone. A pagare il prezzo maggiore sono stati i terreni coltivabili, a volte solo lambiti dalle fiamme ma in molti casi andati del tutto distrutti – per un’area complessiva di oltre 1.200 ettari.

Altra area ad aver subito danni intensi è quella di San Vito Lo Capo, questa volta in provincia di Trapani. Qui a rimetterci è stata in particolare la macchia, che ha rappresentato quasi tutto il suolo colpito dalle fiamme – e colpito con violenza, tanto che le stime indicano che circa tre quarti di esso risulta completamente distrutto.

Al di là delle mappe dettagliate, per farsi un’idea di cosa è successo nelle scorse settimane conviene mettere insieme i numeri e dare un quadro generale. La maggior parte dei danni causati dagli incendi, in effetti, ha interessato qualche migliaio di ettari di terreni agricoli.

Macchia e boschi vengono subito dopo, in quanto ad estensione delle aree colpite, mentre le zone residenziali risultano interessate in modo più marginale. Queste ultime, per di più, risultano concentrate quasi soltanto nell’incendio di Biancavilla, dove comunque, secondo le stime di Copernicus, non sembrano aver avuto conseguenze troppo gravi. Una fetta non da poco dei danni ha invece riguardato terreni agricoli nei dintorni dell’Etna, a Naso, o a Messina, mentre vicino al Vesuvio le fiamme hanno attaccato soprattutto boschi e macchia.

Se invece guardiamo alla severità delle conseguenze, un po’ più del 40% del territorio interessato dalle fiamme è andato distrutto, e circa un altro 30% appare comunque molto danneggiato – con il resto che invece risulta colpito poco o affatto.

In diversi casi gli incendi sono scoppiati in zone densamente popolate. Soltanto nell’area di Messina censita da Copernicus vivevano poco meno di 220mila persone e infatti, secondo le stime del progetto, è in quella stessa zona che le fiamme ne hanno interessate circa 4.600 – il numero maggiore fra le tredici aree in questione.

D’altra parte si sono verificati casi, come i fuochi a nord dell’Etna, in cui la superficie bruciata è risultata molto estesa – anche migliaia di ettari – ma tutto sommato gli abitanti coinvolti non sono stati così tanti. Oppure situazioni opposte – è il caso di Biancavilla e soprattutto Avola, in provincia di Siracusa – dove invece nonostante l’area in fiamme sia stata piccola le persone in qualche modo interessate dall’emergenza si stimano anche in migliaia.

Le analisi del progetto Copernicus non riguardano tutti i focolai che hanno colpito l’Italia questa estate, ma soltanto quelli analizzati dall’organizzazione dietro richieste delle autorità italiane – in molti casi i più violenti.

Queste, è bene ricordarlo, sono soltanto prime stime dei danni. Hanno il pregio di essere rapide e subito disponibili dopo le emergenze, ma per raccontare l’intera storia servirà aspettare le verifiche vere e proprie sul territorio – ammesso che poi nel frattempo di incendi non ce ne siano altri.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Superdiffusore: il Lancet ricostruisce la storia di una parola che ha avuto molti significati

Un cerchio tutto formato di capocchie di spillo bianche con al centro un disco tutto formato da capocchie di spillo rosse

“Superdiffusore”. Un termine che in seguito all’epidemia di Covid abbiamo imparato a conoscere tutti. Ma da dove nasce e che cosa significa esattamente? La risposta è meno facile di quello che potrebbe sembrare. Una Historical review pubblicata sul Lancet nell’ottobre scorso ha ripercorso l’articolata storia del termine super diffusore (super spreader), esaminando i diversi contesti in cui si è affermato nella comunicazione su argomenti medici e riflettendo sulla sua natura e sul suo significato. Crediti immagine: DALL-E by ChatGPT 

L’autorevole vocabolario Treccani definisca il termine superdiffusore in maniera univoca: “in caso di epidemia, persona che trasmette il virus a un numero più alto di individui rispetto alle altre”. Un recente articolo del Lancet elenca almeno quattro significati del termine, ormai familiare anche tra il grande pubblico: